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57 canali e niente da vedere: Cobra Kai 6 parte 3, American Primeval, Cassandra, Zero Day e Il vostro amichevole Spider-Man di quartiere

Torna l’appuntamento dal titolo Springsteeniano con le ultime serie viste di recente, non perdiamo altro tempo e cominciamo subito, come al solito, musica!

Cobra Kai
Stagione:
6 Parte 3 (2025)
Dove la trovate: Netflix

Dopo il grosso guaio al Sekai Taikai visto nella seconda parte di questa spezzettata stagione finale di Cobra Kai, la serie si appresta a concludersi con un finale che va detto, risulta per lo meno sensato e per come si era messa questa serie TV, non lo avrei mai detto. Ma è anche chiaro che la conclusione della storia, poteva essere incastrata in qualunque momento e anzi, avrebbe funzionato ancora meglio se il brodo non fosse stato allungato così tanto, perché ammettiamolo, l’unica stagione davvero meritevole di “Cobra Kai” è stata la prima, bellissima, da lì in poi la serie ha vissuto di luce riflessa perdendo sempre più logica, il vero barometro? La signora LaRusso, unica adulta assennata che finisce la serie come un fangirl urlante, caliamo un velo pietoso su tutto questo.

La trama di questi cinque episodi finali procede come da programma, ricordate l’eterno ammorbarci sul cattivissimo maestro Miyagi e il suo torbido passato? Come facilmente intuibile si risolve tutto con una riga di dialogo, gettata per puzza nel copione poco prima della fine, perché il tema generale scelto è: dai Maestri prendiamo quello che possiamo, sono umani, quindi fallaci. Per il resto è piuttosto chiaro l’andazzo, in ogni oppresso c’è un piccolo bullo pronto a venire fuori infatti il finale, con Johnny che dovrebbe aver fatto sua o meglio, rielaborato alla sua maniera il motto del Cobra Kai, risulta il dialogo peggiore non della stagione, ma di tutta la serie.

I duri sudano agli occhi.

Alcuni archi narrativi mi sono sembrati sensati ma comunque forzati, come quello su Sensei Kreese che cerca di fare il Darth Vader della situazione, va peggio solo a LaPippa, che scivola miseramente in una posizione laterale rispetto alla trama principale, per un forzatissimo ruolo da Miyagi 2.0 o meglio, da Apollo Creed 2.0 visto che ci sono citazioni aperte e palesi a Rocky III, che è una ruffianata visto che Karate Kid nasceva un po’ come premessa da Rocky per ragazzi, comunque meno ruffiano che vedere LaPippa con quel kimono lì che indossa nel finale o peggio, combattere in una brutta scena onirica con il de-aging (brutto) di Pat Morita, insomma, “Fanservice” ne abbiamo? Ne abbiamo tranquilli!

Eppure io Rocky ed Apollo li ricordavo diversi.

La parte migliore di questo finale? La scelta di farlo per lo meno ruotare intorno a Johnny Lawrence, ovvero come tutto era iniziato, certo l’ultimo combattimento del Sekai Taikai è una mossa paracula che mette in panchina i ragazzi, ma tanto “Cobra Kai” è iniziato con quello che Barney Stinson definiva il vero Karate Kid ed è giusto che si concluda con lui, il romanzo di formazione di uno che è stato un ragazzino dal 1984. Se solo avessero scritto il finale con più cura e se lo fossero giocato alla fine della terza stagione, senza strizzare il limone, sarebbe stata una gran serie, e non solo una grande prima stagione.

Aveva ragione Barney Stinson.

Commento in breve: grazie “Cobra Kai” è stato bello anche se è durato troppo.
Chi ne ha scritto meglio di me: qualcuno la guarda ancora o sono rimasto l’ultimo giapponese? Scusi maestro Miyagi.

American Primeval
Stagione:
unica, miniserie (2025)
Dove la trovate: Netflix

Peter Berg è uno che da grande vorrebbe essere Michal Bay, solo un po’ indietro sulla tabella di marcia. Rispetto ai suoi ultimi lavori, questa miniserie è un bel passo in avanti, ambientata nel 1857 e liberamente ispirata al massacro di Mountain Meadows, la serie ruota attorno a Sara (Betty Gilpin) e suo figlio Devin, che devono raggiungere il marito della donna viaggiando da Boston a Crooks Springs, indirizzati da Jim Bridger (Shea Whigham), trovano aiuto a raggiungere la destinazione solo da Isaac (Taylor Kitsch) alla carovana però si uniranno una coppia di mormoni, Jacob e Abish Pratt (Dane DeHaan e Saura Lightfoot-Leon), il tutto sollo sfondo di battaglie per il controllo del territorio combattute tra i nativi e l’aggressiva chiesa locale.

Taylor Kitsch e Betty Gilpin, due eterni quasi famosi, di talento e mai esplosi per davvero.

Ad una prima occhiata, Berg sembra sceso dal letto in vena di The Revenant, purtroppo alla lunga quella sua voglia di esagerare si nota, usando il super potere del piano sequenza digitale manda in scena lunghi massacri, con la macchina da presa che vola sopra e sotto i carri Conestoga, la CGI si nota un po’ troppo, insomma bello eh? Ma mi è sembrata un po’ troppo lanciato in faccia al pubblico per sorprenderlo.

L’altro problema, le tante trame non sono tutte portate avanti allo stesso modo e ci si perde un po’ qualche personaggio, anche se questa idea di Western sporco, violento, a tratti quasi fulciano se il paragone non è troppo esagerato mi è anche piaciuta molto, limando un po’ la trama da tutti questi personaggi che vanno e vengono, sarebbe stato ancora migliore.

I quattro dell’apocalisse di Peter Berg.

Commento in breve: Peter Berg sa come esagerate, bravo, però anche meno la prossima volta.
Chi ne ha scritto meglio di me: se lo avete visto, fatemi sapere la vostra.

Cassandra
Stagione:
unica, miniserie (2025)
Dove la trovate: Netflix

Quando ho realizzato che “Cassandra” era una serie tedesca, giuro che volevo spegnare la tv e andare a dormire, ma poi che cavolo, avevo iniziato e via, pur non inventando molto, devo dire che è una cosina che si segue, in un paio di serate ve la giocate facile.

La Cassandra del titolo è una tecnologia finto vintage, la prima casa tedesca autonoma, prima della domotica e dell’I.A. tutta roba che oggi è normale, negli anni ’70 si traduce in televisori piatti appesi alla parete (in pratica dei catodici piatti) e un robottino tipo H.E.R.B.I.E. con voce e volto da donna, anzi nello specifico di Lavinia Wilson nel doppio ruolo, Cassandra umana nel passato e robotica nel presente.

«Beh allora devo essere King Kong» (cit.)

Quindi è automatico che se la trama procede nel passato, con le vicende della vera Cassandra, e nel presente con la famiglia che si trasferisce in questa storica casa, insomma l’inizio di un generico Horror, diventa facile intuire che la direzione della storia non possa che spiegarci come fa fatto la donna – non proprio la madre dell’anno – a finire dentro quella tecnologia, ribadisco, non una serie rivoluzionaria, ma si lascia guardare e anche il suo essere così tanto tedesca non pesa poi troppo.

Commento in breve: Ok è una serie tedesca, però dai, per questa volta passa.
Chi ne ha scritto meglio di me: Passate a trovare gli amici di Need for Geek!

Zero Day
Stagione:
unica, miniserie (2025)
Dove la trovate: Netflix

L’anziano e amatissimo ex presidente degli Stati Uniti George Mullen (Robert De Niro) si annoia. Come tutti gli ex presidenti ormai padroneggia l’arte dell’invisibilità ma patisce, patisce molto l’essere in pensione, se avete familiarità con il concetto di 0 day, la vulnerabilità dei sistemi informatici, potreste capire che la noia per Mullen finirà presto.

Hai mai sentito parlare di Sergio Mattarella?

Un attacco informatico a tutti i sistemi Yankee, senza precedenti ma devastante, impone una reazione immediata, la presidente in carica Evelyn Mitchell (Angela Bassett trasfigurata in Kamala Harris) sembra non godere di abbastanza fiducia, quindi a capo della commissione “Zero Day”, con poteri speciali e infiniti, viene messo Mullen in virtù di un discorso alla folla inferocita diventato virale, insomma la modalità Mattarella, vieni a fare un lavoro con un durata precisa e poi non torni più a casa, perché ti amano tutti quindi oh, fallo tu!

Ok, il cast lo abbiamo, andiamo avanti.

“Zero Day” ha un ritmo niente male, si gioca complottisti aggressivi come Evan Green (Dan Stevens), la vice Connie Britton, la dottoressa Joan Allen e un dimagritissimo Jesse Plemons, insomma il cast è interessante, mentre De Niro, per essere il suo esordio in una serie tv (se la memoria non mi inganna anche perché “Nada” è passata inosservata) si gioca bene le sue carte anche se è proprio la memoria di Mullen che viene messa sotto indagine, l’età avanzata non aiuta, accentrare tanto potere nella mani di una sola persona, forse anche malata, diventa un grosso pericolo per la democrazia, tutti temi abbastanza caldi e attuali, purtroppo la serie si sfilaccia e procede in maniera sempre meno interessante invece di salire di colpi, ma per fortuna è una miniserie.

Commento in breve: ciao Bob, bentornato sul piccolo schermo.
Chi ne ha scritto meglio di me: temo i telegiornali vista l’aria che tira, per fortuna qui si tratta ancora di fiction

Il vostro amichevole Spider-Man di quartiere
Stagione:
1 (2025)
Dove la trovate: Disney+

Avevamo bisogno di un’altra ripartenza per Spidey? Penso proprio di no, va detto però che “Il vostro amichevole Spider-Man di quartiere” è una serie piuttosto sfiziosa che si segue molto bene, i primi dieci episodi sono stati sganciati su Disney+, una manciata di puntate che hanno tutto per farsi apprezzare o farsi odiare mai ehi gente, sapete come funziona su “Infernet” no?

Iniziamo dai lati negativi, quelli che so già verranno criticati: questa incarnazione del ragnetto per certi versi somiglia molto all’ultima cinematografica, quella di Tom Holland, con tutto quello che si porta dietro, quindi la “Zia gnocca” e l’inevitabile mentore di turno, perché sembra che questo ragnetto debba sempre dipendere da altri, anche da Doc Strange che porta un ragno nella dimensione del personaggio fino a Norman Osborn che prende il geniale ragazzino sotto la sua ala protettiva, facendogli fare una sfilata di costumi, tutti migliori della maglia da Hockey che sfoggia. Divertitevi a riconoscere le citazioni, dal costume bianco e nero della Fondazione Futuro fino ai quattro Slingers.

Mi esalto per questa alleanza temporanea (non destinata a durare) tra i due? Non lo faccio ora che sta accadendo nei fumetti di Spidey, per altro alcune delle storie peggiori mai lette sulle pagine di “Amazing”, figuriamoci qui. Va detto che superato questo “Il vostro amichevole Spider-Man di quartiere” è una serie che non punta per forza ai soliti personaggi, tra gli avversari si gioca cattivi minori tenendo per ora quelli maggiori (un certo Dottore) più in disparte, anche se è inutile girarci attorno, la parte migliore resta l’animazione.

Anche qui mista, come è per fortuna tornata di moda ultimamente, un po’ 2D un po’ 3D, fluida, molto ben realizzata, così come il design dei personaggi, pensato per piacere a tutta la vasta platea di appassionati del ragnetto (oppure per scontentarli tutti): Peter Parker sembra il nerd dei fumetti originali del 1962, aggiornato al 2025, per una volta il cambio di colore della pelle di Osborn, per lo meno offre un senso alla sua tipica pettinatura “a treccine” con cui lo disegnava Steve Ditko. Insomma è una serie che cerca di tenere i piedi in più staffe, giocandosi anche un’apparizione del diavolo di Hell’s Kitchen (doppiato in originale da Charlie Cox, segni di continuità) però tutto sommato la prima stagione me la sono divorata, ora mi siedo qui e aspetto le inevitabili polemiche, con personaggi come l’Uomo Ragno sono tutti “esperti” di come dovrebbe essere rappresentato. Infernet, che non-luogo buffo!

Commento in breve: Non gli avrei dato una lira, ma tutto sommato si lascia seguire, polemiche permettendo.
Chi ne ha scritto meglio di me: come al solito, se ne avete scritto fate un fischio al vostro amichevole Cassidy di quartiere.

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