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300 di Frank Miller (1998): Questa è la Sparta (di Miller)

1962 (D.C.). I coniugi Miller decidono di andare al cinema
con i loro figli, non vengono uccisi da un criminale durante un tentativo di
rapina fuori dalla sala, la perle della signora Miller non finiranno a rotolare
sparse nel vicolo, anche se uno dei due bambini a suo modo, diventerà Batman per davvero.

Il film scelto è “L’eroe di Sparta” (The 300 Spartans) classico
peplum – meglio noti qui da noi come “sandaloni” – diretto da Rudolph Maté, che
nella potenza del Technicolor colpisce l’immaginario del giovane Frank, anni
cinque, per il semplice fatto di non essere la solita storia in cui alla fine i
buoni vincono. Considerando che per tutta la carriera non ha fatto altro che
raccontarci di anti eroi, come quelli che popolavano “Sin City”, direi che la
serata al cinema è stata prolifica.

I 300 spartani di re Leonida restano nella testa di Frank
Miller a lungo, anche dopo che il ragazzo rivoluzionerà per sempre prima Daredevil e poi Batman, diventando uno dei nomi più grossi del fumetto mondiale.  
Nel 1995, per descrivere il piano di resistenza dei
protagonisti di “Sin City: Un’abbuffata di morte” (The Big Fat Kill), Miller
inserisce una vignetta in cui riassume la battaglia delle Termopili, disegnando
per la prima volta uno soldato Spartano, almeno in un fumetto che porta il suo
nome sulle copertina. I tempi sono quasi maturi.

La primissima apparizione degli Spartani, in un fumetto di Miller.

La leggenda vuole che per prepararsi a scrivere e a
disegnare “300” Frank Miller sia andato a fare ricerca sui luoghi del
conflitto, al netto del risultato secondo me, voleva solo andare in vacanza in
Grecia, ma resta il fatto che quando nel 1998 i cinque numeri che compongono la
miniserie uscirono per la Dark Horse Comics, le reazioni furono immediate,
Miller aveva colpito ancora.

Ha senso oggi, anno di grazia 2019 (D.C.) scrivere ancora
qualcosa su “300” di Frank Miller? Ora che anche l’ultimo dei tamarri
palestrati ha sostituito le frasi tipo «Forza e onore» di Massimo Decimo
Meridio, con quelle di re Leonida nella versione di Gerard Butler? Secondo me
si, anche perché altrimenti starei facendo altro (tipo leggere fumetti) invece
che scrivere, ma soprattutto perché tutta la forza di “300” di Zack Snyder, era
già qui tra questa pagine. Il fumetto nato idealmente dal film di Rudolph Maté, che grazie alle matite e alle chine di Miller e a colori della sua compagna di
lavoro (e nella vita) Lynn Varley, diventa più cinematografico del cinema.

La potenza del Technicolor tra le pagine dei fumetti.

Guardate tutti lì ora, fatto? Lo avete visto l’elefante? No,
non è uno di quelli portati da Serse per cercare di conquistare la Bara Volante
(anche perché non ci riusciranno mai, qui scriviamo e combattiamo nell’ombra se
necessario), si tratta dell’elefante nella stanza quando si parla di “300”.

Anche se in uno strambo Paese a forma di scarpa a lungo la
critica si è messa le fette di prosciutto sugli occhi facendo finta di non
vedere, Frank Miller è assolutamente di destra, così Repubblicano che il
rischio di etichettare “300” come un’opera di propaganda è forte, la deriva
(per non parlare proprio di declino) delle sue ultime opere tipo “Holy Terror”, sono l’ombra lunga su un lavoro che è spudoratamente schierato, come il suo
autore ha la schiena dritta e una volontà critica puramente Repubblicana.

Le trattative di pace, gestite con il garbo e la delicatezza Repubblicana Spartana.

Intervistato in merito Miller ha fatto affermazioni in linea
con il personaggio che vi riporto: «Su “300” ci sono due cose che voglio
chiarire. Una è che ho sempre trovato affascinante il modo in cui le società
libere dipendono dalle loro dittature interne per proteggersi. Cioè, quando
siamo in pericolo, non inviamo il Congresso degli Stati Uniti, mandiamo i
marines, che sono addestrati e classificati come abitanti di uno stato
totalitario, ma sono la nostra linea di difesa, ne abbiamo bisogno. È uno degli
aspetti paradossali di questa storia, i meno democratici dei Greci difendevano
la democrazia. […] L’altro aspetto ha a che fare con il fatto che ultimamente è
diventato di moda applicare modelli di moderni comportamenti civili a figure
storiche. Sembra che l’unica cosa che si possa dire oggi di Thomas Jefferson
sia che avesse schiavi, e quindi tutti i suoi successi e il suo genio sono da
gettare dalla finestra. Questo è molto ingiusto, perché è stato il suo
pensiero, insieme a quello degli altri, a portare alla fine della schiavitù».

Puro Miller al 100%, che però non la racconta proprio
giusta. La sua opera se analizzata dal punto di vista dell’aderenza storica,
è un disastro, le licenze poetiche si sprecano anzi non fanno che sottolineare
quanto a Miller interessi raccontare dei fieri guerrieri che difendono la
democrazia, contro l’invasione dei barbari dal (medio)oriente. Senza mai
rinunciare a quella vena iconoclasta che lo ha sempre contraddistinto, chiunque
non sia uno Spartano fiero con la schiena dritta, deve essere per forza un
collaborazionista corrotto, gli Efori rappresentano la chiesa – con cui Miller
non è mai stato morbido nelle sue opere, sto pensando ad alcuni numeri in
particolare di “Sin City” – ed è impossibile patteggiare per dei vecchi laidi affamati
di denaro, che concupiscono belle figliole per trasformarle nei loro “oracoli”,
virgolette obbligatorie.

Lievissime critiche all’operato della chiesa, accennate direi, quasi suggerite.

Prendete ad esempio Efialte, lo Spartano deforme salvato dal
volo giù dalla rupe dall’amore dei genitori, che finirà per tradire Leonida e i
suoi guerrieri. Per prima cosa Efialte era un pastore e non ci sono testi che
descrivevano il suo aspetto, la scelta di rappresentare il personaggio in
questo modo è tutta farina del sacco di Miller, che per “300” applica una
decisione radicale, dare a tutta l’opera un aspetto che ricordi in tutto e per
tutto l’arte Greca.

Ecco perché di fatto lo vediamo applicare la kalokagathia (si vede che ho fatto i compiti a casa?), l’ideale
delle perfezione fisica e morale per cui “gli eroi son tutti giovani e belli” (cit.)
mentre i cattivi sono orrendi e deformi, perché esteriormente devono
rispecchiare la loro malvagità interiore.

Cesare Lombroso avrebbe gradito tutto questo.

Nell’inseguire un aspetto da bassorilievo Greco, Frank
Miller ne approfitta per dare una spallata ad un formato che a lui da
disegnatore, non è mai piaciuto, quello del Comic Book americano (verticale, 17x26cm)
in favore di un formato differente, in Technicolor mi verrebbe da dire
(orizzontale, 35 x 25 cm) il cui l’impatto visivo è massimo, specialmente
quando i disegni si prendono tutta la tavola e magari le parole da leggere sono
pochissime a volte anche solo una («Marciamo»).

Se riuscite a togliervi dalla testa i sotto testi politici (piuttosto
ingombranti) e le giustificazioni (piuttosto raffazzonate) di Miller, ma soprattutto
se riuscite a dimenticare i paragoni con il film, che è diventato parte della
cultura popolare, leggere “300” anche nel 2019 (D.C.) è ancora un’esperienza unica.
Raramente il fumetto ha dimostrato di essere così vicino al cinema, anzi il
fatto che il cinema non abbia fatto altro che utilizzare ogni mezzo a suo
disposizione, per ricreare questi disegni, questa impostazione così dinamiche delle
vignette e questi colori sul grande schermo, beh fa riflettere sul fatto che un
media, come quello del fumetto, che da sempre soffre di complessi d’inferiorità
rispetto al cinema, per una volta ha fatto davvero la parte del leone. Una
resistenza contro le orde di Hollywood che solo Miller poteva organizzare, il
fatto che poi il vecchio Frank sia finito a dirigere film con risultati più che
rivedibili, è qualcosa che sarebbe meglio dimenticare invece (gulp!).

Resta incredibile, perché le sue tavole erano già puro cinema.

“300” ha il passo e l’estetica del grande racconto epico, la
morte degli Spartani non è un capriccio del destino, non è sfortuna, è un
tassello fondamentale per una vittoria da ottenere domani, i suoi personaggi
guidati da re Leonida affrontano la morte con la consapevolezza di chi, la battaglia
delle Termopoli l’ha studiata a scuola. Non hanno mai un attimo di esitazione
perché sanno che le cose dovranno andare così e perché essendo guerrieri, fanno
l’unica cosa per cui sono nati.

Miller disegna benissimo e gioca sporco (dopo vi spiego il
perché, lasciatemi l’icona aperta), alterna vignette piccole a quelle grandi,
che occupano tutta la pagina, sottolineando l’azione con potenti “Splash page”,
e considerando che il fumetto è un media statico (i disegni sono e saranno
sempre fermi immobili su carta) “300” è vivo, attivo e potente. Le enormi
pagine, il testo sempre breve e tagliente tipico della prosa di Miller, rende
la lettura velocissima, pura azione che si svolge su carta.

A scuola di soggettiva con Frank.

Come da tradizione Milleriana, l’umorismo latita, se compare
il più delle volte è caustico («Abbiamo condiviso la nostra cultura tutta la
mattina») e come ogni opera che si prende così tanto sul serio, si espone a
parodie, come quella geniale fornita da Leo Ortolani con il suo “299+1”, quando
dico che tutti dovrebbero vedere Guerre Stellari solo per potersi poi godere Balle Spaziali, vale lo stesso con i due fumetti di Miller e Ortolani.

Se lo avete letto lo amate. Se non lo conoscevate, ora volete leggerlo. 

Avevo una icona da chiudere, lo faccio subito, Miller gioca
sporco si, prendo in prestito il titolo della parodia per spiegarlo: i suoi 300
Spartani morti per la gloria (e la vittoria a lungo termine) in realtà sono “299+1”,
l’ultimo è quello che fa da voce narrante, colui che re Leonida guidato dalla
saggezza dell’uomo moderno che la battaglia delle Termopoli l’ha studiata alle
medie, sa che qualcuno dovrà raccontare la storia perché il loro sacrificio non sia
vano. Quindi no caro Miller, puoi citare Thomas Jefferson quando vuoi ma sai
benissimo che questa è la tua versione della storia, raccontata con il
principio Fordiano per cui tra la realtà e la leggenda, vince la leggenda ma
anche il grande fumetto.

Ed ora tutti a cenare all’Inferno! Prima che me lo chiediate
in massa nei commenti si, non ho ancora finito la mia marcia, la prossima
fermata è Zack Snyder: Marciamo. Per l’onore, per la gloria. Marciamo.
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