Trovo molto logico che il padre del cinema della mutazioni del corpo e della mente, sia affascinato dalla psicologia e dai suoi grandi padri fondatori, che poi sono i vertici del triangolo al centro del film di oggi, bentornati alla rubrica… Il mio secondo Canadese preferito!
Il corpo umano, come ci hanno insegnato tante puntate di “Siamo fatti così”, è una macchina complessa che trova quasi sempre il modo di riparare se stessa, inoltre ogni parte del nostro corpicino può contare su una scienza medica che si occupa di tutte le singole parti, per il cuore abbiamo i cardiologi, per le ossa gli ortopedici, oculisti si occupano degli occhi, mentre per quanto riguarda la mente, possiamo sempre fare come Woody Allen e contattare uno psicologo.
Cronenberg con il suo cinema ha esplorato il corpo e le sue mutazioni, ma soprattutto le flessioni della mente, a giudicare dal quantitativo e dall’importanza del sesso nei suoi film, potrebbe essere un grande ammiratore di Freud, anche se Davide Birra si è sempre definito assolutamente non Freudiano (storia vera).
Inoltre, Freud è sempre stato un personaggio che ha affascinato il cinema, sto pensando al film di John Huston “Freud – Passioni segrete” (1962) dove il padre della psicologia era interpretato dal mai abbastanza citato Montgomery Clift, mentre il rapporto tra Carl Gustav Jung e Sabina Spielrein è stato portato al cinema nel 2002 anche da Roberto Faenza in “Prendimi l’anima”.
Certo, io sono un Cronenberghiano senza ritorno, quindi non faccio testo, ma se dovessi scegliere un regista, per raccontarvi la storia dei complicati rapporti tra Jung, la Spielrein e “Zigmy” Freud, io non avrei dubbi, questa è roba per Cronenberg tutta la vita!
Lo pensavo anche nel 2011, quando andai a vedere “A Dangerous Method” leggerissimamente gasato dall’idea di un film ideale per Davide Birra, con la gradita nota aggiuntiva di essere anche la terza collaborazione in fila tra il Canadese e Viggo Mortensen che, in linea di massima, con i due film precedenti hanno fatto benino.
Non ho mai studiato psicologia, cioè in realtà in vita mia non ho mai studiato un cazzo di niente per essere precisi, però ho sempre trovato le vicissitudini tra Freud, Jung, Sándor Ferenczi e quel club di prime donne che hanno di fatto inventato una complessa nuova branca della medicina, incredibilmente interessanti.
Essendo io una capra di montagna, il mio interesse non era tanto per le teorie, quanto più sulle storie, perchè quel club del cucito di cervelloni, ha prodotto un quantitativo esagerato di aneddoti uno migliore dell’altro, gli scambi epistolari si sono sprecati e il risultato erano chicche clamorose, come quella di Jung che sogna di consegnare a Freud la punta del suo stesso pene, servito su un piattino (storia vera!), roba che per essere interpretata non richiede davvero il padre della psicoanalisi, ma che ditemi se non sembra pensata per un film di Cronenberg.
Eppure, “A Dangerous Method” risulta il film che trovo meno efficace del mio secondo Canadese preferito, non lo dico a cuor leggero, visto che è uno dei miei preferiti, ma soprattutto perché mi ritrovo spesso in connessione con le trame raccontata da Davide Birra (sarà perché sono pazzo? Probabile), questo davvero è un film che parla tanto, ma mi dice davvero poco, anche se avrebbe tante cose da dire.
La sceneggiatura di Christopher Hampton (sceneggiatore i fiducia di Stephen Frears) si basa sul suo stesso spettacolo teatrale del 2002, a sua volta basato sul libro di John Kerr “Un metodo molto pericoloso” del 1993. Trovo sensato che un film sulla psicologia, risulti molto parlato, proprio come una seduta dallo psicologo, il problema che allo stesso modo nella storia ci sono tantissimi spunti che, però, non vengono mai approfonditi pienamente, complice anche il fatto che Cronenberg, nell’ultima fase della sua carriera, abbia scelto di concentrarsi sempre più sulle mutazioni interiori (della mente) dei protagonisti, piuttosto che su quelle fisiche.
L’approccio di Cronenebrg è clinico, come al solito, anche nel modo freddo di inquadrare i personaggi, ma il film fa ancora meno concessioni alla “Carne” di quelli precedenti, se il romanzo originale di Spider e il fumetto a cui è stato tratto A History of violence, fornivano molte scene grondanti sangue che Cronenberg ha scelto volutamente (e con successo) di ignorare, qui un approccio più fisico avrebbe aiutato, magari non il pene di Fassbender su un piattino ecco, anche se sono sicuro che molto pubblico femminile avrebbe parecchio apprezzato.
Sabina Spielrein (Keira Knightley) è la nuova tormentata paziente di Carl Gustav Jung (Michael Fassbender) a cui il dottore diagnostica una grave forma di schizzofrenia, legata ai maltrattamenti infantili, un gravissimo caso di “Daddy issues” in cui le mani pesanti paterne, fanno scattare l’eccitazione sessuale per l’umiliazione e le sculacciate della donna, praticamente la versione seria di quella cazzata di “Cinquanta sfumature di grigio”, nero, verde, o il colore che preferite.
Sabina Spielrein fermamente intenzionata a guarire e diventare a sua volta psicologa, subisce il trasfert medico/paziente in un modo tutto suo e complice l’intervento di Otto Gross (un convincente Vincent Cassel a cui fa bene lavorare con Cronenberg), alla fine pure il nostro Jung capitola al controtransfert diventando l’amante della donna.
A suo modo la Spielrein con la sua sessualità, arriva a dividere gli Inseparabili Freud e Jung, esattamente come capitava ai gemelli Mantle, peccato, però, che dei tantissimi argomenti Cronenberghiani ed estremamente coerenti con la filmografia del regista (Continuità. Tematica. Soffocante. Così anche perché questo film ho citato la mia frase mantra), la sensazione che ho anche dopo aver rivisto il film, è quella di una storia che si muove troppo sulla superfice e non centra mai il bersaglio.
Della prima visione al cinema di questo film ricordavo solo che a fine film mi mancava la carne e il sangue (vero o metaforico che sia) degli altri film di Cronenberg, che il finale arrivava di colpo BOOM! E che se non ho mai apprezzato Keira “Clavicole” Knightley ho sempre avuto le mie ragioni e questo film è una di quelle.
La trama è talmente piena di argomenti che procede spesso fin troppo velocemente, Jung si lamenta che deve prestare servizio militare, scena successiva, è tornato dal servizio militare. La moglie di Jung (la brava Sarah Gadon in un ruolo tutt’altro che semplice) aspetta il primo figlio e un attimo dopo ha già partorito anche il secondo, inoltre, tanti passaggi chiave della vita dei personaggi vengono dati per scontati.
Lo scontro ideologico fra l’approccio scientifico di Freud e quello più liberale, al limite della superstizione secondo l’arcigno “Zigmy” applicato da Jung deve essere già noto al pubblico, perché l’unica scena che Cronenberg dedica a questa sostanziale differenza tra i due, è quella della libreria che scricchiola, forse uno dei pochi momenti in cui Davide Birra utilizza il cinema e non i tanti dialoghi per raccontare qualcosa dei suoi personaggi.
Trovo significativo che le scene in cui le parole vengono ridotte all’osso, siano anche quelle più efficaci, ad esempio, il mio momento preferito è quando Jung sottopone al test della libera associazione di parole sua moglie Emma, in quel momento tutti quanti noi, spettatori e protagonisti della vicenda, arriviamo alla stessa conclusione sullo stato mentale delle donna, basandoci solo sulle sue lapidarie risposte, il fatto che quella picchiatella di Sabina Spielrein venga subito nominata assistente di Jung, invece, è la prova che fin dal suo esordio, la psicologia è basata sullo sfruttamento dei tirocinanti, un saluto a tutti i laureandi in psicologia!
A proposito di mostrare, un personaggio che agisce (molto!) più che parlare e che, infatti, nei pochi minuti in cui lo vediamo ruba lo schermo, è Otto Gross, uno che nella realtà ha avuto una vita breve, ma pazzesca, roba davvero da film, che qui è relegato alla funzione di Lucignolo di Jung, per fortuna Vincent Cassel interpreta il personaggio come un vero e proprio satiro, infatti risulta efficacissimo ed è anche uno dei pochi che porta nel film un atteggiamento un po’ sanguigno che quando c’è di mezzo Cronenberg, non fa mai male.
La storia è apertamente schierata, coerente con il suo dichiararsi non Freudiano, Cronenberg patteggia vistosamente per Jung, infatti il film ruota tutto intorno a lui e gli altri personaggi, come il già citato Otto, ma la stessa Sabina (i cui successi in campo medico e umano sono frettolosamente elencati nella didascalia che conclude il film) sono solo elementi nella vita del personaggio.
Sabina è quella che porta il sesso nella vita del protagonista, con il loro rapporto sadomaso, entrambi evolvono, un tema classico di Cronenberg che fin dagli esordi cinematografici ha utilizzato il sesso come scintilla per la mutazione (esteriore o interiore che sia) dei suoi personaggi. Il virus, questa volta, è la psicologia stessa, infatti la frase che resta più impressa di tutto il film, è il commento di Freud sulla nave poco prima di sbarcare in America: «Secondo voi lo sanno che stiamo arrivando a portar loro la peste?»
Peccato che il film dica molte cose, senza approfondirne nessuna, solo il viaggio americano deiCrosby, Still, Nash & Young della psicologia (Ferenczi, Spielrein, Freud & Jung) sarebbe potuto essere materia per un’intera pellicola, basta dire che qui Sándor Ferenczi, che in materia non è proprio l’ultimo della pista, si vede per tre secondi e viene mostrato come se fosse il portaborse di Freud.
Buona parte dello sconto tra Freud e Jung è parlato, epistolare, non aiuta nemmeno che la messa in scena sia ben fatta, ma scolastica, bei costumi, “Bella la fotografia” (come si dice in questi casi), ma purtroppo il film si attesta in zona sceneggiato televisivo che per un film di Cronenebrg è davvero pochino. Nello scontro quasi edipico tra Jung e Freud, una specie di padre morale del “Principe ereditario” della psicologia, ci starebbe tutto il film, anzi, ci starebbe un ottimo film di Cronenberg, ma nella trama ci sono troppi temi mai davvero sviscerati, per coinvolgere davvero.
Gli attori fanno un buon lavoro, Cronenberg ha voluto Michael Fassbender perché è stato il primo a riconoscere il fatto che l’Irlandese dia il meglio quando può sfoggiare la sua sensualità quasi selvaggia (per usare le parole del Canadese), non è un caso se quella che io considero la migliore prova di Michele Piegaveloce sia arrivata proprio nel 2011, però in “Shane” e non in questo film (sfiga!) dove Fassbender funziona, nulla da dire, ma tra tutti i protagonisti che arrivano devastati alla fine di un film di Croneneberg, lui è quello che mi provoca meno empatia e interpretando uno psicologo questo è molto grave!
Viggo Mortensen è un ottimo attore non protagonista, s’inventa la camminata curva giusta e si mimetizza dietro le lenti a contatto, pare che si sia letto tutti i libri di Freud su cui è riuscito a mettere le mani (e non sono propriamente pochi!) per calarsi nella parte, niente male per uno che è venuto giù in fretta e furia per sostituire Christoph Waltz, prima scelta per il ruolo e che, diciamolo, sarebbe stato più adatto anche fisicamente, peccato che in quel periodo, fosse andato a fare il circense nel non proprio esaltante “Come l’acqua per gli elefanti” (2011), quindi mi sa che ci è andata di sfiga a tutti.
Ma la sfiga suprema di questo film è la mia amica Clavicole, c’è stato un momento in cui Keira Knightley era in tutti i film, ma sì e no ne ricordo uno che ho apprezzato con lei, molti la considerato uber-gnocca, non discuto i gusti di nessuno, ma per me è sensuale come un osso di pollo, inoltre, qui non funziona, non funziona per niente.
Pare che il primo contatto tra Clavicole e Davide Birra sia avvenuto via Skype, il regista ha chiesto alla ragazza di vedere qualcuna delle sue strambe espressioni da orgasmo (storia vera!), sapendolo Keira si era preparata qualche minuto prima allo specchio, sarò cattivo io (lo sono), ma un’attrice che non riesce a recitare nemmeno un orgasmo, per me dovrebbe cambiare mestiere.
Se Sabina Spielrein sta avendo un orgasmo, un colpo apoplettico, oppure uno spasmo dovuto alla sua condizione, Clavicole recita tutto allo stesso modo, quando la guardo non vedo un personaggio che soffre, vedo un’attrice che si sforza di risultare convincente, non basta la manovra dello “Smascellamento” a convincermi, la sua prova mi tira proprio fuori dal film, inoltre, tutti i personaggi femminili Cronenberghiani, più o meno affascinanti in base ai vostri gusti, sono sempre stati tutti a loro modo sensuali, qui invece chi ci tocca? Clavicole, ok va bene facciamoci del male!
Insomma, anche rivedendolo posso confermare che “A Dangerous Method” non è un brutto film, però mi manca la carne e il sangue, ma soprattutto quella capacità di arrivare sempre alla pancia, passando sottopelle che, invece, è la caratteristica principale di tutti gli altri film del mio secondo Canadese preferito, quindi più che schierarmi tra Freudiani, oppure Junghiani, avrei preferito qualcosa di più Cronenberghiano. Prossima tappa del viaggio, ci andiamo in macchina, anzi, in Limousine, non badiamo a spese.
Sepolto in precedenza venerdì 14 luglio 2017
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