Ormai ho abbracciato questo formato riassuntivo in tutto e
per tutto, quindi sotto con il post dedicato alle ultime serie tv viste, ma
solo dopo la consueta sigla!
Happy!
Netflix
essere un Cult, magari proprio diretto da Brian Taylor e con Christopher Meloni
nella parte di Nick Sax, come poi effettivamente è successo, ma il formato
scelto è stato quello della serie tv, il che comporta problemi e anche una
riflessione.
l’adorabile cavalluccio alato dei cartoni animati di nome Happy (doppiato da Patton
Oswalt in originale) sono il cuore della serie, ma la storia del fumetto
originale – sei numeri secchi, per una storia autoconclusiva – non potevano
reggere la struttura e il minutaggio di una serie tv, infatti la prima stagione di Happy! era uno spasso,
ma verso metà si notava fin troppo che stavano allungando il brodo.
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“Chi di noi due non ha mai lavorato in Law and order?”, “Uffa, sempre la stessa storia, a me nemmeno piace Law and order” |
La riflessione viene da se: possibile che il cinema abbia
perso la sua volontà di osare? Le serie tv sono alla costante ricerca di nuove
storia da strizzare e forse con meno vincoli di censura, possono anche
permettersi di portare sul piccolo schermo, la follia che una trama come quella
di “Happy!” richiede.
di arrivare con il fiato corto, oppure di ripetersi, e se i troppi minuti
disponibili, continuano a generare dialoghi troppo lunghi – come quelli che
vedono protagonista Ritchie Coster – la seconda stagione di “Happy!” non fa mai
l’errore di risultare una noiosa replica, anzi spesso alza l’asticella della
follia, della violenza e delle trovate fuori di testa a livello olimpionico!
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Un corpo a corpo tra Teletubbies, cose che accadono solo in questa serie. |
Si inizia con alcune suore dinamitarde pronte a farsi
saltare in aria per boicottare la Pasqua, e si continua con il piano criminale
di Sonny Shine (Christopher Fitzgerald) per lanciare la sua folle idea delle
festa con le uova e i coniglietti, se serve ricattando tutti i ricchi e i
potenti con la sua pericolosissima collezione di VHS compromettenti.
di restare pulito e sobrio (ovviamente alla sua maniera), ad accompagnarlo
sempre Happy, il cavalluccio dei cartoni animati, amico immaginario di sua
figlia Hailey (Bryce Lorenzo) che però anche lui ha i suoi guai, ad esempio è
sempre nervoso, risponde male e non sopporta più l’autorità, insomma sta
diventando adolescente!
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“Perché il tuo corno ha cambiato colore?”, “Speravo non lo notassi, che imbarazzo!” |
Descrivere la trama della seconda stagione di “Happy!” è
anche complicata, oltre alla satira al mondo dello spettacolo fatta utilizzando
Sonny e i suoi ricatti, mettete in conto una specie di versione psicotica
(cioè, più psicotica!) dei Teletubbies, però come se venissero per davvero
dallo spazio profondo, un lungo scontro con alcuni sgherri che si trasforma in
un numero musicale degno di “Fantasia” (1940) e un altro milione di trovate
assurde purtroppo da godersi in un numero di minuti esagerato per la stringata
storia che questa seconda stagione ha da raccontare. Vi ho detto dell’ospizio
per vecchi gerarchi Nazisti? Ecco roba così.
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“Se c’è qualche altro SS 93enne che manca all’appello, venga a prendere subito la medicina!” |
Sono arrivato alla fine della stagione, quando la notizia
della cancellazione della serie era già arrivata, e malgrado i troppi minuti
disponibili, è un vero peccato, perché sul piccolo scherno non esiste niente di
simile ad “Happy!”, che nel finale della seconda stagione, mette ulteriormente
il turbo e non guarda più in faccia nessuno. Giocandosi alcune idee assurde ma
brillanti (il monologo di Dio, amico immaginario dell’umanità per me, resta un
colpo di genio, in cui intravedo lo zampino di Grant Morrison, anche produttore
esecutivo della serie) tra cui un finale ambientato ad Halloween, con tanto di
gustosa citazione al film di John Carpenter, giusto per farmi rimpiangere ancora di più la cancellazione
della serie.
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Quando mi mancherà quel cosetto blu svolazzante! |
Insomma il Nick Sax di Christopher Meloni e l’adorabile
Happy, con le loro dinamiche un po’ alla Eddie Valiant e Roger Rabbit mi mancheranno, il finale purtroppo ci lascia il retrogusto amaro di una
storia che poteva continuare, con scenari anche interessanti, e il rimpianto
che con più coraggio, il cinema ha perso un film di culto, con il potenziale di
un altro paio di seguiti sullo stesso livello. In un mondo dove al cinema
esistono cose come Deadpool, è un
peccato che “Happy!” sia solo una serie terminata prima del tempo.
Spero che ritorni presto l’era del
meglio di me: Ehm, ma l’ho vista solo io questa serie? Esiste? Oppure è il
mio amico immaginario!?
casa di carta”, visto che le prime due stagioni mi sono piaciute poco o niente. Eppure in qualche modo i
rapinatori spagnoli rosso vestiti sono diventati una serie di culto, quindi
perché lasciare una storia che aveva raggiunto la sua naturale conclusione,
tranquilla di essere ricordata tutto sommato bene dal grande pubblico? No!
Piuttosto che farsi venire un’idea nuova, Netflix è corsa fino in spagna con
una valigetta piena di Paperdollari per convincere tutti a rimettersi la
maschera di Salvador Dalì e portare avanti una storia che era terminata.
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Si sono messi a produrre nuove stagioni, come prima stampavano banconote. |
Come affrontare questo “La casa di carta 3”? Facile, se
avete amato la serie e i suoi protagonisti, in questi otto nuovi episodi
ritroverete tutto identico, sul serio, sembra di guardare Fuga da Los Angeles ma senza l’ironia e il genio di Carpenter, per
come hanno ricreato le stesse dinamiche identiche a loro stesse. Quindi
possiamo dire che questa nuova stagione, non aggiunge davvero niente, anzi ho
ritrovato quasi tutti gli stessi identici difetti che non mi hanno mai fatto
urlare al miracolo per questa serie, al netto di una messa in scena (un po’)
più orientava verso l’action e realizzata con più soldi. Non ho detto
realizzata bene, ho detto con più soldi.
replica, vada con l’elenco puntato! La più bassa forma di svogliatezza da parte
del recensore, travestita da formato snello e veloce da leggere.
“La casa di carta 3” perde un po’ quel suo aspetto da generica serie d’azione
televisiva di stampo nord europeo e grazie ad una serie di flashback utilizzati
fino allo sfinimento, riesce a mantenere il ritmo abbastanza alto.
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“Ci siamo fatti anche la piscina! Tanto paga Netflix!” |
2. A differenza delle prime due stagioni, finalmente la
polizia Spagnola non è rappresentata solo da pupazzi che fanno fare al
Professore (Álvaro Morte) la figura del genio – motivo per cui sono volati
paragoni abbastanza esagerati con il Walter White di “Breaking Bad”, altro
stile, altra classe, altro campionato, altro sport – questa volta entra in
scena Alicia Sierra (la Najwa Nimri di “Apri gli occhi” film di Amenábar del
1997) che qui recita come se qualcuno le avesse chiesto di interpretare una
specie di Crudelia De Mon incinta e fanatica dei lecca lecca, nemmeno fosse la figlia
di Telly Savalas in “Kojak”. Diabolica, spietata, anche sexy se vogliamo dirla
proprio tutta, finalmente qualcuno in grado di dare davvero del filo da torcere
al Professore.
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“Quindi sei incinta?”, “Bravo, si vede che sei uno sbirro proprio astuto” |
3. Úrsula Corberó si esibisce nella sua camminata
“schiappettante” in costume da bagno, nei primi minuti del primo episodio,
quindi visto questo, potete tranquillamente passare ad altro. Ho inserito tre
pregi, YUPPI!
alla base di questa serie, qui scatta per motivi pretestuosi, il salvataggio di
Rio (Miguel Herrán) è il MacGuffin che serve a dare il via ad una rapina ancora
più grande, questa volta alla zecca di stato. Senza aggiungere che come sempre,
è il personaggio di Tokyo (Úrsula Corberó) quella che fa saltare il banco, lo
stesso identico difetto delle prime due stagioni: la storia stagna e ci vuole qualcuno che rompa l’equilibrio per
mettere in moto gli eventi? Ci pensa Tokyo a fare una delle sue “Homerate”
(citando i Simpson) e mettere in pericolo tutti. Quando dico che “La casa di
carta 3” non aggiunge nulla alla storia, mi riferisco anche a questo.
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Sopra: Úrsula Corberó. Sotto: Come diventerete voi maschietti se non la smettere di pensare così tanto ad Úrsula Corberó. |
2. “La casa di carta 3” sembra il risultato di qualcuno che
ha visto “V per Vendetta” (2005) – il film che già di suo è una riduzione per
bambini del fumetto di Alan Moore – e ha capito solo una cosa: alla gente
piacciono i tipi che si mettono una maschera e se la prendono con il governo.
Piccolissimo problema, il film di James McTeigue viveva di luce riflessa
rispetto all’opera a fumetti originale, che era ambientato in un’Inghilterra
futura, un Paese che aveva preso una deriva fascista, un iperbole che serviva a
fare della satira della vera Inghilterra, quella della “Lady di ferro” Margaret
Thatcher. Qui invece questo livello di satira potete anche scordarvela, affetto
dal peggior populismo “La casa di carta 3” ci dice che IL SISTEMA è cattivo,
quindi che gli spagnoli si ribellino e appoggino in tutto e per tutto i “Robin
Hood” in tuta rosa (…che corse che fa, me lo prendi papà? SI!) dentro la zecca è
un dato di fatto che va accettato senza discussioni. Ci va solo bene che Najwa
Nimri è la prima a divertirsi nel suo ruolo da super cattiva, perché la
distinzione tra giusto e sbagliato risulta ultra manichea.
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“Buona sera, Madrid. Prima di tutto vi prego di scusarmi per questa interruzione!” (Quasi-cit.) |
3. I dialoghi non si possono ascoltare. L’idea è chiara,
personaggi che parlano del più e del meno per arrivare a discutere anche di
temi importanti, come farebbero le persone nella realtà, ma di fatto quello che
ci tocca ascoltare è due che litigano sull’odore della puzza di merda in bagno
per dieci minuti, salvo poi diventare amici fraterni un secondo dopo (storia
vera).
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La mia faccia, mentre ascolto i dialoghi di “La casa di carta”. |
Della stessa qualità sono i momenti #MeToo infilati giù per
la gola dello spettatore a forza, ogni tanto la trama inchioda perché qualcuno
deve ribadire che le donne sono forti, toste e cazzute anche più degli uomini.
Mai pensato qualcosa di diverso rispetto a questa affermazione, ma invece di
ribadirlo con dialoghi strampalati, mostrarlo all’interno della storia? Brutto?
personaggio “ferma posto” con il compito di sostituire Berlino, non fatemi dire
nulla su come viene curato dopo la sua ferita agli occhi, roba che fa sembrare
credibile la rivoluzione contro il SISTEMA di questa serie. Ah, inoltre
ricordate la regola aurea di “La casa di carta”: Non muore nessuno! La serie andava in onda in prima serata in spagna, vuoi mica turbare qualche spettatore, vero?
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“Tu mi avevi chiesto un miracolo, Theo, e io ti regalo |
5. Avranno anche aumentato il budget, ma nel frattempo non
hanno imparato a dirigere le scene d’azione, il risultato? Tocca sorbirsi la
scena del blindato di Trappola dicristallo, girata da qualcuno che l’ha vista pensando: «anche noi
Autoblindo! Anche noi!». John McTiernan non trova i fondi per girare film, e
questi fanno tre stagioni di ‘sta roba, QUESTO è qualcosa che meriterebbe una
rivoluzione!
Alan, John, perdonateli. Non sanno quello che fanno.
meglio di me: Questa serie mi trasforma nel Puffo brontolone («io ooooooodio la casa di carta!») quindi vi consiglio di andare a farvi un caffè In Central Perk, di nervoso basto io.