Da qualche tempo qui sulla Bara mancano le serie tv, non
perché abbia smesso di colpo di guardarle anzi, il problema è un altro: Non
riesco a trovarne una che mi piaccia davvero. Quindi ho pensato di riassumere
le ultime visioni in un solo post, da leggere tutto d’un fiato e su cui
aleggiano le immortali parole del Boss: 57 channels and there’s nothing on.
Russian Dolls
ideata, prodotta e soprattutto interpretata da Natasha Lyonne, che qui
interpreta Nadia, costretta a rivivere il giorno del suo trentaseiesimo
compleanno in eterno, tra morti, scoperte, drogucce consumate, qualche altra
morte e soprattutto scale che sono armi letali più di Mel Gibson.
la sua interpretazione del classico di Harold Ramis “Ricomincio da capo” (1993)
con Bill Murray e Andie MacDowell? Tutto, perché per consumare quella ridicola
manciata di episodi mi ci sono volute due settimane (storia vera) un po’ come
se nel loop temporale ci fossi finito dentro anche io.
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Natasha Lyonne is the new Bill Murray. |
Nadia di fatto sembra condure la vita che ti aspetteresti da
Nicky fuori dalla sbarre, se non per il fatto che allo stesso modo è una
prigioniera anche lei, quindi la sensazione di dejà vu, va ben oltre la
struttura ossessivamente ripetitiva della serie. Natasha Lyonne è molto brava,
ha carisma da vendere ma la serie invece di coinvolgere, sembra pensata per
essere un palcoscenico per il suo talento, niente di male in questo, ma giunti
alla fine della – faticosa – visione, l’unica cosa che ci si porta a casa è “Gotta
Get Up” di Harry Nilsson, il pezzo che sentirete a ripetizione anche dopo aver
messo in pausa lo streaming di Netflix. Nella vostra testa, all’infinito, forse
per sempre.
non sono mai stato un gruppo per me. Ero già troppo vecchio, rozzo e inacidito
dalla vita quando erano famosi. Inoltre una volta che ho rischiato di vederli
dal vivo, il cielo mi è caduto sulla testa come negli incubi di Asterix e compagni
(storia vera), non sono uno scaramantico, ma tendo a cogliere i segnali che
l’universo manda, specialmente quando sono così chiari.
ritrovato Gerard Way – ex cantante del gruppo convertito a sceneggiatore di
fumetti – sulle pagine dell’Uomo Ragno, proprio lui ha contribuito a creare la
versione cartacea di Sp//der, uno degli Spidey alternativi che abbiamo visto
anche in Spider-Man – Un nuovo universo.
Vogliamo dare una possibilità a questo ragazzo dopo una cosetta così? Certo,
non sono uno che porta rancore io. Non troppo almeno.
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Un giorno magari saranno Batman, ma per ora sembrano tanti piccoli Robin. |
Il 1° ottobre 1989, quarantatré donne in tutto il mondo
partoriscono contemporaneamente, anche se al loro risveglio quella mattina,
nessuna di loro era incinta. Bella fregatura, nemmeno l’aspettativa per maternità,
sfiga. Sette di questi bambini, dotati di super poteri, vengono adottati
dall’eccentrico miliardario Sir Reginald Hargreeves (Colm Feore) e trasformati
in una squadra di supereroi nota come “The Umbrella Academy”.
radunano ancora malgrado tutti i loro contrasti, il giorno della morte del loro
padre adottivo, tra di loro ci sono Luther (Tom Hopper) un astronauta dal
corpaccione grottescamente fuori misura, Allison (Emmy Raver-Lampman) una
famosa attrice, Vanya la violinista (una Ellen Page invecchiata di colpo, anche
perché sembrava eternamente bloccata all’età di quattordici anni, povera),
Klaus il tossico che parla con i morti (Robert Sheehan, l’eterna promessa
mancata dai tempi di “Misfits”) a cui si aggiunge il migliore di tutti, Numero
5 (Aidan Gallagher) un ragazzetto che zompa avanti e indietro nel tempo quasi a
piacimento.
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Eh lo so Ellen, la vita dopo i trenta è così. |
Lo so cosa state pensato, quello che più o meno è stato
detto da tutti, le famiglie disfunzionali tanto care al cinema di Wes Anderson, incontrano gli Uomini-Pareggio. Anzi lo scrittore di
fumetti Grant Morrison ha fatto molto di più, ha definito il fumetto originale
di “The Umbrella Academy” come: Un X-Men per persone fighe (storia
vera) forse perché ha ancora il dente avvelenato con la Marvel, dai tempi in
cui gli Uomini-Pareggio era lui a scriverli.
morti, maggiordomi scimmia, personaggi con corpi da gorilla, una serie di
stranezze assordite che però generano più noia che meraviglia. Il mistero
misterioso dietro alle trame, è così impossibile da capire che a metà stagione mi
sono messo ad urlare, nome dell’assassino, arma e luogo del delitto come in una
partita di “Cluedo”. Ed io di solito sono una pippa a risolvere i gialli.
maggiordomo? Come!? Pensare che Netflix ha ucciso tutte le serie dei Difensori (e per sicurezza anche “The Punisher”)
pur di potersi permettere una SIMMIA in CGI. Forse preferivo i grugniti da
cantane Metal di Jon Bernthal, che
poi è il mio problema. Sono troppo vecchio, rozzo e nerd per Gerard Way.
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“Mi spiace amico mio, oggi Cassidy è intrattabile, nemmeno con le scimmie si intenerisce”. |
Commento in breve: Sono cresciuto leggendo Hellboy e B.P.R.D. a voi non vi vedo
nemmeno nello specchietto retrovisore, tzè!
quando sono arrivato alla fine della terza, ho capito che è seriamente ora di
rivalutare la seconda, che era decisamente più originale della trama e anche
più articolata, anche se la messa in scena della prosa di Pizzolatto era un
vero casino, anche per via di un ritmo tutto sbagliato.
ufficio reclami che non funziona. L’intenzione sembra proprio quella di tornare
alle atmosfere della prima e ultra celebrata stagione, non solo
nell’ambientazione rurale, quello dell’Arkansas, ma anche nello schema:
Mahershala Ali fresco del suo premio Oscar per Green Book, arriva a questa serie all’apice della sua celebrità,
proprio come era accaduto a Matthew McConaughey (in amicizia McCoso) per la
prima stagione.
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Di tutte le foto che potevo scegliere, proprio quella con il canestro da basket. Non mi smentisco mai. |
Il 7 novembre 1980 in Arkansas, i fratellini Julie e Will
Purcell escono in bicicletta per andare a giocare a casa di un amico, ma non
tornano più. Il caso viene affidato ai detective Roland West (Stephen Dorff) e
Wayne Hays (Mahershala Ali) detto “Purple Hays”, gioco di parole che ricorda i
suoi trascorsi nel fottuto ‘Nam. Se gli amatissimi Rust e Marty erano una
coppia male assortita, qui i due collaborano molto meglio, anche se è chiaro
che West sia un comprimario di lusso, proprio come la moglie di Wayne, Amelia
(la brava Carmen Ejogo).
impegnati ad interpretare personaggi che sono più che altro svolte narrative,
come la giornalista Elisa Montgomery (Sarah Gadon musa di Cronenberg, anche lei eternamente destinata a non decollare
mai) oppure l’Indiano che si becca tutte le accuse, quando è chiaro per tutti –
specialmente per gli spettatori – che sia il classico capro espiatorio.
cresciuto nel frattempo, posso garantirvi che Stephen Dorff è alto un metro e
un tappo, accanto a Mahershala Ali letteralmente sparisce, quando gli va bene i
due sembrano l’articolo “il”. Anche perché Ali è bravissimo ad interpretare il
personaggio in tre fasi della sua vita, e anche grazie ad un trucco riuscito, è
credibile nei panni del vecchio detective malato di Alzheimer, che però vuole
ancora fare luce su un caso che si divide in tre momenti: Il 1980, il 1990 e il
2015.
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Alla faccia del “De-aging” di Sam Jackson. |
I primi due episodi ti introducono ad una storia piuttosto
coinvolgente, tutto è molto ben diretto grazie alla regia di Jeremy Saulnier che è perfetto per le
atmosfere di questa serie, ma se escludiamo l’episodio numero quattro – diretto
dallo stesso Pizzolatto – quando la regia passa a Daniel Sackheim, malgrado la
sua lunga gavetta televisiva la musica cambia. Inoltre per sette episodi non
accede nulla, e per vedere qualche trama conclusa bisogna spettare la seconda
metà dell’episodio finale, un tantino troppo forse.
interessato ai traumi dei suoi personaggi, che alla vera risoluzione del caso,
mi sta un po’ meno bene che le trame che decide di concludere, vengano condotte
con colpi di scena degni delle peggiori telenovela. Non voglio entrare nel
dettaglio per non rovinare la visione a nessuno, ma un paio di colpi di scena
qui sembrano rubati a “Milagros”, per non parlare di come la malattia del
protagonista, sia anche questa una svolta di comodo della trama: Dai andiamo il
vecchio Detective non ha dimenticato niente, ma niente di tutta questa lunga
indagine, però guarda caso, dimentica proprio quel dettaglio lì? Che è solo il
più importante di tutti? Per altro lasciando anche il suo compare a disperarsi
nel dubbio? No, non ci siamo proprio.
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Qui la situazione è grave, il cast di Stranger Things è stato rapito”. |
Peccato perché l’inizio della stagione era promettente e
Mahershala Ali si conferma caldo come una stufa, veramente bravissimo. Però
questa serie continua a far pensare che forse la prima stagione sia stata
irripetibile, e non solo per la presenza di Alexandra Daddario, fatevene una
ragione! È andata via! Smettetela di vivere nel passato!
toccasana per riprendervi.
diretta da Kate Herron e Ben Taylor, è un concentrato di cliché come se non ci
fosse un domani, ma proprio per questo è bellissima.
ormoni che fanno le sgommate nei piazzati e dubbi sulla crescita? Ecco “Sex
education” pesca a piene mani da qui, ma riesce a parlare di sesso ed
educazione sessuale, in maniera divertente e intelligente. Sarebbe fin troppo
facile etichettarla come una specie di “Big Mouth” meno sboccacciata e con
attori in carne e ossa, ma considerato che “Big Mouth” è un piccolo culto, non
è nemmeno un brutto paragone.
sfogo agli ormoni a dovere, inibito dall’avere come madre una terapista
sessuale di fama internazionale, disinibita, ultra liberare e fatta a forma di
una Gillian Anderson semplicemente impeccabile per il ruolo.
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“Ti ho raccontato di quella volta in cui io e l’agente Mulder l’abbiamo fat…”, “Mamma ti prego non lo voglio sapere!”. |
Il miglior amico di Otis è un altro cliché, Eric (Ncuti
Gatwa) nero, omosessuale e in fissa per “Hedwig una diva con qualcosa in più”,
più aderente al canone di stereotipo di così non è proprio possibile. Forse si
può fare di più solo aggiungendo la ragazza che fa perdere la testa ad Otis, la
classica carina Punkettina che avreste voluto come fidanzata quando avevate
quattordici anni, ma purtroppo esisteva solo nella vostra mente, e di certo non
somigliava a Maeve, che ha il volto di Emma Mackey, una specie di Margot Robbie
3.0. Perché da quanto ho capito della Robbie escono più modelli dell’iPhone ma
con la stessa regolarità, quindi dopo la versione 2.0 (Samara Weaving) ora siamo già arrivati all’ultima incarnazione.
Auricolari bluetooth venduti separatamente.
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“Eppure mi ricordi qualcuna che ho già visto”, “Harley Quinn lo so, me lo dicono tutti”. |
Un po’ per caso, e un po’ per fare colpo su Maeve, Otis
diventa di colpo il terapista sessuale della scuola, sfruttando gli anni di
indottrinamento materno per dare buoni consigli ai suoi coetanei. Il suo primo
paziente è il bulletto capitano della squadra, che anche lui a ben guardarlo,
risulta il solito cliché delle storie con protagonisti degli adolescenti.
Maeve, Eric e tutti gli altri, riusciranno comunque ad appassionarvi, perché
sono scritti con la leggerezza giusta per questi personaggi, senza mai
ricorrere a soluzioni di trama (troppo) riciclate. Ma soprattutto sono recitati
così bene da risalutare credibili, per una serie che riesce a parlare agli
adolescenti, quelli di oggi e quelli che lo sono già stati e hanno fatto la
gavetta. Guardatevi la classica scena «Io sono Spartaco!» nella versione
fornita da questa serie, poi ne riparliamo.
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The |
Di tutte le serie che ho visto di recente, questa è l’unica
che mi è davvero piaciuta, anche se nella lista forse dovrei includere anche “Nightflyers”,
ma purtroppo mi sono arenato come una balena spiaggiata (sul divano) a metà del
secondo episodio, e chissà se la terminerò mai, visto che è già stata terminata
e cancellata.
fino a qui, vi siete meritati un’altra tazza di caffè In central perk.