Facciamo un piccolo giochino vi va? Una cosa semplice per
scaldare i muscoli: io vi racconto l’inizio di un film e voi mi dite il titolo
ok?
Una città vuota, completamente abbandonata (ma con i
semafori funzionanti), in sottofondo il tema di “Scandalo al sole” (1959), a
bordo di una decapottabile rossa fiammante un tamarro con occhiali da sole e
posa da duro, che sgomma e romba nella città post-apocalittica dove lui è l’ultimo
uomo sulla Terra. Come si intitola il film? Se avete risposto “Io sono
leggenda” (2007) con Will Smith… SIETE ESPULSI A VITA DA QUESTA BARA!
![]() |
“Bravo Cassidy, severo ma giusto” |
Se invece avete risposto “1975: Occhi bianchi sul pianeta
Terra”, non solo avete letto bene il titolo del post di oggi avete
indovinato il film ma siete Bariste e Baristi di un certo livello. Siamo qui
oggi per festeggiare i primi 50 anni di un piccolo culto, uno dei tentativi da
parte dell’umanità di adattare l’inadattabile, ovvero quel capolavoro di “Io
sono leggenda” (1954) del Maestro Richard Matheson.
La storia di Robert Neville, ultimo uomo su un pianeta
popolato da soli vampiri, resta non solo uno dei libri più belli che abbia mai
letto nella mia vita, ma un capolavoro che ha influenzato la cultura popolare e che ha provato ad arrivare al cinema ben tre volte. La prima volta dieci anni
dopo l’uscita del romanzo di Matheson, ovvero nel 1964 adattato per il cinema
dal nostrano regista Ubaldo Ragona, il suo “L’ultimo uomo della Terra” con quel
suo evocativo bianco e nero e la prova estremamente teatrale di Vincent Price, resta un adattamento abbastanza fedele (almeno fino al finale), girato con poco più
che due spicci, un dettaglio non da poco che espone il film a parecchi difetti.
![]() |
Se fate i bravi, un post su “L’ultimo uomo della Terra” ve lo farà il prode Quinto Moro. |
Per assurdo forse il modo migliore per adattare il
capolavoro del Maestro Matheson è stato tradendo il materiale originale,
dimostrando di averne compreso a pieno la lezione, ancora oggi sono convinto
che il miglior adattamento cinematografico di “Io sono leggenda” sia La notte dei morti viventi di George A.Romero (la “A” sta per amore, giusto ricordarlo), che non ha mai nascosto
di aver tratto ispirazione proprio da Mathseon (storia vera).
Il secondo tentativo ufficiale di portare “Io sono leggenda”
al cinema è stato fatto nel 1971 e distribuito dalla Warner Brothers, che
disponeva di tutti i soldi che Ubaldo Ragona non ha mai visto in una vita
intera, infatti il risultato è un adattamento “libertino” firmato dai due
sceneggiatori John William Corrington e Joyce Hooper Corrington e costruito interamente
attorno al protagonista Charlton Heston, che non a caso nella scena iniziale
che vi ho descritto lassù, scende dalla sua decapottabile rombante, solo per
prendere a mitragliate gli albini incappucciati (parodiati anche in uno degli
episodi di Halloween dei Simpson, puntata 9×04, il segmento intitolato “The
HΩmega Man”) facenti funzione di sostituiti dei vampiri di Matheson e lo fa
solo, perché lui è Charlton Heston e non esce mai di casa senza un fucile
mitragliatore in tasca.
![]() |
“From my cold, dead hands” (cit.) |
La regia di “The Omega Man” porta la firma di Boris Sagal,
regista televisivo ricordato più che altro per questo film e per la sua
fissazione per l’uso smodato dello zoom: per farci capire che il protagonista
Robert Neville sta perdendo il boccino per colpa della solitudine, nella scena
dei telefoni che suonano tutti insieme, utilizza 47 zoom uno via l’altro, anzi
ve lo dico, questo film è un candidato ideale per un gioco alcolico, ma a patto
di avere un fegato d’acciaio Inox, perché dopo venti minuti di film (sui 98
totali) Sagal ha già utilizzato lo zoom selvaggio 276 volte, quindi
consideratevi Avvisati. Voi e il vostro fegato.
Ormai lo sapete benissimo, non parlo volentieri dell’ultima
volta che il romanzo di Matheson è stato adatto per il grande schermo nel 2007,
“Io sono leggenda” con Will Smith è fondamentalmente una truffa, perché di
fatto è un remake non dichiarato di “The Omega Man” in tutto e per tutto, dalla
scena iniziale che vi ho descritto, fino alla fissa del protagonista di parlare
con i manichini per cercare di stemperare la sua solitudine. Persino il colpo
di scena cretino per cui, di colpo l’ultimo uomo sulla Terra si rivela non
essere proprio l’ultimo ultimo, arriva direttamente da questo film, ma
utilizzato in maniera molto più involontariamente comica, per non dire proprio
idiota. L’ultima paraculata finale del film del 2007? Aver infilato le parole
«Io sono leggenda» per mettersi in scia al romanzo di Matheson, riuscendo
nell’impresa di farmi girare le balle due volte, per il remake non dichiarato
ma anche per il terzo (e peggiore) di tutti gli adattamenti visti al cinema.
![]() |
“Eccone un altro a cui piace la versione con Will Smith…” |
Ma prima di proseguire tocca affrontare l’elefante in mezzo
alla stanza: il titolo italiano di “The Omega Man” è tutto un programma. “Occhi
bianchi sul pianeta Terra” è la (lunghissima) soluzione scelta per sottolineare
la principale caratteristica degli albini infetti e “sbiancati” dal virus di cui Robert
Neville, immune più dell’APP, da anni cerca una cura. Ma la caratteristica più
gustosa è la data, ammetto di avere un debole per i titoli lunghissimi, una
tradizione tutta italiana che urla fortissimo anni ’70, ma i film con una data
nel titolo, che rendono immediatamente la pellicola post-datata mi hanno sempre
fatto impazzire, “1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra” ha entrambe queste
caratteristiche e l’anno scelto, che compare a chiare lettere (o numeri?) per di più è anche sbagliato!
Si perché l’idea di base del film è mostrare un mondo
post-pandemia e post-guerra atomica che avrebbe potuto arrivare dopodomani,
infatti il film è ambientato nel 1977, come confermato dalle registrazioni
datate di Neville. Il 1975 che ha tanto colpito i titolisti italiani fa
riferimento al calendario, fermo sulla pagina di marzo 1975, che Neville trova
in un laboratorio, che deve aver solleticato l’immaginario italiota, quindi un
film del 1971, di colpo è diventato “1975” quando invece avrebbe dovuto
intitolarsi “1977: Occhi bianchi sul pianeta Terra”. Basta, sto dando i numeri,
letteralmente!
![]() |
La solitudine dei numeri primi (in versione Bara Volante) |
“The Omega Man” per quello che mi riguarda completa la
trilogia-che-non-è-una-trilogia del Charlton Heston fantascientifico, tre
titoli di culto con protagonista il tostissimo Ben Hur, che sono uno meglio
dell’altro, di cui per certi versi “1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra” è
una specie di punto di equilibrio. Si perché qui lo ritroviamo solo contro un
mondo, non di SIMMIE ma di albini
incappucciati luddisti e alle prese con un mondo senza più risorse e
post-apocalittico come in 2022 i sopravvissuti. Insomma non so se si è capito, ma sono molto legato a questo
strambo e muscolare adattamento di Matheson che tradisce il materiale
originale, per regalarci un Charlton Heston più Charlton Heston che mai, uno di
quegli attori che ha saputo fare quasi tutto al cinema, anche imprimere la sua
presenza sul genere fantascientifico.
![]() |
Mutanti sì, ma con stile! |
Certo bisogna dire che “1975: Occhi bianchi sul pianeta
Terra” mostra tutti gli anni che ha sul groppone, ma è un film per certi versi
ancora attualissimo a cui non mancano abbondanti dosi di satira, ad esempio
quando assistiamo alla routine di Robert Neville, il suo parlare con i
manichini (o con un busto di Giulio Cesare) nel suo maniero, il suo “posto in
paradiso” come lo definisce nel film il capo degli incappucciati Matthias
(Anthony Zerbe). Un appartamento dove Neville cerca di salvare le opere d’arte
dal tentativo di distruzione da parte degli infetti, per certi versi un
antesignano del #Io reso a casa, che tra una partita a scacchi e una revolverata in testa a qualcuno degli albini, cerca
di non perdere (completamente) il senno.
![]() |
So di persone che nel “lockdown” hanno fatto anche di peggio. |
Trovo molto ironico che uno come Charlton Heston,
storicamente ricordato per le sue posizione di conservatore, abbia a
disposizione un unico film da vedere e rivedere in continuazione, uno per altro
piuttosto lontano da quelli che potrebbero essere i suoi gusti, visto che si
tratta del documentario “Woodstock” (1970), di cui Neville ripete a memoria le
battute come faccio io con Trappola di cristallo.
![]() |
Distanziamento sociale, anche al cinema. |
Attraverso i flashback scopriamo di un conflitto totale tra
Cina e Russia che ha messo fine all’umanità, ma in compenso il virus di cui
Neville è immune ha popolato il mondo di luddisti refrattari alla luce solare,
degli albini che si aggirano in tunica nera (e spesso occhiali da sole anche di
notte, che belli i film degli anni ’70!), che hanno pensato bene che le
macchine, l’innovazione e la tecnologia siano stati il mezzo che ha portato
alla distruzione, equiparando ogni invenzione, arma, mezzo a motore o opera
d’arte alla bomba sterminatrice. Neville quindi si ritrova ad essere l’ultima
linea di difesa contro una società organizzata di albini, che cercano di
stanarlo dal suo nascondiglio ogni notte, armati di catapulta nemmeno fossero
tutti dei novelli Maccio Capatonda.
![]() |
“… Come una catapulta!!” (cit.) |
Come dicevo in alcuni passaggi il film mostra tutte le sue
rughe, ad esempio vedere il vecchio Charlton vestito come una dandy, impegnato
nelle sue serate di gala con i manichini, che un momento dopo non si fa il
minimo problema a smitragliare gli invasori, fa sorridere. Così quando, passando le sue giornate a
cercare di stanare l’odiato Matthias, in una lunga e snervante caccia all’uomo
a distanza in pieno giorno, urla il nome del suo nemico con la furia con cui si sbraita, dopo aver sbattuto il dito del piede contro il frigo.
Nel secondo atto “1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra”
rallenta parecchio il ritmo, giocandosi molto meglio di quanto fatto nel film
del 2007 il colpone di scena. Quando Neville scopre di non essere l’ultimo
sopravvissuto, anche qui il film si gioca tocchi volutamente satirici.
L’incontro con l’ultima donna della Terra, non ha nulla a che vedere con quello
che accade nel romanzo originale di Matheson (dove tutto aveva più pathos ed
enfasi, bisogna dirlo), eppure è impossibile notare che la coppia composta
dall’ultra conservatore Heston e la proto-Coffy di nome Lisa (Rosalind Cash),
sia non tanto un caso di coppia mista, quando di opposti squisitamente
politici, visto che la ragazza sembra uscita sgommando (sulla sua moto) da un
film della blaxploitation, per finire a combattere contro i luddisti albini accanto al futuro presidente della NRA (National Rifle Association), ovvero il nostro Heston.
![]() |
Più anni ’70 di così, francamente non lo vedo possibile. |
Ovviamente tra i due non può non scattare il momento
“pomicione”, perché per utilizzare un giovanilismo, Heston sarà “The Omega Man”
ma anche un “Alpha Man”, quindi dopo anni senza vedere una donna non può perdere
l’occasione di spargere un altro po’ di testosterone sul grande schermo, come
ci si aspetterebbe da un divo come lui. L’entrata in scena dei “bimbi sperduti”
poi non fa altro che alzare la posta in gioco, e da qui in poi vale davvero
tutto, Heston può uscire illeso da un elicottero che precipita oppure
sintetizzare da solo il vaccino destinato a salvare l’umanità, e quelli di Pfizer…
MUTI!
![]() |
“Prima, seconda, terza e pure quarta dose. Crepi l’avarizia!” |
Nulla mi toglie dalla testa che la trasformazione di Lisa,
“sbiancata” in linea con gli occhi del titolo del film, sia un altro passaggio
più o meno satirico del film (così come la vera identità di Matthias), la morte che serve a motivare il protagonista
tutto azione di Heston, che infatti non si tira indietro nemmeno davanti al
momento della “frase maschia”: quando Matthias fa il suo monologo da super
cattivo, in cui blatera sull’aver ripulito e distrutto il mondo e su quanto ora, sia
giunto il momento di ricostruire, Heston lo stende con una lapidaria: «Casse da
morto devi costruire!» e giù di mitragliate come se non ci fosse un domani!
![]() |
Questo si è un caso di “whitewashing”, nel vero senso della parola. |
Lassù dicevo che il ruolo di Robert Neville per Heston sta
perfettamente in equilibrio tra quello di Il pianeta delle scimmie e quello di 2022 i sopravvissuti, ma a ben guardare nel finale la trama e Boris Sagal ci danno
dentro nel sottolineare il ruolo messianico di Neville, che prima fa un
monologo, un discorso al popolo dei bimbi sperduti sul trovare un nuovo posto
immacolato dove vivere, a cui pare manchi solo la conclusione «Let my people
gone!» strizzando l’occhio al ruolo Biblico dell’attore in “I dieci
comandamenti” (1956), per poi mandare a segno un finale che anche Cecil B.
DeMille forse avrebbe considerato fin troppo spudorato.
![]() |
Da Mosè a novello Gesù senza nemmeno passare dal via. |
Il super conservatore, mister “Dalle mie fredde mani morte” Charlton
Heston si sacrifica per salvare un gruppo di hippy (forse influenzato dall’aver
visto troppe volte “Woodstock”) e muore in una posa Cristologica a braccia
aperte che più esplicita di così non potrebbe essere. A rivederlo oggi questo
vecchio film è chiaro che abbia ancora delle cartucce da sparare, Heston deve averne conservata qualcuna. Mi è capitato di rivederlo poco tempo fa, visto il condizionamento
mediatico delle notizie, tra quarantena, isolamenti, prima e seconda dose e
Green Pass, il finale di questo film sembra voler dire: vaccinatevi! Charlton
Heston è morto per darvi una cura! Ma probabilmente sono io che come Neville,
ho visto troppi telegiornali come lui riguardava a ripetizione il film “Woodstock”.
Insomma, non potevo perdere l’occasione per festeggiare il
compleanno di questo film di culto, che tra tutti gli adattamenti sbagliati di
“Io sono leggenda” di Richard Matheson è quello con più personalità di tutti,
la prossima volta che qualcuno vi tirerà fuori quella porcheriola con Will
Smith, voi ricordategli la sua vera genesi, altro che il principe di Bel-Air la
vera leggenda è Charlton Heston!