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A better tomorrow II (1987): segno zodiacale gemelli, ascendente film d’azione

Squadra che vince non si cambia, ma se la squadra che vince
litiga? Parliamo anche di questo oggi, benvenuti al nuovo capitolo della
rubrica… Who’s better, Woo’s best!

A better tomorrow è stato un successo senza
precedenti, un titolo spartiacque, per la carriera di John Woo, per il cinema
di Hong Kong e in generale per tutta la settima arte, visto che dopo il 1986 il mondo
non è più stato lo stesso, non si potevano più raccontare storie d’azione o
neo-noir secondo i vecchi canoni, perché il vento era cambiato definitivamente.

Un seguito ad un film di tale portata era inevitabile,
automatico come che al fatto c’è al giorno segua la notte, infatti “A better tomorrow II” è
uscito quasi immediatamente, un titolo pronto a battere ancora un po’ il ferro
ancora caldo, eppure allo stesso tempo un titolo abbastanza schizofrenico,
scisso in due, un po’ come se fosse un fratello gemello del primo capitolo,
uguale ma allo stesso tempo differente, non credo sia un caso che un gemello abbia proprio un ruolo chiave nella storia, ma come avrebbe detto Anders Celsius, andiamo per gradi.

«HO DETTO PER GRADI CAZZO!!»

Secondo Woo, il concetto di yichi (lealtà personale)
è un elemento imprescindibile del suo prototipo di eroe, come fare a rendere
onore a questo valore per lui così importante, quando il tuo fratello d’arme
comincia a fare di testa sua? Grazie a Tsui Hark il genietto di Hong Kong ha
potuto esprimere il pieno potenziale del suo cinema, ma per “A better tomorrow
II” il suo produttore aveva piani del tutto diversi, che facevano a pugni con
l’idea che Woo aveva del seguito della sua storia.

Il finale del primo film metteva in chiaro il fatto che la
strada era già spianata per un riavvicinamento tra i fratelli protagonisti, il
criminale in cerca di complicata redenzione Tse-Ho Sung (Ti Lung) e il
poliziotto Tse-Kit Sung (Leslie Cheung). Tsui Hark invece era di tutt’altro
avviso, come spesso accade nei suoi film, puntava più al lirismo e a trovare se
vogliamo anche un po’ più barocche, ma sempre tenendo conto del polso del
pubblico, perché andiamo, non si poteva proprio ignorare l’elefante al centro
della stanza, con occhiali da sole, pastrano e fiammifero in bocca.

…quella nera con i buchi sotto le ascelle / più diventan vecchie più mi sembrano belle (cit.)

Per i ragazzi di Hong Kong ma non solo, visto che il suo
mito ha attraversato il globo per far colpo anche ad occidente, Mark, il
personaggio interpretato da Chow Yun-Fat era diventato un’icona di stile,
l’equivalente di quello che era stato Rocky per i ragazzi
italo-americani alla fine degli anni ’70. Insomma da una parte abbiamo il
gemello numero uno, John Woo, con la sua poetica cinematografica ben chiara in
testa, fedelissimo al concetto di yichi, dall’altra abbiamo il gemello
numero due, Tsui Hark, con una mano sul cuore e l’altra sul portafoglio,
consapevole che non si può scappare dal proprio destino e dalla regola aurea
dei seguiti: uguale al primo ma di più!

Il risultato è un grosso compromesso tra le parti, che va
detto, non sempre hanno proprio collaborato pacificamente, impossibile non
immaginarsi Tsui Hark e John Woo, che come due personaggi di beh, un film di
John Woo si comportano come nemici-amici sul set, impegnati in un lungo braccio
di ferro per la direzione da dare al film, forse anche per questo candidamente
vi ammetto, che “A better tomorrow II” mi piace meno del primo capitolo,
ma con dei distinguo belli grossi, che siamo qui a mettere nero su Bara.

«Quale ti piace di più dei due A better tomorrow?», «Il primo!»

Come il suo gemello, anche “A better tomorrow II” comincia
con l’incubo di Tse-Ho Sung, che in prigione rivede il fratello (e il finale
del primo capitolo), ma una volta uscito non ne vuol più sapere nulla
del suo passato criminale ma come avete già intuito, tornerà a perseguitarlo,
anche perché all’equazione va sommata una notevole aggiunta, ovvero il
personaggio di Si Lung, interpretato da Dean Shek, fortemente voluto dal
produttore Tsui Hark.

Attorno a Si Lung ruota tutta una lunghiiiiiiissima porzione
del film, che inizia con il personaggio di Leslie Cheung ormai poliziotto sotto
copertura, anche alla festa dove ritrova il fratello e si scatena il primo dei
tanti drammi e drammoni che popolano i 105 minuti di “A better tomorrow II”. La
lunga sequenza in cui Si Lung spara-senza-sparare mentre Tse-Ho Sung gli salva
la vita anche dall’occhialuto sicario è il calcio d’inizio della vicenda,
bisogna digerire l’idea che un boss criminale vada in pezzi per la morte di una
ragazzina, ma questo spunto diventa anche l’occasione per la storia di
espandere i propri confini, arrivando fino a New York, città non casuale, visto
che trattandosi proprio di quella natale di Martin Scorsese, il regista John
Woo ha potuto diminuire la distanza, anche geografica con uno dei suoi miti
cinematografici.

Intanto Tarantino cop… ehm, prende appunti.

Ora, essendo un film nato sotto il segno dei gemelli, “A
better tomorrow II” opta per una soluzione, posso dirlo abbastanza stronza?
Spero che nessuno mi accusi di lesa maestà ma bisogna essere onesti e il più
lucidi possibile, vedere un personaggio morire nel primo film solo per essere
sostituito dal suo gemello nel secondo è una trovata degna di una soap opera,
tanto che Lynch che demoliva il linguaggio delle telenovelas con il suo Twin Peaks, aveva portato volutamente in scena qualcosa di analogo.

Va detto che però Woo con il suo stile, ha saputo trovare un
modo molto elegante di farci digerire questa trovata comunque poco raffinata di
partenza: un disegnatore di fumetti, personaggio completamente estemporaneo,
sta utilizzando il suo talento per narrare su carta le gesta di Mark e dei
protagonisti del primo capitolo, insomma un caso di adattamento a fumetti del film,
all’interno del film stesso, una roba che solo un nerd come me potrebbe amare!

Quando l’adattamento a fumetti del film, sta già dentro il film stesso.

Il disegnatore per calarsi meglio nel suo lavoro, ha persino
messo le mani sul cappotto tutto sforacchiato di Mark, insomma una trovata
piuttosto fumettistica, presentata utilizzando dei fumetti, ha senso no? Tutto
questo serve per potare in scena il fratello “americano” dell’eroe defunto,
Ken, ovviamente sempre interpretato da Chow Yun-Fat, che sarà stato il primo a
non poter credere alla concreta possibilità di tornare dietro agli occhiali
da sole che lo hanno reso un’icona cinematografica molto imitata.

Gli eroi d’azione non guardano le esplosioni, ma trovatemene un altro che lo fa così!

Ken ha una personalità simile ma abbastanza differente
rispetto al gemello, insomma tra lui intercorre la stessa differenza che
possiamo trovare tra A better tomorrow e il suo seguito, per questo ci
vuole la lunga sequenza del ristorante cinese a New York, del tizio losco che
vuole convincerlo a pagare il pizzo e all’uso alternativo del riso con cui Ken
gli fa cambiare idea. Una scena sopra le righe, che mette in chiaro benissimo
due fatti, il primo è che Ken forse è ancora più matto del fratello, la seconda
che Chow Yun-Fat è un gigante, perché non so quale attore sul pianeta
potrebbe sfoggiare stile anche abboffandosi di riso e facendo il pazzo in quel
modo.

«Ha detto che non gli piace il riso, tienimi altrimenti vendico tutte le mondine del mondo, tienimi!»

Risolta la questione dell’elefante con occhiali da sole e
pastrano, “A better tomorrow II” può concentrarsi ancora un po’ sull’alzare
l’asticella del melodramma, parliamoci chiaro, tutti i film di John Woo hanno
questa predisposizione naturale, saranno i trascorsi orientali o il semplice
fatto di trattare in maniera così sentita il tema dell’amicizia virile e della
lealtà personale, ma un po’ di melò in mezzo a tutte queste pallottole che
fischiano non manca mai.

Uno dei temi ricorrenti della poetica di John Woo è sempre
la trovata dell’amico caduto in disgrazia, anzi, drammaticamente in disgrazia,
quello da aiutare e sostenere perché possa (in qualche caso) rimettersi in
piedi, in “A better tomorrow II” troviamo la più melodrammatica delle
Mariomerolate di John Woo, mi riferisco ovviamente a Si Lung, internato e
ridotto ad una bestia semi catatonica, raccolto con il cucchiaio da terra da
Ken che se ne prende cura come farebbe un fratello maggiore. Ora, se Chow
Yun-Fat è un gigante perché è uscito a testa alta dalla scena del pazzo con il
riso bollito, a Dean Shek viene chiesto un tributo anche superiore, sarà anche il
nostro punto di vista occidentale, ma vedere il suo personaggio annichilito
sotto abbondanti dosi di melodramma non aiuta il ritmo di un film che va detto, procede un po’ a strappi, proprio perché figlio dello scontro tra i due
fratelli d’arme Tsui Hark e John Woo, che tirano la storia per la giacchetta o
per il pastrano, fate voi.

Mario Merola intanto, continua a levarsi da sotto per far passare il melodramma di John Woo.

Proprio per questo “A better tomorrow II” procede in maniera
abbastanza schizofrenica, per nostra fortuna puntualmente scandito dalle
sparatorie dirette da Woo che sono sempre una gioia per gli occhi, quella che
da sola vale la visione del film per me è quella che arriva più o meno a metà,
l’ultima ambientata a New York prima del ritorno ad Hong Kong dei personaggi,
quella dove Ken da solo fa piazza pulita di una banda di sgherri. Una
sparatoria lunga e articolata, tutta coreografata sulla breve distanza dei
corridoi del palazzo in cui vive il personaggio, dove Chow Yun-Fat si esibisce in tutto il
campionario, anche di armi visto che passa dalle 45 automatiche al fucile, per
esibirsi in una delle versioni migliori mai viste della mossa tipica degli
anti-eroi wooiani, ovvero la scivolata sulla schiena, sparando con
un’automatica in ogni mano. Scivolata che in questo caso avviene all’indietro
lungo le scale in discesa, una meraviglia per gli occhi, anche perché John Woo
ribadisce il suo superiore magistero tecnico, non solo per i movimenti della
macchina da presa o gli angoli di inquadratura, sempre azzeccatissimi, ma
soprattutto per il montaggio.

La mossa degli anti-eroi di Woo, nella versione gradini in discesa.

Una sparatoria nella realtà è velocissima, anti cinematografica,
l’occhio umano non fa neanche in tempo a vedere da dove parte un proiettile
sparato, Woo invece ha esportato nel mondo lo stile di Hong Kong, quello per
cui lo stesso sparo viene mostrato due o tre volte, da altrettanti angoli di
inquadratura saggiamente uniti in un montaggio estremamente dinamico e fluido,
che prolunga l’azione rendendola chiarissima, una soluzione visiva che nel
corso degli anni è diventata un classico per tutti i registi d’azione del
pianeta.

«Perché sorride?», «Sta guardando il resto del mondo che ci invidia e ci copia»

Per una buona metà però, “A better tomorrow II” è un film
che anche per ritmo della narrazione, risente vistosamente del suo essere
figlio di due fratelli in lotta tra loro, non è un caso che salga decisamente
di colpi quando uno dei due ha la meglio e per nostra fortuna a mettere entrambe
le mani sul volante è chiaramente John Woo, tanto che possiamo intuire il
momento esatto il cui il genietto di Hong Kong è salito in cattedra, perché
anche in un film pieno di momenti così melodrammatici, esagerato, a tratti anche al
limite dello slapstick, insomma anche in un film così imperfetto, arriva la
zampata del vero Maestro, quella scena quasi struggente, per tempismo e messa
in scena che ti fa perdonare tutto quello che hai visto prima. Un grandioso utilizzo del montaggio alternato, mentre un uomo muore
un altro viene al mondo, con Woo che trova il tempo di metterci anche dentro
l’inquadratura su una stella cadente, un momento che ogni volta mi fa pensare:
«No ma metticelo un po’ di romanticismo nei tuoi film ogni tanto John!»

Ma la verità è un’altra, per certi versi anche molto
semplice, qual è l’effettivo merito di questo film schizofrenico, questo
gemello diverso del suo fratello maggiore? Senza ombra di dubbio il finale, se A better tomorrow è un film spartiacque, il suo seguito è uno di quei titoli per
cui vale la domanda: dove ti trovavi la prima volta che hai assistito alla
sparatoria finale di “A better tomorrow II”? Anzi, posso rincarare la dose chiedendovi,
dove eravate la prima volta che avete assistito a questo Classido?

Uguale al primo, ma di più, non esiste che so, seguito di Arma Letale o titolo d’azione, a ben guardare anche contemporaneo, che
possa davvero tenere il passo con la mattanza che conclude “A better tomorrow
II”. Sul tema eroico della colonna sonora, Ken indossa il cappotto sbucherellato del fratello ed insieme ai suoi compari, carica una sacca d’armi,
saltano un muretto tipo “I ragazzi del muretto” d’azione e non prendono più prigionieri.

«Te ne servono altre?», «Continua a portare, questi prima di sei o sette colpi a testa non muoiono!»

Granate, UZI, addirittura un’ascia da combattimento, nessuna
arma viene lasciata indietro oppure non utilizzata in un finale che procede in
crescendo, quando sembra aver raggiunto un apice insuperabile, fanno irruzione
nella stanza altri cento sgherri (percepiti), dove ogni colpo subito dai nostri
(anti) eroi viene sottolineato dai rallenti scientifici di John Woo, che può
definitivamente sedersi al tavolo con i suoi Maestri, visto che nello stesso
finale il regista firma la sua versione del portico di sangue di Peckinpah,
ma anche un duello di chiara ispirazione leoniana.

Efficace, letale, preciso ma soprattutto, stilosissimo.

Il duello nel duello è lo scontro tra Ken e il sicario con
gli occhiali da sole, un momento di puro Western che brilla nel mezzo di uno
scontro a fuoco all’ultimo sangue, dove i due moderni samurai di Woo, si
sfidano a colpi di primissimi piani sugli occhi, poi appoggiati ad una colonna
si riconoscono come simili dalla stessa etica, scambiandosi l’arma da fuoco a vicenda,
quella con qui sono pronti a spararsi addosso si, ma solo dopo essersi
riconosciuti come guerrieri fatti della stessa pasta.

«Non dovremmo avere dei cappelli a tesa larga per questo?», «Sta zitto e spara. Se ci riesci»

Un duello che riesce ad essere epico come quelli di Leone,
ma invece di procedere vero l’alto, diventando sempre più grande, si proietta
verso il basso, trovando la sua conclusione a terra ma con la stessa epica,
perché dalla sua versione del portico di sangue, restano in piedi solo tre
personaggi e idealmente, anche il loro regista, che dalla polvere e dalla cordite,
emerge come il nuovo grande Maestro del cinema d’azione, araldo dell’Heroic
Bloodshed.
 Mica male per un film imperfetto e frutto di una produzione travagliata.

Il secondo spartiacque della carriera di John Woo si
conclude così, come il nostro capitolo di oggi, a questo punto penso che
dovremmo fare una piccola deviazione per seguire anche il destino di Tsui Hark,
ma in ogni caso ci siamo, adesso questa rubrica è entrata davvero nel vivo, non vi
azzardate a saltare i prossimi capitoli o vi sparo. Saltando e con una 45 automatica in ogni mano.

Come ti senti, quando hai terminato di scrivere un post su questa pietra miliare.
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