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57 canali e niente da vedere: Cobra Kai 6 parte 2, Tulsa King 2, Grotesquerie, What If…? 3, Landman, Star Wars Skeleton Crew e ACAB

Torna l’appuntamento dal titolo Springsteeniano con le ultime serie viste di recente, non perdiamo altro tempo e cominciamo subito, come al solito, musica!

Cobra Kai
Stagione:
6 Parte 2 (2024)
Dove la trovate: Netflix

Non mi va di ripetermi, lo spezzatino fatto da Netflix non ha senso, prima hanno avuto l’idea giusta di chiudere una serie alimentata con il sondino, ma per strizzare il limone fino alla fine, la sesta stagione finale è stata spezzettata in tre parti, con l’ultima tornata di cinque episodi per non si sa quando, ma nel 2025.

In queste cinque puntate va in scena il Sekai Taikai, il grande torneo adolescenziale di Karate che porta il Miyagi-Do a Barcellona, tra avvicinamenti e mini risse con gli altri Dojo in gara, ovviamente anche il Cobra Kai di John Kreese, che per lo meno con una riga di dialogo giustifica (giustifica? Vabbè, snocciola una scusa) per spiegare come mai un criminale evaso possa andare in giro armato di coltello in prossimità di ragazzini, che è un po’ il tema di questa sesta stagione, parte due.

Con tutti i suoi difetti, la serie era nata e con il suo essere una storiella per bambini che spiegava che il Karate, e in generale le arti marziali, se prese per il verso giusto, potevano essere un ottimo modo per rafforzare il carattere, trovare un equilibrio interiore e in generare, vivere una vita più serena.

Nemmeno un sommesso Bro-fist, saluto ufficiale della Bara, vi farà guadagnare punti.

La serie tv iniziata come un gioiellino ha preso una deriva per cui, chiunque pratichi arti marziali, dai Sensei e poi a cascata agli allievi, sia un pazzo, sociopatico, potenzialmente pericoloso e spesso a capo di un Dojo pieno di minorenni. Tutta la questione sul passato misterioso del Maestro Miyagi è un brutto caso di Retro-Continuity gestito anche molto male, perché tanto nella “Parte 3” scopriremo che oh raga, stavamo a scherzà! Di questo sono abbastanza convinto. Per ora restano dinamiche rimandate all’ultima cinquina di episodi e combattimenti che ormai, mi ricordano sembra di più i Power Ranger, che brutta fine per una serie che era iniziata così bene.

Commento in breve: smettetela, chiudete, ormai è accanimento terapeutico sul serio, basta!
Chi ne ha scritto meglio di me: chiunque direi, perché ormai questa serie è l’ombra di quello che era e mi annoia anche seguirla.

Tulsa King
Stagione:
2
Dove lo trovate? Paramount+

Da buon appassionato di zio Sly, sono ben felice che uno degli eroi della Bara si sia accasato sul piccolo schermo grazie a Tulsa King, una serie su cui chiaramente Stallone sta allungando la sua ombra. Taylor Sheridan ha già i suoi ben casini nel gestire la grande rottura con Kevin Costner su Yellowstone, ha numerose altre serie da supervisionare e considerando le abitudini di Sly, preso sarà a pieno titolo il re di Tulsa.

Questa seconda stagione riprende dal colpo di scena con cui si era conclusa, Dwight Manfredi (Stallone nostro) in cella a distribuire buoni consigli ad un contabile, finito al gabbio per una truffa sui pannelli solari e preso a pugni dal più grosso della gabbia, un brutto assaggio di quello che finirà per patire una volta ospite delle patrie galere. Stall… Ehm Manfredi, gli regala due dritte e poi stende il grosso con un pugno di quelli dati bene ed io qui, devo esprimere tutti i miei dubbi su “Tulsa King”.

Sly vacci piano con quelli, sono alle erbe, fanno venire fame e gli occhi rossi.

Restando sul piccolo schermo, I Soprano metteva in chiaro che i protagonisti, potevano anche starci simpatici, ma erano mafiosi, quindi dei gran pezzi di merda, nemmeno la costola norvegese della nota serie HBO, ovvero Lilyhammer perdeva di vista questo punto. Ho spiegato il mio punto di vista nel post dedicato alla prima stagione di Tulsa King, ma con la seconda è chiaro che Stallone sia un personaggio più ingombrante del suo Dwight.

Non è un caso se in questa seconda annata, Manfredi affronti – alla grande – un processo che è uno degli episodi più riusciti ok, ma che si risolve con un: vabbè sono un mafioso, però che volete che sia, robetta. Non è nemmeno un caso che Manfredi metta su un business basato sull’erba sì, ma legale, certo, la coltivazione e i modi per procurarsi le piante sono tipici dei suoi trascorsi ma in generale, è chiaro che alla serie (e allo stesso Stallone) interessi più la parte in cui il suo personaggio è un capo, duro ma buono, che cede la sua Navigator al suo autista in modo che questo possa fare un regalo al padre e via dicendo.

«Non so se lo hai capito vaccaro, abbiamo sia Rocky che Rambo alle calcagna!»

Insomma, tutto si riassume con la prima scena, i trascorsi di Manfredi passano in secondo piano o comunque, ci viene chiesto di credere al suo nuovo essere un criminale sì, ma con una nuova etica in contrapposizione con i mafiosi di New York (quelli che lo hanno spedito in esilio), dove a tenere banco ovviamente è il ruolo che a Stallone viene naturale, quello di mentore, di motivatore di anime che ammettiamolo, è uno dei motivi per cui tutti quanti noi proviamo stima per Stallone.

Non è un caso che qui gli vengano opposti due cattivi, quello impersonato da Neal McDonough e Frank Grillo, che partono come malvagi e poi si fanno convincere dal punto di vista di Stall… Ehm, Manfredi, come tanti piccoli Apollo Creed. Niente, non riesco a separare, ma nemmeno questa serie, che sono piuttosto sicuro, sarà sempre più stalloniana con il passare delle stagioni, mi auguro tante perché è bello sapere Sly al sicuro nel caldo abbraccio del piccolo schermo, visto che l’alternativa è poca roba.

Parere in breve: Stallone sta per riprendersi tutto quello che è suo.
Chi ne ha parlato meglio di me: Manifestatevi! Non ci credo di essere il solo a guardarla questa serie.

Grotesquerie
Stagione:
miniserie (dieci episodi)
Dove lo trovate? Disney+ (FX/HULU)

Da che parte cominciamo? Ci provo da qui: io mi rendo conto che chi vive (fortuna sua) scrivendo di cinema o televisione, debba fare titoli, magari anche ad effetto, per farsi notare, emergere dalla massa o attirare l’attenzione sempre più limitata del pubblico, però calma gente.

Io stesso quando utilizzo un’iperbole, poi sistematicamente mi ritrovo con i soliti cagamin… Ehm, lettori che non comprendono il concetto e prendono ogni parola come farebbe Drax il distruttore. Quindi se Fangoria davanti all’ultima fatica di Ryan Murphy si gioca «Seven diretto da John Waters», ehi gente, avete la mia attenzione però, piano, calma.

Eppure io Morgan Freeman me lo ricordavo diverso.

Una trama che prevede un serial killer metodico che uccide in modo rituale, per un’indagine con toni e personaggi volutamente satirici, grotteschi, fin dal titolo che è una dichiarazione di intenti, “Grotesquerie”, sbilanciata miniserie di dieci episodi, che di Waters ha solo le ambizioni.

La migliore in campo, oltre a quella con tutta la trama sulle spalle resta Niecy Nash, nei panni dell’alcolizzata detective Lois Tryon, sulle piste dell’assassino che si firma Grotesquerie ed uccide creando diorama a tema religioso con i corpi delle sue vittime. A supporto la più improbabile delle colleghe, Suor Megan (Micaela Diamond) appassionata di true crime.

Sulla carta tutto quasi giusto, nella pratica il solito problema, troppi minuti da riempire, lo spazio dedicato alla figlia della protagonista che sogna di partecipare ad un reality show per persone soprappeso e un marito in coma, trasformato in oggetto sessuale dall’insopportabile infermiera Redd (Lesley Manville), un personaggio satirico un minuto, grottesco due e un attimo dopo insopportabile. Perché Ryan Murphy e i suoi compari come al solito non hanno il senso della misura e avendo anche troppo tempo da riempire, prolungano la barzelletta (carica di umorismo nero) così tanto da farla risultare non più così divertente.

Eppure io “Sister Act” me lo ricordavo diverso.

I personaggi grotteschi, la satira dei tic degli Stati Uniti (quindi del mondo occidentale) bisognerebbe saperla scrivere e da questo punto di vista, pochi sono il padrino del Trash John Waters, la maggior parte sono pacchiani e basta, specialmente se poi decidono di “concludere” (tra molte virgolette, in finale è frettoloso e abbastanza imbarazzante) dopo una sbilanciatissima svolta che arriva nell’episodio 1×07, che consiste nella stesa identica svolta di, come spiegarlo senza rovinare la visione a nessuno? Diciamo che negli anni ’80 esisteva una telenovela molto ma molto, ma moooooolto famosa, che dopo essersi giocata una svolta enorme, ha pensato bene (cioè male) di fare marcia indietro giocandosi una contro svolta, che poi è la più banale della storia, quella che di solito è la prima teoria per un finale davanti ad ogni trama un minimo intricata.

Il problema che questa svolta banalissima non solo non ha tempo di respirare (in tre puntate bisogna venderla al pubblico e chiudere l’indagine, infatti “Grotesquerie” fa malissimo entrambe le cose) ma si perde tempo in spiegoni per giustificare questa mossa che più la guardavo e più pensavo: «Davvero non sono riusciti a pensare a niente di più originale di questo?»

Insomma, non ci siamo, non ci siamo per niente, il potenziale era buono, il risultato pacchiano, una parodia dello stile irriverente che un tempo a Ryan Murphy veniva così bene e che ormai, mi sembra funzionare meglio lontano dalle storie a tema horror, bellissimo che Murphy sia uno di noi, ma il risultato bah, mi convince sempre meno.

Parere in breve: Murphy, va bene amare l’horror e John Waters, però anche no, grazie.
Chi ne ha parlato meglio di me: Manifestatevi!

What If…?
Stagione: 3
Dove lo trovate? Disney+

Continua la stanca corsa della serie antologica sugli scenari possibili dell’MCU, di cui in tutta franchezza, ormai vedo solo un tentativo di auto celebrazione nemmeno troppo riuscito, per una serie che poteva essere incredibilmente creativa e spumeggiante, invece funzionicchia solo quando si gioca una puntata su Howard il papero e la sua prole (l’episodio 3×04) che per tutti i Marvel Zombie che conoscono solo i film, vorrà dire poco o nulla, perché tanto questa porzione di pubblico non sa nulla della vera portata di un personaggio che nella realtà, ha corso per la Casa Bianca e che detta tra noi, sarebbe stato meglio di molti presidenti eletti.

Occhio Howard che Andrew W.K. potrebbe essere geloso!

Hulk contro gli Hulkbuster è una puntata che più che esplorare gli abissi della rabbia di Banner, manda un messaggio sull’importanza degli amici, quelli che ti accettano anche se sei verde di rabbia, così come la “Buddy comedy” tra il soldato d’inverno e Red Guardian, divertente perché movimentata, non per le battute del secondo. Si vede un po’ di pathos nel finale, basato sull’etica dell’Osservatore che in questa incarnazione, di rendere onore al suo nome senza intervenire proprio non è capace, insomma va bene altra azione per Capitan Carter, ma questa serie poteva essere veramente creativa, mi sembra solo un’autocelebrazione anche un po’ moscia.

Parere in breve: Proprio vero che i “What If…?” è meglio leggerli su carta.
Chi ne ha parlato meglio di me: Nel vostro universo parallelo questa serie esiste?

Landman
Stagione
: 1
Dove lo trovate? Paramount+

Per riprendermi dal finale disastroso di Yellowstone, ho pensato che – per restare in tema – quando si cade da cavallo bisogna subito rimettersi in sella, ecco perché mi sono lanciato sull’altra serie scritta da Taylor Sheridan, ovvero “Landman”, posso dirlo? Meglio, molto meglio.

A tener banco è un texano DOC come Billy Bob Thornton, un magheggione, piazzista che sa tutto di pozzi di petrolio e che sa come fare e farti fare i soldi con lotti, accordi, una mano lava l’altra e tutte e due estraggono petrolio. La sua vita lavorativa è fatta di chilometri macinati sul suo pick-up da mille mila cavalli, tra il lavoro duro degli operai e un gran casino a casa, rappresentato da due bionde pronte a portare lo scompiglio.

«Scusa ti devo lasciare, in questi giorni Cassidy pretende la mia presenza sulla Bara»

Si trattano della sua ex moglie Angela (Ali Larter, quella di “Final Destination” che qui passa il tempo a sfoggiare il fisicone che si porta dietro alla sua età, complimenti) e alla figlia diciassettenne in stato di “Eterno Spring Break” impersonata da un’attrice di ventisette anni, infatti con la Wing-woman ci siamo guardati dicendo: «Ah questa avrebbe diciassette anni? Ok»

Bastano loro due a far fare un salto indietro alle pari opportunità nelle serie tv di tre decenni.

Il protagonista ha anche un figlio, spedito a lavorare nei pozzi, che porta avanti le sottotrame più interessanti, anche perché “Landman” è una bellissima serie in cui ogni tanto le due bionde fanno le oche interrompendo il ritmo, superate loro due, diventa chiaro che Sheridan conosca benissimo il suo pubblico di riferimento, lui sforna serie per un pubblico fatto di maschietti bianchi etero-cis, se Repubblicani anche meglio. Infatti Angela sembra una Beth Dutton in tono minore e l’avvocatessa, ricorda troppo la fidanzatina ecologista di papà Dutton (autori, tengono a ripetersi), ma diventa complicato spesso non dare ragione, o comunque, non ritenere almeno ben argomentate le lunghe tirare di Billy Bob Thornton, su quanto l’economia “Green”, sia comunque più insostenibile del continuare ad estrarre petrolio, perché non esiste una vera alternativa alla plastica, ma a parte tutto questo, nel suo essere orgogliosamente fuori dal suo tempo, ho trovato “Landman” un buon modo per riprendermi dal disastro di “Yellowstone”, anche se Sheridan continua a lavorare troppo, lui così abile su singolo episodio, fa scricchiolare i suoi lavori sulla lunga distanza.

Parere in breve: Per riprendersi dal finale di Yellowstone ok, poi vedremo.
Chi ne ha parlato meglio di me: L’avete vista o seguo le serie di Sheridan solo io?

Star Wars Skeleton Crew
Stagione: 1 (o miniserie, non è chiarissimo)
Dove lo trovate? Disney+

Molto spesso i nerd si dimenticano che Star Wars è una favola che inizia proprio come tale, parla di un ragazzino biondo e vestito di bianco che affronta un cattivone nero vestito, ed ora che l’universo di Guerre Stellari si rivolge sempre di più a quei ragazzini del 1977, un’operazione come “Skeleton Crew” fa storcere qualche naso.

Oppure qualche proboscide, dipende su che pianeta siete nati.

La serie creata da Jon Watts e Christopher Ford a questo ambisce, ad essere una storia per ragazzi ambientata nel mondo di Guerre Stellari, così vasto da poterselo permettere, e visto che l’universo parla e spesso, manda anche segnali, dopo aver visto i primi due episodi di “Skeleton Crew”, nella cassetta “Prendi un libro/Porta un libro” che ho vicino a casa mia, mi sono visto spuntare una classica lettura della mia infanzia, “L’isola del tesoro” di Robert Louis Stevenson, ottima occasione per rileggermelo da grande (storia vera).

Lo ammetto, “Skeleton Crew” non parla a me, ho visto tutta la stagione e ancora non ricordo i nomi dei personaggi, ma riconosco a Watts e a Ford il fegato di aver raccontato una storia senza basarsi su apparizioni, camei e facce note per dare un contentino ai fan, l’unico nome rilevante è quello della solita BRUCE Dallas Howard, che qui dirige un paio di episodi, come quello molto riuscito con il granchione gigante. In “Skeleton Crew” ci sono una banda di ragazzini tutto sommato riusciti, ben impersonati e anche se il modello originale è la Amblin di Spielberg (con tutte le sue derivazioni) è inevitabile che per molto giovane pubblico dell’anno 2025, sarà una sorta di “Strane Cose” spaziale perché questa serie deve parlare a loro, ma voi guardatela come ho fatto io e dentro ci troverete un’avventura spaziale con Jude Law nei panni del Long John Silver della situazione, ok i conti sulla continuità e la sua età o meglio, quella del suo personaggio, non tornano per niente per quanto Giuda Legge si porti bene i suoi anni, ma poco importa, il suo Jod (credo…) ha proprio il tiro di Long John Silver, carismatico e minaccioso in parti uguali, a tratti sostegno dei protagonisti, in altri vera minaccia.

Giuda Legge ha scoperto le gioie del piccolo schermo e delle serie tv e se la comanda.

In tutto questo mi sono divertito a sentire Nick Frost doppiare il droide SM-33 e anche se la storia non è per me, non è male vedere quando la galassia lontana lontana creata da George Lucas, possa essere ampia, e qualche volta, popolata da pirati, d’altra parte tutte le grandi avventure dovrebbe sempre avere qualche pirata.

Parere in breve: Non pareggia con Robert Louis Stevenson, ma il suo dovere lo fa.
Chi ne ha parlato meglio di me: Fatemi sapere la vostra, io la mia l’ho detta, corpo di mille balene!

ACAB
Stagione:
1 (o miniserie, anche qui, non è chiaro)
Dove lo trovate? Netflix

Come per “Romanzo criminale” se un film italiano funziona, facile che diventerà una serie, succede anche ad “ACAB” di Stefano Sollima, che sbarca con sei episodi su Netflix e vede il ritorno del cellerino Mazinga impersonato da Marco Giallini, veterano e capo senza nomina ufficiale del reparto mobile di Roma, che si vede arrivare dal gruppo di Senigallia il nuovo capo – questa volta ufficiale – Michele Nobili, impersonato da Adriano Giannini, che dovrà fare i conti con un gruppo che non lo riconosce come tale, anche in virtù dei suoi trascorsi da ‘nfame.

«Behshvhsh», «Cosa?», «METTI I SOTTOTITOLI!»

Prima scena, siamo subito in Val Susa su un cantiere reso caldo dai manifestanti NO TAV, una massa senza volto rappresentati come una generica minaccia (non aspettatevi il loro punto di vista, la serie ha altri obbiettivi), quando ci scappa il morto, la squadra mobile fa quadrato e Nobili nel mezzo, per motivi etici o personali: Giusto dire la verità o è meglio per tutti diventare il nuovo capo della mobile di Roma a tutti gli effetti?

Pregi? Attori giusti se non giustissimi, messa in scena curata, solida regia e ottima fotografia, gli scontri poi sono uno meglio dell’altro, si avverte l’ansia e la tensione crescente di una folla rabbiosa che prende il sopravvento, che siano NO TAV o Ultrà. Se vi piace l’idea di pochi contro molti, spesso in condizioni urbane notturne proto boh? Walter Hill, questa serie merita la visione, oltre ad essere coerente con quello che so della squadra mobile, ovvio, al netto dei difetti, che poi per una produzione italiana (su Netflix) sono sempre gli stessi.

«Abbiamo combattuto tutta la notte per farci insultare la mamma»

Primi due minuti, ti tocca mettere i sottotitoli perché tra il boffonchiare e il romanesco, non si sente una parola (la serie degli 883 ci ha viziati da questo punto di vista, confermandosi un unicum, come l’amaro), tra “Musica in crescendo” (sempre stando ai sottotitoli) e qualche lungaggine, la miniserie sarebbe potuta durare una puntata in meno, ma in generale me la sono divorata comunque, indipendentemente dalla vostra posizione etico, morale o socio culturale sulle forze di polizia, se vedo pochi, costretti a combattere contro molto in ambienti cittadini notturni, il mio imprinting mi dice che sono nel posto giusto, il resto è fiction.

Parere in breve: quando sistemeremo la maledetta presa diretta sarà sempre troppo tardi, per il resto daje.
Chi ne ha parlato meglio di me: Celleeeeerino figlio di… ah no scusate! Dopo sei puntate ormai è un mantra, nulla di personale.

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