Possiamo tranquillamente dichiarare che ormai i film della A24 fanno quasi reparto, il vantaggio di questi titoli consiste che nel citare la casa di produzione che prende il nome dalla Roma-Teramo (storia vera) basta pronunciarla per svuotare spesso stanze piene di appassionati, perché da un certo punto di vista si tratta di Horror perfetti per chi considera questo genere roba per rozzi buzzurri.
Viviamo anche nell’epoca delle etichette facili, se leggete questa Bara senza puzza sotto il naso che non fa l’inutile distinzione tra cinema “alto” e “basso”, dovreste sapere che l’horror “Elevated” è sempre esistito, ma non era una categoria, era più semplicemente una questione di contenuti, mentre in quella terra di nessuno chiamata “Infernet” sembra che non ti possano piacere gli Horror splatter se in passato hai dimostrato apprezzamento per un film (uno qualunque) della A24.
Va anche detto che se tutti i lavori fossero come la terza regia di Aaron Schimberg, le chiacchiere starebbero a zero, di mio mi faccio sempre acchiappare dall’elemento fantastico, che sia horror o meno poco importa, ma visto che siamo nel campo della A24, partiamo da un’altra questione che a questa Bara interessa il giusto, ovvero i premi: Sebastian Stan per la sua prova si è portato a casa l’Orso d’argento alla 74ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino il 16 febbraio 2024 e qualche giorno fa un Golden Globe. Non ho visto tutti i film in concorso alle due manifestazioni, ma sulla base di “A Different Man” il premio ci sta, anche se bisogna indagare sulle ossessioni di Schimberg.
Dopo aver visto “A Different Man” ho fatto quello che faccio sempre, i compiti, scoprendo che il film precedente del regista intitolato “Chained for Life” (2018) oltre ad una trama per certi versi simile al nostro film di oggi, ha in comune la presenza nel cast dell’attore Adam Pearson, conduttore televisivo e attivista britannico, che magari ricorderete per la sua apparizione nel film “Under the skin” (2013). Pearson ha la neurofibromatosi, da anni è coinvolto in programmi di sensibilizzazione sul bullismo associato alla deformità e “Chained for Life” era la storia di una bellissima attrice in difficoltà a relazionarsi con un collega dal volto sfigurato sul set. Mi fa piacere che Adam Pearson possa trovare ruoli al cinema, per certi versi “A Different Man” è costruito attorno alla sua presenza anche quando non compare in scena, tanto che davanti alla locandina ho pensato: «Somiglia a quello di Under the skin» (storia vera).
Edward (Sebastian Stan) è un aspirante attore affetto da neurofibromatosi, ribalzato sistematicamente ai provini perché i ruoli da Romeo gli sono preclusi, la sua nuova vicina di casa è Ingrid (Renate Reinsve) una regista teatrale che mette su un’amicizia molto ravvicinata con Edward, non ravvicinata fino a quel punto solo perché il nostro protagonista, dopo anni ad essere guardato storto da tutti, non se la sente di buttarsi.
Il nostro preferisce piuttosto lanciarsi abbracciando l’elemento MacGuffin della storia, una cura sperimentale che potrebbe risolvere per sempre la sua neurofibromatosi, come avviene puntualmente con l’utilizzo di effetti prostetici, è facile intuire che se sotterri di plastica il volto da belloccio di Sebastian Stan, prima o poi dovrai sfoggiarlo.
Quando Edward si risveglia figo, si inventa la nuova identità di Guy (non si sa con quali documenti o come faccia a depistare il medico che lo aveva in cura, vabbè, non fate i puntigliosi!) iniziando a fare il lavoro che richiede il più grosso quantitativo di faccia di tolla del globo, il venditore di case… Una faccia nuova e nessuna paura di usarla.
Senza aver rinunciato ai sogni di recitazione, Edward, ora Guy, incappa in uno spettacolo Off-Broadway scritto e diretto da Ingrid, ispirato alla sua amicizia con l’ormai defunto vero Edward e si incaponisce di essere l’attore giusto per la parte, se la guadagna utilizzando una maschera identica al suo vecchio volto perché ehi! Nessuno può interpretare Edward meglio di beh, Edward no?
Va tutto a gonfie vele fino al giorno in cui nello stesso teatro non arriva Oswald (Adam Pearson) che non è un attore, ha solo una gran favella, una personalità dirompente e beh, la faccia giusta per la parte, visto che anche lui ha la neurofibromatosi, senza nemmeno bisogno di costringere la spiantata produzione ad utilizzare una maschera che, oltre a cadere a pezzi, pone dei dubbi etici: per un personaggio con la neurofibromatosi è meglio prendere il migliore attore possibile o qualcuno con la neurofibromatosi?
“A Different Man” è uno di quei film afflitti dal problema per cui, raccontare la sinossi vuol dire coprire più o meno il primo atto e mezzo del film stesso, ci sono passaggi in cui bisogna tapparsi il naso e sorvolare, un paio li ho descritti, l’altro è il simbolismo della chiazza di umidità sul soffitto dell’appartamento di Edward, un evento che il protagonista non fa nulla per risolvere, piuttosto ci convive per non alterare lo status quo, che è un po’ tutto il METAFORONE di un film che stringi stringi, funziona davvero solo per le prove di Stan e Pearson.
Non solo diventa piuttosto evidente che a Aaron Schimberg della questione etiche relativa a scegliere il miglior attore possibile o una con la stessa patologia del personaggio da impersonare non interessa minimamente, per il regista questo tema caldino anzi che no si riduce a due righe di dialogo infilate nel mucchio per logica, forse per darsi un tono satirico che il film NON sa cavalcare, limitandosi un ad solo punto di vista.
Oswald è più Edward di Edward, perché ha l’atteggiamento giusto, è uno sicuro dei suoi mezzi, che non ha problemi a scherzare e parlare apertamente del suo viso, in pratica è Adam Pearson che interpreta Adam Pearson, che interpreta Oswald, l’Edward giusto.
Edward invece sarà anche diventato Guy e un figo, ma la mente non si è adattata alle flessioni del corpo o del ruolo, per questo nelle due scene in metro, il personaggio si sente ancora gli occhi addosso di tutti anche se ora ha una faccia da cartellone pubblicitario, letteralmente.
“A Different Man” si riduce tutto al caro vecchio adagio non farti pecora o il lupo ti mangia, l’antico ma classico, non so un cazzo, ho tutti gli occhi addosso in un ruolo in cui sono estraneo? Nel dubbio faccia tosta, postura a schiena dritta, battuta pronta e piacerai a tutti, l’alternativa? Magari sei il migliore del mondo in quel ruolo, ma voce bassa, spalle curve e capo chino, non convincerai nemmeno tua nonna. Quanto ci ho messo a scriverlo e voi a leggerlo? Dodici secondi? Aaron Schimberg ci ha messo 112 minuti di film per raccontarlo.
La svolta poi è ancora meno sensata e didascalica di Edward che riesce a sparire dribblando il suo medico, nella pancia di questo film poteva esserci una storia pungente, davvero satirica ed efficace come Edmond, ma in realtà è una cosetta che la satira di sicuro non riesce a farla, ma si salva in corner grazie alle espressioni, come quella conclusiva di Sebastian Stan, uno che di recente ha dimostrato di saper recitare truccato da mostro vero, purtroppo questo lavoro firmato A24 pecca di didascalismo galoppante.
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