Le gioie della vita: dormire fino a tardi, la birra fredda… I film di John Carpenter! Quello di cui parliamo oggi, è uno dei suoi migliori di sempre, serve aggiungere altro? Forse solo introdurre la rubrica, benvenuti ad una nuova puntata di John Carpenter’s The Maestro!

Non so voi, ma personalmente vado giù di testa per la fantascienza post datata, anche se spesso è frutto dei titolisti italiani, in ogni caso “1997 Fuga da New York” resta uno degli apici della carriera di John Carpenter, un film capace di sfornare iconografia a palate, un film talmente fondamentale che davvero non sono in grado di riassumerne la grandezza con un solo aggettivo, quindi non ci proverò nemmeno, farò una cosa molto più facile, lo farò entrare nel club dei Classidy! Non può esistere questo logo rosso senza questo film.

Dopo il grande successo al botteghino di Halloween – la notte delle streghe, la casa di produzione AVCO Embassy Pictures, chiese a Carpenter di sfornare il prima possibile un nuovo film, spingendo parecchio sul copione di “The Philadelphia Experiment”, ma Giovanni, come suo solito, aveva in mente qualcosa di più personale, passò la palla al regista Stewart Raffill e rimase a bordo del progetto solo in veste di produttore. Carpenter nel 1981 era già alle prese con una soggetto a cui temeva molto, una, ehm… COSA su un alieno che richiedeva almeno un altro anno di pre-produzione, ben felice di riempire l’attesa sfruttando la proposta di lavoro della AVCO, Carpenter cercò di proporre un western scritto insieme a Tommy Lee Wallace intitolato El Diablo che venne, però, bocciato. A quel punto Giovanni decise di rimettere mano ad un vecchio soggetto precedentemente scartato da altre case di produzione, perché considerato troppo pessimista, si trattava proprio della prima bozza di “Escape from New York”, la AVCO diede il suo “Go volo” per il progetto. Devono aver pensato: “D’altra parte, se abbiamo fatto i soldoni con un assassino di Baby sitter, non potrà mica essere un film più nero e pessimista di così, no?”.
Sempre con l’aiuto dell’amico Nick Castle, Carpenter completò la sceneggiatura definitiva, tra le varie fonti di ispirazione del Maestro, la fantascienza, rappresentata dal racconto di Harry Harrison “Planet of the Damned” la prima ispirazione per la trama generale del film, ma nella sceneggiatura pesano molto di più le altre influenze, due temi molto cari a Carpenter: il Western e la politica.
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«Ok Cassidy, ma sbrigati, non ho tempo da perdere a sentirti parlare di politica!» |
In “1997 Fuga da New York” Giovanni dà libero sfogo al suo amore per il suo genere cinematografico preferito, ma soprattutto la sua disillusione per la politica, il presidente alle prese con dei nastri contenenti informazioni scottanti, non è altro che una rilettura satirica dello scandalo Watergate.
La cassetta (e il presidente) da recuperare non sono altro che il MacGuffin che fa cominciare la storia, certo si potrebbe dire che è abbastanza assurdo che il governo non possieda una copia delle informazioni, ma tutto questo non fa che sottolineare l’assurdità delle azioni di chi tiene le mani sul volante del mondo, prima, ma di certo non ultima volta, in cui quel ribelle di Giovanni, prenderà a picconate il suo stesso governo.
In una New York futuristica (anche se ormai retrodatato) l’isola di Manhattan, circondata da un muro di cinta super-sorvegliato, è stata trasformata dal governo in un carcere di massima sicurezza, dove i prigionieri si sono organizzati in bande, un microcosmo dove sopravvive solo il più forte o il più spietato, come ci ricorda la voce narrante: “Una volta entrati, non si esce più.”
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Greeting from New York city! |
A proposito della voce narrante: si tende a credere che sia quella di una non accreditata Jamie Lee Curtis, in realtà, è quella della mitica Debra Hill, storica produttrice e collaboratrice di Carpenter che dopo aver prestato la sua manina per la scena iniziale di Halloween, qui contribuisce a livello vocale. Santa donna! La trama fa un balzo in avanti quando, nel bel mezzo della Guerra, il presidente (“Il presidente di che?”) degli Stati Uniti precipita con l’Air Force One nella città, il tempo stringe, l’uomo più potente del mondo e il nastro con le informazioni che trasporta dovranno arrivare in tempo al summit mondiale con gli altri Paesi, per non alterare il sottile equilibrio della guerra in corso. L’unico modo per salvarlo da quell’inferno, è mandare l’uomo più pericoloso del mondo, il suo nome è Plissken, ma preferisce essere chiamato Jena.
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Siamo sicuri che bastino due guardie in tenuta anti sommossa per lui? |
Jena Plissken è (l’anti) eroe Carpenteriano per eccellenza, un personaggio uscito da questo film per entrare dritto sparato a far parte delle più riuscite icone della storia del cinema. Il suo look immediatamente riconoscibile è diventato un marchio di fabbrica copiato e omaggiato al cinema, nei fumetti e nei videogames. Eroe di guerra decorato per le sue missioni a Leningrado, Plissken (Chiamami Jena!) sfoggia le stesse caratteristiche principali e la stessa passione per le sigarette del Napoleone Wilson di Distretto 13, infatti i due personaggi condividono la stessa frase tormentone: “Hai da fumare?”. Ribelle per indole e totalmente insofferente nei confronti dell’autorità (proprio come Carpenter), Jena (Chiamami Plissken!) è un anarchico che pensa solo a salvarsi la pelle e magari trovare una sigaretta, in un western urbano come “Escape from New York” lui è il pistolero solitario preceduto dalla sua fama.
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«Il pistolero di che?» |
Carpenter per la parte aveva in mente Clint Eastwood, la produzione, invece, propose il ruolo a diversi attori come Nick Nolte, che però, rifiutarono. Kris Kristofferson venne preso in considerazione, ma presto bocciato dopo il flop al botteghino de
I cancelli del cielo, un altro a rifiutare la parte fù Tommy Lee Jones, che per la seconda volta in carriera sfiorò la collaborazione con Carpenter, dopo aver già recitato in
Occhi di Laura Mars, ma i due si sarebbero (quasi) incontrati nuovamente più avanti… Tranquilli, ne parleremo in questa rubrica.
Alla fine la AVCO Embassy Pictures si convinse che l’uomo giusto per la parte poteva essere Charles Bronson. Secondo voi, il regista poco più che trentenne Carpenter, di fronte alla possibilità di lavorare con una leggenda come Bronson cosa ha fatto? Una mossa tipica di un tipo come John: “Naaaaa troppo vecchio, ho io l’attore giusto per la parte!”. Ciao Charlie, sarà per un’altra volta…
La proposta di John era Kurt Russell, i due erano diventati amici sul set del film tv Elvis il re del Rock, la risposta della AVCO fu un convinto: “CHIIIIIII?????” e mi immagino anche qualche svenimento in sala riunioni quando scoprirono che Russell arrivava dai film della Disney, tipo “Il computer con le scarpe da tennis”. Eppure, la scelta del grande Kurt per il ruolo fu a dir poco fondamentale per la genesi del personaggio.
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«Non ho la faccia di un peluche del Disney Store? Ho anche il nome da animaletto» |
“L’ingrugnato” (come lo chiama mio padre) s’inventò una parlata a toni bassi, ispirata a quella di Clint Eastwood, ma anche la scelta della giacca di pelle e della mitica benda sull’occhio, sono frutto dei suggerimenti di Kurt Russell, il più felice di tutti di poter finalmente interpretare un eroe d’azione dopo tanti film per la Disney. Pensate che Russell era così sul pezzo, che per testare l’efficacia della benda, un sera uscì dal set con indosso i vestiti di scena, il film è stato girato quasi tutto a St. Louis (tenetemi l’icona aperta che ripasso…) ora, non so se avete presente, ma la città del Missouri è poco raccomandabile di giorno, figuriamoci di notte! Girando per le strada malfamate Kurt Russell si trovò di fronte ad un losco figuro, che vedendolo conciato così indietreggiò spaventato cambiando lato della strada. Quando Kurt raccontò questa storiella a Giovanni, i due capirono di aver azzeccato il look giusto per Jena Plissken.
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«Ehi! Un tabacchi aperto qui a St. Louis a quest’ora, si trova?» |
Il nome del personaggio deriva da un compagno di scuola di Carpenter, come per il bullo che terrorizzava Wes Craven (tale Freddy Kruger… Storia vera) pare che Giovanni per una volta nella vita non fosse il gatto più strambo del vicinato, più colorito di lui c’era questo ragazzo Punk di nome Plissken, che andava in giro per la scuola ringhiando a tutti “Call me Snake”, da qui il nome del personaggio.
Sì, perché solo qui da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa il personaggio si chiama Jena Plissken, in tutto il mondo, invece, è noto come Snake Plissken, questo spiega anche il suo tatuaggio sugli addominali (o sul braccio come viene ritratto erroneamente in alcune locandine del film, diffuse prima che il personaggio trovasse il suo look definitivo). La scelta del nome Jena probabilmente è stata fatta per venire incontro alla scarsa diffusione delle lingua inglese in Italia, o più probabilmente per tentare di mantenere il labiale, in ogni caso ancora oggi il cambio di animale genera discussioni, persino Quentin Tarantino ha scherzato su questo argomento nel suo ultimo film The Hateful Eight, dove Kurt Russell viene nuovamente chiamato Jena (Hyena) da Bruce Dern… Però non gli risponde “Chiamami Plissken!”, purtroppo. Per completare il giro del mondo, Paese che vai, Plissken che trovi, in Corea, ad esempio, il personaggio si chiama Cobra… Noi Italiani doppiamo sempre farci riconoscere!
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Sarà pure sbagliata, ma è rimasta appesa in camera mia per ANNI! (storia vera) |
Nel corso del film, tutti i personaggi che incontrano Jena si esibiscono nella loro versione della frase: “Tu sei Jena Plissken… Pensavo fossi morto” (“I thought you were dead”). Questo tormentone potrebbe essere l’ennesimo omaggio di Carpenter al grande John Wayne, nel film “Il grande Jake” dove tutti ripetevano lo stesso quesito al protagonista, ma l’omaggio più evidente è il nome del cattivo del film, chiamato Il Duca (The Duke), più John Wayne di così si muore!
Il personaggio di Jena Plissken ha una aurea di mito (ma anche di uomo condannato) che lo anticipa, per sottolineare questo dettaglio fondamentale del personaggio, Carpenter ha deciso di lasciare sul pavimento della sala di montaggio una lunga sequenza, una delle poche ambientate fuori dall’isola-prigione di New York, ovvero la fuga in metropolitana dopo la rapina in banca di Jena e del suo socio Taylor (come il regista Don Tayor) interpretato da Joe Unger. La scena in sé è molto ben fatta, se volete
recuperarla è disponibile nei contenuti speciale dell’edizione in DVD del film, ma se volete saperla tutta, il Maestro tanto per cambiare, ha fatto la scelta giusta eliminandola.
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«Fermi tutti! Questa scena la tagliamo» |
Non solo perché è quella dove Plissken pronuncia più parole (più che in tutto il resto del film), ma soprattutto perché il personaggio mostra qualche sentimento che non sia l’assoluto disgusto contro tutto e tutti, tanto che viene arrestato proprio per correre in soccorso al suo compare. L’unico rammarico viene dal sacrificio di un (ottimo) brano della colonna sonora “The Bank Robbery” composta da… John Carpenter, ma dai questa era facile, suvvia!
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My daddy was a bank robber, but he never hurt nobody (cit.) |
Oltre a sfornare con l’aiuto della performance di Kurt Russell un personaggio degno del Valhalla cinematografico, Giovanni Carpentiere fa un lavoro enorme anche nel mostrare l’altra grande protagonista del film, ovvero la città di New York.
Riprendendo quell’icona lasciata aperta lassù: una sola scena del film è stata girata nella grande Mela, quella iniziale dove l’elicottero (altra grande passione del regista) vola intorno alla statua della libertà, il resto del film è stato interamente girato a St. Louis… Ma mi rendo conto che “Fuga da St. Louis” non suona figo come il titolo definitivo.
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New York, la (Grande?) Mela. |
La città di St. Louis era stata funestata da un enorme incendio da cui doveva ancora riprendersi e, siccome già di suo non è proprio un posticino raccomandabile (sempre se non andate in giro con una benda nera su un occhio…), era la location ideale per la città-prigione del film. Carpenter è riuscito a convincere il comune a togliere la corrente a dieci isolati della città, per sottolineare lo stato di abbondono dei carcerati, oppure era solo un modo per risparmiare sul budget e non pagare le bollette, sentite me, Giovanni è un dritto.
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I tradizionali titoli di testa del film, come vuole questa rubrica. |
Nell’ottica del risparmio più totale, Carpenter è riuscito a cavare sangue dai centesimi del suo, non propriamente stratosferico, budget (sei milioni di ex Donald Pleasence defunti stampati su carta verde), anche nelle scene del volo di Jena con l’aliante, invece di spendere soldi inutili, il volo aereo è stato ricreato con il solito gran talento di Carpenter nel portare in scena la soluzione più efficace ed economica possibile.
Un paio di primi piani su Kurt Russell (“Plissken… Plissken, che cosa fai?” , “Mi sto masturbando, ora atterro”, guardate che ve lo cito tutto a memoria questo film, eh!), alternati alle inquadrature aeree simulate sullo schermo computerizzato dell’aliante, ma invece di spendere soldi in costose animazioni in 3D, per simulare il “Wireframe” (si chiama così in gergo) dei palazzi sottostanti, tutto è stato ricreato in studio, con un modellino in scala della città dipinto di nero, mentre i bordi dei palazzi in miniatura sono stati ripassati con una vernice fluorescente, una carrellata con la macchina da presa e via, ecco fatto il vostro skyline in 3D fatto in casa… Colla vinilica? Roba da dilettanti!
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Sorvoliamo New York, la temperatura è di circa 20 gradi, e la vernice fluorescente si sta asciugando. |
Alla realizzazione del modellino lavorò anche un ragazzo canadese uscito dalla scuola di Roger Corman, tale James Cameron (storia vera) e subito dopo, il modellino della città venne riciclato per un altro film, una cosina intitolata “Blade Runner” (storia vera, secondo estratto).
Quello che Carpenter sa fare alla grande è trasformare la città di New York in un girone infernale, i prigionieri al suo interno risultano tutti quanti minacciosi e inquietanti, proprio come gli assalitori senza volto di Distretto 13, ad esempio i “Crazies”, gli abitatori delle fogne che catturano Maureen (interpretata da Season Hubley, allora fidanzata di Kurt Russell) ricordano molto gli Zombie di George A. Romero, omaggiato da Carpenter con uno dei personaggio più spaventosi e riusciti che popolano il film, chiamando Romero (appunto…) il biondino con i capelli assurdi, braccio destro del Duca, interpretato da Frank Doubleday, l’assassino del gelato di Distretto 13. Non so voi, ma ho sempre trovato il personaggio pauroso da morire, il modo in cui Doubleday ridacchia, o pronuncia le frasi in modo meccanico (“Se mi toccate muore, se non sparite entro 30 secondi muore, se ritornate muore”, ve lo cito tutto questo film!) lo rende spaventoso da morire.
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«Se non mi portate un gelato muore…» |
L’ambientazione notturna, poi, non fa altro che sottolineare la natura horror della storia, da questo punto di vista, l’aggiunta del direttore della fotografia Dean Cundey al cast tecnico è stata la scelta migliore per un film ambientato interamente di notte. Il ritmo è impeccabile, Carpenter domina alla perfezione i tempi del film, rallenta e allunga le attese sottolineando la pericolosità degli carcerati che popolano New York, ma anche la rassegnazione di Plissken (Chiamami Jena!), la scena in cui il personaggio raccatta una sedia mal messa e si siede meditando sul da farsi, è stata improvvisata da Kurt Russell sul set ed è finita direttamente nel montaggio finale, perché Carpenter l’ha ritenuto abbastanza Western per i suoi gusti.
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Affrontare questa città è una…Sfida infernale. |
Da quando Jena viene infettato con le capsule esplosive iniettate (a tradimento) nel suo sangue, che lo costringono ad accettare la missione suicida, il film diventa quasi in tempo reale ed è inevitabile anche dopo 8746 mila visioni ritrovarsi a trattenere il fiato per il destino di Jena (Chiamami Plissken!) impegnato in una corsa contro il tempo.
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«Che ora fai? Questo è fermo sull’ora di New York» |
Il Western è ovunque in questo film, se il protagonista è il pistolero solitario e gli abitanti di New York gli Indiani (nei titoli di coda del film, una delle gang ha proprio il nome “Indians”), allora le facce che popolano il cast non fanno altro ricordarci che “Escape from New York” è un Western travestito da film di fantascienza.
Iniziamo dal tassista, interpretato da Ernest Borgnine, personaggio creato in fase di sceneggiatura da Nick Castle (responsabile anche della scena finale, appena appena riuscita direi). Cabbie è il perfetto controaltare di Snake: sorridente e solare malgrado il luogo in cui vive, riesce ad essere l’elemento comico (non fastidioso) della storia e poi gente: Ernest Borgnine! Stiamo parlando della storia del cinema, quest’uomo ha fatto tutto e recitato con tutti i maggiori registi, se penso al numero di capolavori della settima arte in cui quest’uomo compariva mi gira la testa!
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Per elencare tutti i film mitici di Ernest, bisogna prendersi una settimana di ferie. |
Il personaggio che più di tutti dimostra il pegno d’amore di John Carpenter per il genere Western è l’alto commissario Bob Hauk, interpretato da Lee Van Cleef… Se avete un cappello in testa, questo è il momento di toglierlo.
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«Quando cerco qualcuno io lo trovo sempre. Per questo mi pagano» (Cit.) |
Carpenter è riuscito a convincere Lee Van Cleef andando a trovare l’attore nella sua casa, Van Cleef non se la sentiva di partecipare perché aveva un ginocchio molto mal messo dopo una caduta (ovviamente da cavallo), alla fine, però, accettò la parte perchè Carpenter gli disse che sarebbe stato seduto per la maggior parte del tempo, ma soprattutto che avrebbe potuto recitare tenendo l’orecchino, evidente il grande Lee ci teneva alla sua gioielleria da orecchio, perché accettò subito la parte.
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«Carino l’orecchino, lo fanno anche da uomo?» |
Lee Van Cleef in questo film è talmente figo che anche con gli occhiali a culo di bottiglia con cui guarda gli schermi, risulta stiloso da morire, inoltre con la sola presenza fa aumentare il carisma del protagonista, quando realizzi che Jena (Chiamami Plissken!) sta rispondendo malamente a “IL CATTIVO” allora capisci davvero che Snake è fatto di un’altra pasta: “Fate un nuovo Presidente…” No, dai, basta altrimenti ve lo cito frase per frase questo film!
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Questa foto è talmente mitica che forse me la faccio tatuare. |
A contribuire alla nutrita compagine di personaggi coloriti, abbiamo anche la coppia composta da Maggie e Mente (Brain in originale) interpretati da due miti come Adrienne Barbeau (allora moglie di Carpenter) e dal leggendario Harry Dean Stanton (sempre sia lodato!). Con veramente pochissimo Carpenter tratteggia due personaggi fantastici: Maggie è la tipica eroina tosta Carpenteriana, risoluta nei modi e fedele fino alla fine, tanto da guadagnarsi la stima di Jena, che senza dire una parola asseconda la scelta della donna di affrontare il Duca sul ponte nel tiratissimo finale del film.
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«Ehi! Occhio a dove punto quel cannone Adrienne!» |
Carpenter fece visionare il film completato ai produttori della AVCO, durante la proiezione speciale, una vocina sollevò una questione all’attenzione del regista: “Signor regista con i baffi? Dopo la sparatoria non si capisce che fine fa Maggie nel film”, “Hai ragione piccolo bambino fastidioso con gli occhiali tondi, ma dimmi un po’, chi sei? Come ti chiami?” “Sono il figlio del produttore, mi chiamo Abrams, J.J. Abrams” (Storia vera). Peccato che il Maestro sia stato un tale signore, da non aver strangolato sul posto il pupo spacca maroni, quanta sofferenza avrebbe evitato alle generazioni future. Forte della critica (sensata) Carpenter girò una scena extra, che mettesse in chiaro il destino di Maggie, una cosa piuttosto semplice da fare quando la protagonista è anche quella che trovi nell’altra metà del letto quando ti svegli la mattina. Infatti, la scena aggiuntiva venne girata da Carpenter e Adrienne Barbeau nel cortile della loro casa (storia vera).
Curioso, però, che il piccolo J.J. fosse così attento alla continuità nei film altrui, quando nei suoi i personaggi compaiono e scompaiono senza soluzione di continuità… Evidentemente, ha perso questa capacità con l’arrivo della pubertà.
Brain/Mente, invece, è il personaggio che serve ad approfondire il passato di Plissken (Chiamami Jena!), i due hanno dei trascorsi come ex commilitoni, anche se non si sono lasciati proprio da amiconi. La cosa curiosa è che anche Mente, proprio come Jena, sembra ossessionato dal proprio soprannome, tanto che risponde sempre stizzito, quando Jena provocandolo lo chiama Harold. Poi, vabbè, Harry Dean Stanton gente, cosa volete di più, una leggenda, anche lui ha lavorato con chiunque, regalando momenti epici della storia del cinema.
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«…E ho anche inventato il Trolley, storia vera!» |
Nei panni del dittatoriale Duca di New York troviamo il grande Isaac Hayes, leggenda della musica Soul e noto al pubblico più giovane come il doppiatore ufficiale di Chef, il cuoco della scuola di “South Park”. Il Duca, antesignano della automobili “Pimpate” (nel suo caso con lampadari sul cofano), è il personaggio che incarna il ribaltamento dei ruoli all’interno della prigione-città di New York, la velata critica Carpenteriana sottolinea come un leader nero, nell’America degli anni ’80, possa esistere solo in un mondo senza regole.
Isaac Hayes ha contribuito alla caratterizzazione del personaggio inventandosi il tick all’occhio, effetto collaterale della vistosa cicatrice (finta) sul volto del Duca, l’idea piacque molto a Carpenter e finì dritta nel film.
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You see this cat Isaac is a bad mother (Shut your mouth!) But I’m talkin’ about Isaac Hayes (Then we can dig it). |
Un altro attore feticcio di Carpenter presente nel film è il grande Donald Pleasence, che qui interpreta il presidente degli Stati Uniti, malgrado il fatto che sia nato e cresciuto in Inghilterra. Questo turbava parecchio Pleasence che si rivolse al suo regista per chiedere spiegazioni in merito, Carpenter con il solito piglio che lo contraddistingue rispose una cosa del tipo: “Tranquillo Don, recita pure con il tuo accento Inglese, fai conto che il tuo personaggio sia il figlio di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher”, l’ho già detto che questo è un film politico vero?
A proposito di capi di stato, tra gli assistenti del presidente sull’Air Force One, fa una piccola parte anche Steven Ford, figlio dell’Ex Presidente Gerald Ford… A questo punto siete liberi di dire “Il presidente di che?”.
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L’espressione di Pleasence nel finale resta un capolavoro! |
Tra le varie sfide che Jena Plissken deve affrontare nella sua corsa contro il tempo, anche un duello sul ring con un enorme lottatore, interpretato da Ox Baker. Durante la scena Baker continuava a malmenare pesantemente Kurt Russell, che ad un certo punto disse: “Basta adesso” e afferrò per le palle Baker, ma non in senso figurativo, lo minacciò davvero di strizzargli quello che i francesi chiamano “Il secondo cuore” se non si fosse dato una calmata. Risultato: uno dei due portò a casa la pelle, mentre l’altro le palle.
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«Ox abbassa le braccia, in prima fila uno è svenuto» |
É impossibile non parlare dalle musiche del film, come al solito curate da Giovanni, il tema principale di “Escape from New York” è uno dei più iconici e riconoscibili mai composto da Carpenter, a mio avviso perfetto nel sottolineare l’incedere di Jena Plissken e la sua natura un po’ sopra le righe (quasi da cartone animato), ma estremamente stilosa. Oltre al tema principale, uno dei miei pezzi preferiti è quello che sentiamo durante l’inseguimento sul ponte minato, ennesima dimostrazione che la musica nel cinema di Carpenter va di pari passo con le immagini, aumentandone esponenzialmente il valore.
Quando uscì nelle sale, “1997 Fuga da New York” costato solo 6 milioni di dollari, portò a casa 25 milioni di bigliettoni verdi, ma i numeri non dicono del perso specifico di questo film, il suo lascito va misurato sull’effetto dirompente che ebbe sulla cultura popolare. Qui in uno strambo Paese a forma di scarpa, vennero sfornati una sere infinita di seguiti apocrifi ispirati al film di Carpenter, titoli come “2019 – Dopo la caduta di New York” di Sergio Martino, oppure “1990 – I guerrieri del Bronx” di Enzo G. Castellari. |
Un influenza sulla cultura pop che non si sconfigge nemmeno con gli antibiotici. |
Ma più in generale, senza questo film non sarebbe mai esistito il personaggio di Snake, nella celebre serie di videogiochi “Metal Gear Solid” e probabilmente persone come Robert Rodriguez e Neil Marshall ora farebbero un altro mestiere. Il primo cita “Escape from New York” ogni volta che ne ha l’occasione nei suoi film, mentre il secondo, quello che più di tutti ha appreso la lezione Carpenteriana, e ha messo su pellicola il suo amore per questo film quando ha diretto “Doomsday”.
Non passa anno se almeno una volta non mi rivedo, sempre con enorme piacere, questo capolavoro che unisce con sapienza fantascienza dispotica, omaggi al genere Western, il tutto condito da messaggi politici senza mai tirare via la mano. Quando si parla di aerei che precipitano su New York e atterraggi sul World Trade Center è chiaro che Carpenter ha saputo anticipare i tristi eventi futuri, sbagliando per altro di poco la data (1997 contro 2001), ma è in quello scambio di cassette finale, che per altro ricorda vagamente “Agente 007 una cascata di diamanti”, che Carpenter sottolinea tutta la sua disillusione per la politica del suo Paese.
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Giorni di un futuro passato. |
Plissken (chiamami Jena!) chiede al presidente cosa prova per le persone che sono morte per salvargli la vita, la frettolosa e distaccata risposta del capo di stato determina la reazione anarchica di Jena. Carpenter crede ancora nel suo Paese, esattamente come farà John Nada in “Essi vivono”, ma di fronte alla prova lampante che il “Buon” presidente non è tanto diverso dal dittatoriale Duca di New York, Jena, il vero alter-ego di Carpenter, interviene alla sua maniera. “Preferisco un fallimento alle mie condizioni che un successo alle condizioni altrui” diceva Tom Waits, qui è la stessa cosa.
Quando poi Bob Hauk propone a Jena di collaborare, lui ignora la proposta di fare parte dell’establishment, si riprende il suo nome e per la prima volta nel film risponde dicendo: “Chiamami Plissken”.
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«Hai anche l’accendino per caso?» |
Un finale Carpenteriano (quindi nerissimo) che è la somma di tutto il Giovanni-Pensiero, quasi un manifesto programmatico, raramente in un film di intrattenimento così ritmato abbiamo assistito a tante prese di posizione politiche e riflessioni sulla società moderna. Frank Sinatra cantava che se puoi farcela a New York, ce la puoi fare davvero ovunque e Carpenter nella sua immaginaria e dispotica New York, ha fatto la storia del cinema. Mi ucciderai ora, Jena? Sono troppo stanco… forse più tardi.
I ragazzi de
Il Seme Della Follia – FanPage italiana dedicata a John Carpenter, sulla loro pagina del Faccialibro, gentilmente ospitano questa rubrica, passate a trovarli, magari loro hanno da fumare!