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12 Soldiers (2018): «Vinciamo noi, Grace» (si, ma noi chi?)

Quando nei titoli di testa di un film, vedo la strada scorrere veloce, e il fulmine colpire l’albero prima della scritta “Jerry Bruckheimer Films”, io mi sento un po’ come se stessi tornando a casa.

Si perché ci sono così tanti film a cui voglio bene prodotti dall’(ex?) re Mida di Hollywood che solo il logo della sua casa di produzione mi mette allegria, ve lo dico subito, questo “12 Strong” da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa “tradotto” con il titolo di “12 Soldiers” (perché non “12 Soldati” visto che tanto devi mettere mano alla grafica in ogni caso?), non sarà tra questi, ma alla fine un paio di discorsi si possono tirare su anche con un filmetto così, quindi diamoci dentro!

I film di propaganda esistono da quando esiste il cinema, qualunque nazione impegnata in un conflitto ne ha prodotto qualcuno, e visto che gli americani sono sempre in conflitto, alla fine si sono conquistato il primato, ma per una pellicola, tratta dal libro “Horse Soldiers” del giornalista Doug Stanton, basato sulla vita dell’agente del militare delle forze speciali Mark Nutsch, spedito insieme ai suoi uomini in missione segreta in Afghanistan, per rispondere sul suolo nemico agli attentati dell’11 settembre 2001, la propaganda e il patriottismo a stelle e strisce lo devi pure mettere in preventivo no?

L’inizio mette subito in chiaro che “P&P” (propaganda e patriottismo) non mancheranno, una serie di immagini dei tg riassumono la storia degli attentati su suolo americano, da Oklahoma City nel 1993 fino al 10 settembre 2001 in cui tutti sapevano (pure Putin!) ma siccome il cervello dell’allora presidente George “Dabliù” non era al momento raggiungibile (prego, riprovare più tardi) nessuno ha fatto nulla. Se in questi minuti introduttivi sperare di capire dettagli come, chi ha armato Al-Qaeda, come mai fossero così incazzati con gli americani, e come abbiano fatto a violare uno spazio aereo definito INVIOLABILE probabilmente dai padri pellegrini giunti nel nuovo mondo, scordatevelo! “P&P” regnano sovrani, quelli con l’asciugamano in testa sono i cattivi, chiaro? Sono brutti, sporchi e cattivi, infatti più avanti nel corso del film ci mostrano il capo dei Talebani, vestito tutto di nero in modo che sia chiaro che lui è il cattivo, che fa cose da cattivo, tipo sparare a madri Afghane e interrogare povere bambine facendo loro domande difficilissime del tipo «Quanto fa 15 x 4?». Vorrei fosse una mia battutaccia ma lo fa davvero nel film, giuro!

«Barbari, chiedere addirittura le moltiplicazioni, devo fare qualcosa!»

Se il cattivo è brutto e vestito di nero, il buono non può che essere bello, biondo e con gli occhi azzurri di Chris Hemsworth, che insieme a sua moglie e sua figlia, entrambe bionde e con gli occhi azzurri vedono sulla loro tv di casa, pure lei un po’ bionda e con gli occhi azzurri, le immagini dell’attentato di New York (sempre NY, Washington non se la caga nessuno) e già sanno che loro marito partirà, anche se ha già fatto domanda per un posto d’ufficio, senza aver mai preso parte a nessuna missione sul campo, dettaglio che gli faranno notare per il resto del film. Mentre io sono qui a chiedermi perché hanno concesso una pensione anticipata ad uno che non è mai stato in missione, Chris Hemsworth va in missione con altri undici forti soldati come lui, due dei quali sono Michael Peña e Michael Shannon, che poi è la vera ragione per cui ho deciso di guardare il film, mannaggia a lui e al suo capoccione, questa volta mi ha proprio fregato!

Ci trovo qualcosa di male in un film americano in cui ci viene raccontata la risposta, o il tentativo di risposta, ad una batosta presa sul campo? No assolutamente, prima di perdersi in chiacchiere era l’argomento alla base di [INSERIRE-QUI-AGGETTIVO-DI-VOSTRA-SCELTA] “Pearl Harbor” (2001), guarda caso un film prodotto da Jerry Bruckheimer, ma se per questo anche di “L’ultimo attacco” di John Milius. Ecco, Milius, uno che con la trama di “12 Soldiers” avrebbe tirato comunque fuori qualcosa di degno, invece ciccia, ci tocca il quasi esordente Nicolai Fuglsig.

«Cos’è quella cosa orrenda papà?» , «La Bara Volante, non guardare piccola»

Mettete in preventivo anche la rituale scena in cui Chris Hemsworth (ve lo ricordo, esperienza di combattimento sul campo, ZERO) si dimostra il più efficace per la missione perché il suo approccio fresco gli fa vedere le cose con occhi (azzurri) nuovi, oppure perché semplicemente nei film di Jerry Bruckheimer, i protagonisti sono sempre i migliori nel loro specifico campo. Se si guadagnano da vivere attaccando francobolli sulle buste, beh allora loro devono per forza essere i migliori incollatori di francobolli del mondo! Ed ovviamente sono americani, perché nessuno può essere meglio degli americani cazzarola! America… FUCK YEAH!

Superato questo scoglio, il film parte anche bello agile, gli uomini sono motivati, le dinamiche di gruppo magari non sono proprio quelle dei sette samurai di Kurosawa, e il cast non vanta le facce note dei Magnifici sette, però tutto si allinea nella direzione giusta, complice la locandina che promette soldati a cavallo, viene quasi da sperare di stare per assistere ad un moderno western, di propaganda quanto vuoi sì, ma con Al-Qaeda al posto degli Indiani, certo non il soggetto più liberale del mondo, ma a questo punto dovreste averlo già digerito come concetto no?

Oh! Persino Michael Shannon parte gagliardo, la tuta mimetica non nasconde il suo enorme capoccione, però è impegnato nell’inedito ruolo del personaggio del gruppo che fa le battute ironizzando su tutte le sfighe, non dico proprio il soldato Hudson di Aliens – Scontro finale però quasi, un paio buone le spara pure. Tipo quando si prospetta un volo non sperimentato tutt’altro che comodo sullo Chinook, con il portellone aperto se ne esce con «Come il programma Apollo, sai chi hanno mandato prima? Le scimmie» e poi per tenere alto il morale butta lì una «Usano i Chinook perché dopo saremmo belli incazzati!». Insomma vai Michael! Tieni alto l’onor… No niente, come un ciclista fuori forma Shannon da tutto subito e poi si limita ad impersonale il mio livello di coinvolgimento con questo film.

Ragà non fate sedere Shannon altrimenti è finit…
…Ok come non detto, ormai è andata!

Recentemente ho scoperto Coccinema, che scrivendo di questo film ha idealmente assegnato a Shannon il premio di “Migliore Interpretazione Maschile sdraiato su una roccia”, definizione molto azzeccata. Non va meglio all’altro Michael, Peña la cui caratterizzazione consiste nell’ex insegnate (come Tom Hanks in “Salvate il soldato Ryan”) di storia, lo si capisce perché è l’unico del gruppo che sa che NESSUNO ha mai conquistato l’Afghanistan, che è finito a fare il militare per evitare la galera dopo che uno ha aggredito la sua ragazza. In pratica la versione distorta di Nicolas Cage in “Con Air” (sempre prodotto da Bruckheimer), fine della caratterizzazione. Passiamo al film.

Navid Negahban interpreta il contatto in Afghanistan, il capo della resistenza, il generale Abdul Rashid Dostum, quello costretto a lavorare spalla a spalla con l’americano inviato in missione di salvataggio, e non so voi, ma tutto inizia a farmi pensare immediatamente a “Rambo III” (1988).

Voi direte, però dai, quando gli americani trovano il modo di diventare soldati a cavallo, tutto diventa un western vero? Ehm no, nemmeno quello. Nicolai Fuglsig riesce nella spettacolare impresa di avere il tavolo imbandito e di non farci pensare, nemmeno per mezzo secondo ad un western in chiave moderna, non serve nemmeno che il campo base istituto dagli americani venga ribattezzato “Alamo”, proprio zero, bisognava davvero impegnarsi per riuscirci. Ma poi, di quale western vuoi parlare se alla prima scena la credibilità dei personaggi crolla sotto le suole dei loro stivali?

Era già pronto per essere un western invece, invece ciccia!

Guidati da Dostum verso un accampamento Talebano Chris Hemsworth si prepara a comunicare le coordinate per l’attacco aereo, hey aspetta! Come facciamo a sapere che non ci stai fregando e che quello laggiù è un vero accampamento Talebano? Facile, li chiamiamo alla radio e gli diciamo che ci sono qua gli americani. Cosa che Dostum fa davvero, ottenendo in risposta via radio dai talebani una serie di «Fuck American! La torta di mele fa schifo! La statua della libertà non indossa le mutande!». Ok magari ho un po’ calcato la mano, ma vi giuro che l’identificazione del nemico avviene davvero chiamandolo via radio!

Da qui in poi il film diventa una serie di eroismi inutili, che fanno a cazzotti con l’idea del personaggio di Chris Hemsworth, che vorrebbe concludere in fretta, portare a casa tutti i suoi uomini e tornare a casa per Natale, possibilmente in tempo per vedere la replica di Una poltrona per due. Nicolai Fuglsig dirige tutto in modo estremamente scolastico, con la musica che termina proprio quando la sparatoria finisce, e soprattutto con la classica scena in cui una bomba esplode accanto al protagonista, e tu in poltrona sei lì che pensi: Arriva il momento dell’acufene con il protagonista stordito che vede i suoi compagni morire a rallentatore in stile “Salvate il soldato Ryan” in cinque, quattro, tre, due, uno… Cosa che puntualmente avviene, solo che poi nella scena successiva, Chris Hemsworth non ha più nemmeno la polvere e la fuliggine sul volto, vuoi mica che non si veda bene in faccia no?

Soldati americani completamente allo scoperto e senza nessun posto dove nascondersi sparano, e centrano in pieno cattivi Talebani ben nascosti dietro mura di roccia, e anche la tanto annunciata battaglia con pochi uomini contro 50.000 soldati di Al-Qaeda, si risolve con una scoreggia nel vento, roba che ti fa pensare, non dico avere addirittura John Milius alla regia, oppure i grandi film d’assedio che sono l’anima del cinema, ma per lo meno Michael Bay! Ecco, il buon Michele Baia ha tantissimi difetti, ma proprio tanti, però a chi lo critica dico, guardatevi questo “12 Soldiers” e poi date un’occhiata a “13 Hours” (2016), sono entrambi film di becera propaganda, ma dovreste notare una minima, proprio minima, differenza nella regia, appena appena, impercettibile.

Questi sarebbero i 50.000 nemici? Qualcuno ha risparmiato sulle comparse.

Ma poi io dico, se tutto deve sembrare una parodia fatta male di Rambo III, tanto vale infilare una scena in cui davanti ai tanti nemici, Michael Shannon chiede a Chris Hemsworth «Allora che facciamo?» e quello gli risponde «Circondarli, lo escluderei». No sul serio, fatele bene le cose se proprio dovete farle!

Tornando su una questione che mi sta a cuore, Shannon da più di metà film in poi, rappresenta il mio livello di coinvolgimento con la pellicola, in ogni scena è seduto, il più delle volte come detto, proprio sdraiato, quando Hemsworth fa il suo discorso motivazionale prima dell’attacco, lo vediamo rispondere «Andiamo» con l’enfasi di quando Marina Massironi ai tempi dei Bulgari diceva «Brrrr rabbrividiamo». Ma il bello è che a fine film, pure Michael Peña si ritrova impegnato con una riga di dialogo in cui gli vengono decantate le bellezze dello stare finalmente seduti, questione che Shannon aveva già capito dopo la prima mezz’ora di film.

«Potevo stare seduto!?! Ed io ho fatto tutto il film in piedi!»

Tutto si conclude con le solite foto dei veri soldati, quelli protagonisti del libro di Doug Stanton, e la sensazione generale che se avessi passato gli ultimi vent’anni in una caverna, sulla base di questo film, penserei che laggiù in Afghanistan abbiano vinto gli americani. Ma d’altra parte, finché la scritta “Hollywood” starà sopra le colline di Los Angeles e non tra le montagne Afgane, la storia non la faranno i vincitori, ma quelli con più soldi da investire nell’industria cinematografica.

Ultima prima di andare giuro, vista l’atmosfera amarcord legata al logo della “Jerry Bruckheimer Films”, il titolo del post è un omaggio alla “Morelli’s Movie Guide”, ormai scomparsa (credo) tra le risacche dell’Internet, un tempo lettura obbligatoria e fonte d’ispirazione. Sono sicuro che da un film così, avrebbero tirato fuori un gran pezzo. Vinciamo noi, ragazzi! (ma noi chi?).

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