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48 ore (1982): le basi di tutto il cinema che conta

Si possono fare tante cose in 48 ore, oppure molto poche
dipende dal punto di vista, Walter Hill le sue le ha usate al meglio, benvenuti
al nuovo capitolo della rubrica… King of the hill!

Pare che il soggetto originale di “48 Hrs.” fosse stato
pensato per diventare un film con Clint Eastwood e Richard Pryor, ma la volontà
del vecchio Clint di interpretare un criminale lo portò a preferire il ruolo
da protagonista in Fuga da Alcatraz
(storia vera) facendo cadere nel limbo produttivo la sceneggiatura scritta da Roger
Spottiswoode, quello di “Terror Train” (1980).

Dopo il tonfo al botteghino di quella bomba di I guerrieri della palude silenziosa,
Walter Hill accetta un film sulla carta meno personale, ma siccome è un uomo di
cinema come non ne fanno più, fa sua la materia e sforna, robetta, forse il
“Buddy cop movie” definitivo, un’etichetta che Hill non ha mai amato molto per
il suo film, ma non cambia il fatto che tutti i film giusti, siano nati qui,
l’origine, il punto zero, una pietra miliare, oppure come li chiamiamo qui alla
Bara Volante: un Classido!

Badate bene, il “Buddy cop movie” non è stato inventato dal
nostro Gualtiero, esistevano già titoli come “Una strana coppia di sbirri” (1974)
con James Caan e Alan Arkin, ma è innegabile che “48 Ore” abbia definito i
canoni del genere per sempre, battendo per primo la strada che tutti gli altri
avrebbero seguito dopo di lui, il papà di tutti i film di una categoria che amo
molto, quella degli strambi sbirri.
Ma fosse solo questo! “48 ore” è il pezzo del domino che
colpito e cadendo per primo, fa partire, beh… L’effetto domino! Con questo film sono
iniziate carriere, sono state definite le regole e gettate le fondamenta, il
tutto in una cosina che dura 96 minuti e che viene data per scontata, come
troppa parte del cinema di un maestro come Walter Hill. Fatevi un giro in rete,
guardatevi la pagina italiana di Wikipedia dedicata a questo film, si perde tempo a scrivere di filmastri che non
meritano di essere ricordati nemmeno 48 ore, senza dare il giusto valore a
questa bomba, a volte non mi capacito di quanto Hill venga ignorato da tutti,
troppo spesso anche dagli appassionati di cinema.
Così iniziamo Gualtiero? Omaggiando uno dei miei film preferiti? Bravo!

Come abbiamo già visto anche in questa rubrica, Walter Hill
si è sempre definito essenzialmente un regista di film western, “48 Hrs.” è proprio
questo, il suo inizio lo mette subito in chiaro, un’inquadratura su un ranch
pieno di cavalli e alcuni detenuti ai lavori forzati a bordo strada, con tanto
di inquadratura sugli occhiali a specchio di una delle guardie che mi mangio
gli speroni, se non è un omaggio grosso così ad un altro classico.

“Ehi ti conosco, sei quello di Predator”, “Si è tuo sei quello che si è fatto licenziare da Aliens

Il detenuto Albert Ganz (l’attore feticcio di Hill, un James Remar più incazzato e pericoloso
che mai) evade con la collaborazione di un indiano chiamato Billy Bear che non
solo mette in chiaro che questo è un western, ma anche che i due sono una coppia
micidiale, visto che ad interpretarlo è quel pazzo furioso di Sonny Landham. I
due puntano verso San Francisco, il piano è recuperare la refurtiva di un loro
vecchio colpo da alcuni anni tenuta nascosta da Luther, che non solo è
il nome del capo dei Rogues di I guerrieri della notte, ma è anche interpretato dallo stesso attore, l’altro
feticcio di Hill, il mitico David Patrick Kelly.

Sulle loro piste però, finisce un pistolero solitario, come
lo scontroso Jack Cates, il classico sbirro che lavora da solo e che nemmeno
la rossa Elaine (Annette O’Toole un attimo prima di diventare Lana Lang) riesce ad addolcire. Un
archetipo cinematografico lo so, ma per renderlo ancora più tosto e testardo,
l’unico modo era farlo interpretare ad una roccia come Nick Nolte.

“Hai una pistola in tasca o sei semplicemente felice di vedermi?”, “Ho una pistola in tasca e sono felice di vederti”

Nick Nolte è un attore incredibile, per me è uno dei pochi
che riesce a risultare aggressivo stando fermo, anni di Football gli hanno
lasciato il fisico di uno che pare nato grande e grosso, per anni è stato
proposto per ogni tipo di ruolo, da Superman a Jena Plissken, tutti rifiutati perché la testa è quella di uno che
è finito in galera per evitare la chiamata alle armi (storia vera), ma proprio
per questo perfetto per uno refrattario alle regole come Jack Cates.

Vi ricordate quando il pianeta Terra ha scoperto Jonathan
Banks per il ruolo del tosto Mike in “Breaking Bad” e Better Call Saul, ecco, qui Banks compare due minuti, come uno dei due sbirri
a supporto di Jack Cates facendo, comunque la figura del mollaccione a confronto
del biondo.

“Ehi ti conosco, sei quello di…”, “Non ricominciamo con
questa storia, l’abbiamo già fatto due didascalie fa”.

Poco male, perché potrà comunque raccontare ai nipotini di essere
stato diretto da Walter Hill nella scena della sparatoria nell’albergo che non
solo è un manuale su come le sparatorie al chiuso dovrebbero SEMPRE essere
girate (roba che ti viene voglia di abbassarti per non venir colpito, anche se
sei seduto in poltrona), ma è il momento in cui Jack costretto a dare la sua
pistola al cattivissimo Ganz gli giura vendetta proprio come accadrebbe in un
western. La scena è stata particolarmente criticata per la sua violenza
dalla Paramount, motivo per cui Hill non ha mai più voluto lavorare con la casa
di produzione, una concessione fatta solo per il seguito di questa pellicola,
come vedremo più avanti nel corso della rubrica.

Walter Hill, il regista che è stiloso anche mentre sta dirigendo!

Per me “48 Ore” è un film da imparare a memoria per tutti
quelli che vorrebbero da grandi scrivere o dirigere per il cinema, una robetta
ad orologeria che è stata scritta dallo stesso Walter Hill insieme alla revisione
di Larry Gross e, tenetevi forte, Steven E. de Souza, occhio perché qui iniziamo il gioco dei gradi di
separazione!

Accanto allo storico produttore e collaboratore di Hill, Lawrence
Gordon proprio come per The Warriors,
troviamo anche Joel Silver. Le musiche, invece, da chi sono composte? Uno dei
miei preferiti di sempre, il grande James Horner. Il tema principale di “48 ore” è una cosina sincopata che ti prende per il
bavero, a cui Horner aggiunge un fraseggio solitario talmente riuscito che con
ben poche variazioni verrà utilizzato, quasi identico a se stesso, per la
colonna sonora di Commando che, guarda caso, aveva le musiche di Horner, era
prodotto da Joel Silver, ed era scritto da Steven E. de Souza e nel cast ci
recitava l’attore feticcio di Hill, David Patrick Kelly. Tutta gente che è
stata radunata insieme la prima volta dal nostro Gualtiero Collina, quindi,
quando dico che “48 Ore” è stato il primo pezzo del domino, parlo anche di
cosette come questa… Scusate se è poco.

“Lutheeeeeer? Giochiamo che ti spezzo l’osso del collo?”

Ma si parla ancora di fondamenta gettate da “48 Hrs.” anche nella scena
successiva, quando un incazzatissimo Jack torna alla stazione di polizia ed
incontra il suo collega Brion James. A proposito di attori feticcio del regista, Hill ci regala una lunga sequenza, dove gli stacchi di montaggio quasi non si
notano, non è proprio un piano sequenza, ma non cambia il fatto che sia
ipnotica lo stesso, anche se potrebbe distrarvi l’urlante presenza di Frank
McRae, uno che ha lavorato in molti film di Hill e di John Milius, ma qui per la prima volta
interpreta il ruolo che lo ha reso celebre: il capo della polizia incazzato che
parla solo urlando! Oltre al seguito di questo film, McRae ha ripreso il ruolo
in chiave più comica anche in “Palle in canna” (1993) e in Last Action Hero che era una parodia, ma anche un omaggio ai film
con i poliziotti. Lo sentite il rumore delle tessere del domino che cadono una
dopo l’altra?

“Sto solo prendendo fiato per poterti urlare contro ancora più forte”

Ma “48 Ore” entra davvero nel vivo quando Jack capisce che
per beccare Ganz, dovrà rivolgersi all’ex membro della banda del latitante, un
tipaccio sboccacciato di nome Reggie Hammond che qui è interpretato da Eddie
Murphy al suo esordio sul grande schermo.

“Ti sembra il caso di trattarmi così? É il mio primo giorno!” (tanto lo so che l’avete letta con la voce di Tonino Accolla in testa)

Ora, se Murphy entra in scena relativamente tardi nella
trama, è stato un po’ perché il comico era impegnato a completare gli sketch
per la settima stagione del Saturday night live, il celeberrimo show che lo ha
lanciato come comico televisivo, ma per prendere uno popolare al grande
pubblico per la sua capacità di far ridere e affidargli un ruolo da
co-protagonista in un western urbano travestito da poliziesco, ci vuole uno che
sa esattamente quello che sta facendo… L’ho già detto che Walter Hill è un uomo
di cinema con la “U” maiuscola, vero? Beh, dovrei farlo più spesso.

La prova di Eddie Murphy è talmente perfetta che convince
tutti, ai tempi il suo esordio in un film di successo, venne paragonato a
quello di Lauren Bacall in “Acque del sud” (1944), ma anche qui, fosse solo questo, l’anno successivo
Murphy conquisterà il Natale e quello successivo, scipperà il ruolo di protagonista
a Sylvester Stallone in “Beverly Hills Cop” (1984), pensate che sarebbe stato
possibile senza l’intuizione di Walter Hill? Considerando che il nostro Gualtiero,
intervistato sull’argomento, ha definito Axel Foley una continuazione del Reggie
Hammond del suo film, direi proprio di no.
“Prendilo dai”, “Ok, ma appena torno da Beverly Hills te lo riporto”

Nel cinema di Walter Hill ci sono sempre state coppie di
protagonisti, uniti dal caso, da una costante sfida, oppure da un’amicizia maschile, sempre composta da opposti,
Jack e Reggie sono la continuazione diretta di Chaney e Speed, con la variante che… Beh, potreste averlo notato
guardandoli, sono opposti anche nel colore di pelle e questo li rende l’incudine su cui sono state forgiate molte delle strambe coppie della storia
del cinema che conta.

“Incudini? Ma di che parla questo?”, “Lo stai ancora ad ascoltare? Ordina da bere piuttosto”

Basta dire che la frase «Non siamo fratelli, non siamo soci
e non siamo amici» che ritorna in un paio di occasioni qui, è stata ripresa
quasi identica in Die Hard – Duri a morire e senza questi due Shane Black non avrebbe mai potuto sfornare la
sua versione personale, ovvero Roger Murtaugh e Martin Riggs di Arma Letale. Questo dovrebbe mettere in chiaro che “48 Ore”
era il film che i nostri eroi cinematografici guardavano da bambini imparando
il cinema, di conseguenza, provateci voi a calcolare la statura artistica di
Walter Hill, perché a me già gira la testa.

Ma poi di cosa stiamo parlando dài, io sto qui a bombardarvi
di nome e di collegamenti perché mi sembra assurdo che Hill non venga
considerato il gigante che è, quando invece basterebbero Nick Nolte ed Eddie
Murphy che qui da soli fanno il film, i due sono talmente agli antipodi che,
ovviamente, risultano affiatatissimi, gli scambi di battute tra di loro sono
micidiali, all’altezza della regia di Walter Hill che è esteticamente perfetta
ed essenziale come al solito. I dialoghi filano via lisci come musica e sono
tutti conditi dal solito numero di parolacce, uno dei tanti marchi di fabbrica
del cinema di Hill, perché le persone nella vita reale s’insultano e non
parlano come in un film bollato PG-13, quindi è bellissimo poter sentire
cosucce tipo: «Mi chiamo come il fante di cuori, è il mio nome», «Non ti ho
mica chiamato stronzo Jack», «ti ci posso sempre chiamare io».

“Non dovresti fumare ti fa male”, “Anche il piombo fa male, fammi accendere o ti sparo”

Oppure uno dei miei preferiti: «Jack», «Eh?», «Mi racconti
una favola?», «Vaffanculo!», «Questa me la raccontava sempre mia mamma». Perché
in puro stile maschile, più i due s’insultano più fanno amicizia e da
spettatori potete solo scegliere se somigliate più al burbero Jack o alla
faccia da schiaffi di Reggie, ma sicuro che indipendentemente dal personaggio con cui vi riconoscete di più, l’altro
quasi sicuramente è quello che vi piacerebbe avere come
compare.

Sì, perché i due si sfidano continuamente, anche se il
momento in cui Reggie si conquista la stima di Jack è sicuramente la scena in
cui da solo il ragazzo nero con la lingua lunga, entra in un locale di razzisti
bianchi che sembra proprio il saloon di un vecchio western e si chiama anche “Torchy’s”
un nome ricorrente per i locali nei film i Walter Hill, compariva già in Driver l’imprendibile, ma lo troveremo
ancora nel corso della rubrica.

“Dillo di nuovo che Bowfinger non faceva ridere eh? Ti sfido dillo ancora”

Questa porzione di film diventa un piccolo Eddie Murphy Show
in cui lo “sceriffo” Reggie Hammond entra in azione, al resto ci pensa
Walter Hill, perché il finale del film – e dell’indagine dei due protagonisti –
va in crescendo, tra informatrici piuttosto incazzate armate di mazza da
Baseball, lo sport preferito del regista, che trova sempre spazio nei suoi film, anche con battute come «Dalle retta! Questa
si crede Joe DiMaggio».

“Non ti piace il baseball? Tra poco ti piacerà ancora meno”

Fino ad arrivare alla scena dell’inseguimento, quella
che non può mai mancare in un film d’azione, solo che qui Hill si
gioca una variante, poliziotti in auto che inseguono cattivi in fuga su un
Bus! Ed occhio, perché in questa rubrica i pullman diventeranno una costante
quasi quanto la Cadillac Blue decappottabile di Jack, tutti segni distintivi del cinema di Gualtiero Collina.

“Perché andiamo in giro su questo scassone?”, “Piace al regista, e non farti sentire mentre insulti la macchina”

Insomma, se i dialoghi sono micidiali e divertentissimi, la
regia di Walter Hill non è certo da meno, essendo lui (insieme a Michael Mann)
il più grande feticista delle scene in metropolitana del cinema americano,
quella di “48 Ore” è un altro esempio del talento cristallino di Hill, una
scena tiratissima con un’infinità di inquadrature e un quantitativo di stacchi
di montaggio che ogni volta che provo a mettermi a contare, mi perdo per quanti
sono.

Il finale è degno di un western urbano ed ogni western
che si rispetti deve finire con una sparatoria, che riesce ad essere anche
piuttosto cruenta, perché Hill maneggia benissimo i tempi da commedia del “Buddy
movie”, ma anche l’azione più tosta, come
sempre, con una colonna sonora degna di nota. Oltre all’alpe già citate musiche del grande James Horner, il gruppo dei The BusBoys, oltre a comparire
nel film intenti a suonare la loro “New Shoes”, prestano il loro brano “(The boys
are) back in town”, perfetto per la coppia di protagonista e anche per
piantarsi in mezzo alle vostre sinapsi per ore dopo i titoli di coda.

Tipi tosti, luci al neon, strade bagnate dalla pioggia. Signore, signori, il cinema, quello giusto!

Insomma, adesso che ho scritto più parole della pagina di Wikipedia
dedicata a questo film, mi sento come uno che un po’ ha contribuito a raddrizzare
un torto. Probabilmente avete sentito parlare di un essere onnipotente anche
noto come Dio, so che ha parecchi seguaci nel mondo, quindi dovrebbe essere
abbastanza popolare, ora io non voglio risultare blasfemo, ma solo molto convinto
nelle mie parole, pare che Dio abbia creato il mondo in sette giorni, a Walter
Hill, tipo schivo e di poche parole, molto più modestamente, ha sfruttato le
sue 48 ore per creare tutto il cinema giusto, scusate se è poco.

La prossima settimana, invece, la rubrica continua, vi
consiglio di scaldarvi i timpani con qualche pezzo come si deve, magari uno di
Springsteen, perché sta per arrivare il capitolo più musicale di tutti! Intanto come al solito, vi ricordo di fare un salto su IPMP per la locandina di questo film.
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