Ho iniziato quasi per scherzo, ed ora questa storia di un post riassuntivo con le ultime serie
viste potrebbe diventare una tradizione, come al solito prima, le parole Boss: 57 channels and there’s nothing on.
Tiffany studente di psicologia, malgrado il professore porcellone fin troppo
interessato alle studentesse. Di notte invece indossa il suo costume di pelle
nere e diventa
masochismo e soprattutto dominatrice con la mania del controllo, con tanto di
schiavo tedesco a casa a fare le pulizie. Comodo, meglio del Roomba.
omosessuale e senza un soldo. Vive con dei coinquilini che non vorreste avere
credetemi. Vorrebbe sfondare come comico ma non fa ridere nemmeno con il
solletico perché è un po’ troppo bloccato per il mondo della Stand-up comedy.
Si chiama Pete ed è amico di Tiff dai tempi della scuola, da quando stavano
insieme, cioè quasi, è complicato. Sta di fatto che diventa
Carter, l’assistente di Mistress May.
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Anche se a vederla così sembra più Catwoman che Batman. |
Zoe Levin e Brendan Scannell sono giovanissimi, lei è fin
troppo caruccia per la parte di quella che non trova l’amore nemmeno per
errore, ma alla fine sono sottigliezze. Entrambi i personaggi sono rimasti appiccicati
all’etichetta che la società ha incollato loro, ma accettando la loro identità
(e loro stessi) troveranno la libertà personale, forse anche prima di quella
sessuale. Il tutto con momenti comici scatenati dalla strambe richieste degli
ancora più strambi clienti.
facilità irrisoria, per una serie forse troppo basata su personaggi-stereotipo,
ma che sono comunque il punto di partenza per l’arco narrativo dei
protagonisti. Non siamo dalle parti di un classico come Secretary, ma l’umorismo nero non manca e
il BDSM viene trattato a
dovere, non come una roba per casalinghe frustrate. Ogni riferimento a cose,
persone e sfumature di grigio/rosso/nero/verde è puramente voluto.
Geme lo schiavo, si astiene il perditempo, non più barriere ma amore a tutto
campo (Cit.)
meglio di me: Passate a prendervi un caffè In Central Perk, e non chiedete di farvi frustare, non fatemi fare brutte figure.
delle serie tv sono quasi un’era geologica, ma la prima stagione di American Gods era così buona da poterselo
permettere. Cos’è accaduto nel frattempo? Un delirio.
a disposizione tutto il materiale che non era finito nel suo bellissimo e pluripremiato romanzo, per
allungare la serie, darle più respiro e più trame da esplorare sul piccolo
schermo, insomma l’anti-George R. R. Martin per capirci. Ma nel frattempo il
personaggio di Media (Gillian Anderson) è diventato New Media (Kahyun Kim)
perché la mitica Dana Scully ha preferito dedicarsi a Sex Education. Sapete che vi dico? Ha fatto bene.
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“’Fanculo, io vado a fare il film su Halo, mi avete rotto!” |
Si perché la casa di produzione, la Freemantle Media, aveva
nel suo mirino i due autori della serie Bryan Fuller (Hannibal) e Michael Green (Logan)
principalmente per l’elevato costo di produzione dei singoli episodi, quando
poi i due hanno tentato di allontanarsi dal libro di Gaiman, pare che sia
calata la falce e sia arrivato il successivo licenziamento.
il solito bel viaggio sulle strade d’America, pieno di volti
noti (hanno resuscitato anche il Ryan O’Reily di OZ), ma resta un bel pasticcio, anche perché Jesse Alexander
chiamato a sostituire Fuller e Green è stato a sua volta licenziato, risultato
finale? Attori che improvvisano sul set (storia vera).
quelli che hanno odiato il Thor di Endgame,
di fare la pace con il Dio del tuono guardandosi l’episodio “Donar the great”
(2×06). Ma gli otto episodi che compongono la seconda stagione sono un patinato
girotondo che serve a non andare da nessuna parte, se non forse a sacrificare
attori troppo famosi (e costosi) per tenere in vita la serie.
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“Hey Chris Hemsworth! Questo lo sai fare tu?” |
Il protagonista è il solito vuoto pneumatico di carisma che
continuo a trovare del tutto inadatto al personaggio di Shadow, per fortuna
possiamo contare sul talento di Ian McShane, sul faccione da pazzo di Crispin
Glover e su un Orlando Jones molto in forma, il suo Mr. Nancy è stato una delle
poche ragioni per cui non sono sprofondato nel sonno rigenerante di Odino sul
divano mentre guardavo le puntate. Ma in generale ho faticato più del
necessario ad arrivare alla fine, con la sinistra sensazione di aver visto un
bellissimo niente, patinato, luccicante, ma sempre niente.
Bestemmiare gli Dei non è concesso, ma sperare in una stagione 3 decente sì.
avventure di Sabrina
varco questa serie, che lo ammetto, mi aveva stupito con una prima stagione che riusciva ad essere
più cattivella del previsto, citazionista in un modo divertente e in generale,
una sorpresa.
pochino lo schema della serialità, non sfornando una seconda stagione, ma di
fatto la seconda parte della prima (capitoli dal 12 al 20). Possono
permetterselo, considerato che la celebre piattaforma di streaming con il suo
bombardarci di intere stagioni in un solo giorno, ha cambiato per sempre le
nostre abitudini di larve abbozzolate sul divano.
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“Quel Lucifero è veramente un cornuto, e poi quanto puzz… Sento uno strano odore, come di zolfo. Saranno i fiammiferi?” |
Il problema è che dopo aver stupito con la prima stagione,
la freschezza viene un po’ meno, e a colpirmi di questa seconda stagione
parte sono stati più che altro i difetti. Li stessi che avevo già notato nella
prima stagione parte, ovvero tanta, troppa propensione a lanciare “I
MESSAGGI IMPORTANTI”, a me sta benissimo che una serie sulle streghe, con un
cast quasi tutto femminile sia basata sul “Girl Power” ma é quando tutto viene
ribadito dodici volte che il messaggio, tende a soffocare la storia.
delle Arti Oscure, che da secoli impedisce alle donne di avere un ruolo di
potere al suo interno, sarebbe una perfetta metafora dei nostri tempi (brutti) moderni
– anzi lo è – peccato doversi sorbire la solfa in tutti i dialoghi, da tutti i
personaggi, e per tutti gli episodi.
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Tremate tremate, le streghe son tornate (dai questa era fin troppo facile no?) |
Bisogna dire però che quando Sabrina entra in modalità Berserker
è davvero notevole, una mezza puntata di distruzione e furia che per lo meno mi
ha risvegliato dal torpore che la serie mi ha provocato.
gli horror e trasformare “Le terrificanti avventure di Sabrina” in un santino
su come dovremmo comportarci, per essere al passo con il nostri tempi moderni
politicamente corretti, sarebbe davvero uno spreco. Cazzarola Aguirre! Hai una
serie dove tutti invocano il Diavolo quando esclamano e poi mi trasformi tutto in una robetta edulcorata eddai! Se devi fare il metallaro adoratore del
diavolo fallo come si deve!
Il gatto parlante di Melissa Joan Hart, dovete puntare tutto sul gatto parlante!
meglio di me: Ehm, non conosco nessuno che ha commentato la serie, voi
l’avete vista? Vi è piaciuta? La sezione commenti esiste per questo.
Robots
Metal” diretto da Gerald Potterton nel 1981. Un omaggio alla mitica rivista di
fumetti francese Métal Hurlant, realizzato con animazione, episodi auto
conclusivi tutti a tema fantascientifico, una colonna sonora rock degna di nota
(con Devo, Cheap Trick, Blue Öyster Cult, Nazareth e Black Sabbath) e un tasso
di sesso e donne nude comunque ragguardevole. D’altra parte si chiamava “Heavy
Metal” mica “Ballo liscio”.
facendo squadra con il lanciatissimo Tim Miller (quello di Deadpool e a breve alle prese con il nuovo Terminator, speriamo bene) ha dato vita
a “Love, Death & Robots” che nel titolo descrive già tutti i contenuti
della serie.
diciassette minuti) tutti in animazione mista, tranne uno con attori (Topher
Grace e la bellissima Mary Elizabeth Winstead) diretto dallo stesso Tim Miller
e posso dirlo? Spudoratamente scopiazzato da un episodio dei Simpson, con un
vetrino al posto del vecchio frigorifero.
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Sopra, l’episodio “The Genesis Tub” dei Simpson. Sotto, la sua versione con attori (e un frigo). |
Si perché alla fine il problema di “Love, Death & Robots”
è uno soltanto: quanta familiarità avete voi con la fantascienza? Se la
risposta è tanta, mi spiace questa serie per voi sarà solo una noiosa replica
di situazioni, dinamiche e trame giù viste da altre parte. Non che manchino gli
episodi belli, ma questa serie paga il suo essere estremamente derivativa, a
tratti davvero al limite del plagio.
di racconti brevi di Joe R. Lansdale (“Fish Night” e il divertente “La
discarica”), oppure simpatiche rielaborazioni di “Wall-E” (2008) come “Three
Robots”. Ma anche remake di “Gravity” (2013) come “Dare una mano” ammettiamolo,
davvero identico al film di Alfonso Cuarón, anche troppo.
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Confesso che la scena della palla da basket mi ha conquistato, ma sono schifosamente di parte. |
L’animazione è davvero ottima bisogna dirlo, ad esempio in “Lucky
13” grazie alla motion capture efficacissimo, vediamo “recitare” la Poussey di Orange is the new black, in versione pilota. Ma è impossibile non notare che cosette anche simpatiche come “Suits”, non sono altro che riletture di Aliens – scontro finale, fin troppo
derivative. Grazie ad episodi molto comici come “Alternative storiche”
oppure “Il dominio dello yogurt” la serie si lascia guardare anche quando si
spinge a punti beh, molto spinti, come “Oltre Aquila” che ha un finale
abbastanza prevedibile, ma una svolgimento che rende fede alla definizione “destinato ad un pubblico adulto”, ecco.
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Manca solo la frase: “Get Away From Her, You Bitch!” |
Commento in breve: Heavy
Metal era un’altra cosa, ma tutto sommato si lascia guardare.
meglio di me: Vi vedo un po’ stanchi, sotto con una seconda tazza di caffè In Central Perk.
voi? Tenete i guinzagli appesi a portata di mano vicino alla porta? Non uscite
mai di casa senza i sacchetti e siete pronti a scatenare il blitzkrieg contro
tutti quei padroni che non raccolgono i bisogni del loro amichetto a quattro
zampe? Fermate tutto! Abbiamo la serie per voi!
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Poi dicono vita da cani, seee proprio! |
Scritta, prodotta, diretta ed interpretata da Solvan ‘Slick’
Naim, attore e rapper di Brooklyn. “It’s Bruno!” è il classico esempio di “scrivi di quello che conosci” , considerando che il cagnetto – di nome Bruno – è davvero
quello di Naim, non credo esista un modo più esplicito per calarsi nel proprio
personaggio.
tre che terminano con la stessa – esilarante! – gag ricorrente che mi ha fatto
rotolare dal ridere sul divano. “It’s Bruno!” è divertente grazie ai coloriti personaggi
che popolano il quartiere dove vive il protagonista, ma anche per l’espressività
di Bruno, che è tutto tranne che caruccio come cagnetto, ma si sa che per ogni
padrone, il suo amico a quattro zampe è il più bello del mondo, e in questo
senso il protagonista è il tipico padrone di cane. Anche se la parte più spassosa di “It’s Bruno!” è proprio l’approccio ai problemi del protagonista, diciamo in puro stile Brooklyn.
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Poi ditemi che i cani non somigliano ai loro padroni. |
Se siete alla ricerca di una serie comica con una certa personalità,
e con un umorismo che sta a metà tra un film di John Singleton e un cartone
animato, con questa non potete sbagliare. Se invece avete qualche cagnetto che
vi gira per casa, molto probabilmente l’avete anche già vista riconoscendovi in
tutte le manie del protagonista.
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La reazione di Bruno se non guarderete la sua serie. |
Commento in breve: Cani
e padroni di cani, posso stringervi le mani (Cit.)
meglio di me: Nel dubbio TUTTI, perché non ho letto ancora nessun commento in
giro, anzi se li trovate fate un fischio!