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A History of Violence (2005): ah quindi i Canadesi sarebbero dei mollaccioni, vero?

Cosa c’è di più
americano della torta di mele? Forse solo una cosa: la violenza, che poi è
l’argomento al centro del film di oggi della rubrica… Il mio secondo Canadese
preferito!

Avete presente
quei gruppi rock che non appena diventano abbastanza famosi, devono fare i
conti con accuse vere o presunte di essersi venduti? Il discorso è lungo e
complesso, andrebbe analizzato caso per caso, ma se arrivi da un mercato
indipendente e diventi un pesce abbastanza grosso, prima o poi qualcuno che ti
punta il dito contro lo trovi, vale lo stesso discorso anche per “A History of
Violence”.
Ad una prima
occhiata distratta può sembrare un cambio totale di genere per il mio secondo
Canadese preferito, se non altro, a cambiare questa volta è il materiale
originale da cui Cronenberg sceglie di trarre la sua storia (di violenza), non
un romanzo, ma un fumetto, anzi una graphic novel! Per carità non chiamiamoli
fumetti altrimenti non sembrano una cosa seria!
“A History of
Violence” è uscito per la Vertigo (la linea adulta della Distinta Concorrenza)
nel 1997, ai testi il leggendario John Wagner, autore di una montagna di
fumetti per la storica rivista inglese 2000 AD e di tantissime storie di Judge
Dredd. Ai disegni Vince Locke artista proveniente dall’underground che ha
lavorato sulle pagine di Sandman ed è
celebre per la copertina dei dischi dei Cannibal Corpse.


Anche io la mattina sono irrascibile senza il mio caffè.

Cronenberg non è
mai stato un appassionato di fumetti ed ora che i fumetti di super eroi
saturano le sale cinematografiche, Davide Birra ha sempre avuto le idee chiare:
per lui il cinecomics più adulto e “Dark”, resta comunque una storiella
adolescenziale che di veramente adulto non ha nulla. Ogni riferimento a fatti,
cose, persone e registi di nome Christopher Nolan è puramente voluto. Anzi, se
volete vedere una reazione, in uno storicamente pacato come Cronenberg, provate
a chiedergli cosa ne pensa dei film di Nolan, il suo strabuzzare gli occhi
equivale ad un “Ma vaffanculo” di chiunque altro.

Ma non tutti i
fumetti prevedono tizi in calzamaglia e una buona storia è comunque una buona
storia, infatti nel lavoro di John Wagner, Cronenberg intravede la possibilità
di continuare a fare il suo cinema. Il risultato finale è incredibile, anche
considerando il fatto che il regista non è affatto uno di quelli che utilizza
gli Storyboard che poi sono il vero punto di contatto tra il cinema e i
fumetti, perché la suddivisione e la scelta delle inquadrature, studiata a
tavolino su carta, con la collaborazione di carta, matita, chine e disegnatori,
trasforma tutti i film in pre produzione in fumetti. Peccato che Cronenberg
preferisca scegliere le inquadrature con il suo direttore della fotografia di
fiducia Peter Suschitzky, poco prima di girare, aggirandosi per il set in cerca
della soluzione visiva migliore (storia vera), considerando la sua filmografia
e la riuscita di questo film, la tecnica di Cronenberg non è in discussione.


David spero che tu abbia il porto d’armi per quell’affare.

“A History of
Violence” ad una prima occhiata sembra un thriller con criminali e
pennellate da film d’azione, le accuse a Cronenberg di essere passato ad un
cinema più facile e commerciale non hanno senso, avere il divo lanciato da “Il
Signore degli anelli” come protagonista non è una scelta alla moda, ma l’unica
sensata per uno che in passato aveva scelto un’attrice pornografica, solo perché la più adatta per il ruolo e la storia che doveva
raccontare.

Anche perché
parliamoci chiaro: Viggo Mortensen
oltre ad essere una delle personalità più poliedriche e creative che si aggira
su questo gnocco minerale che ruota intorno al Sole, è un attore con una
lunghissima gavetta e una grande tecnica. Dopo averlo visto nei panni di
Aragorn, Hollywood lo voleva a tutti i costi lanciare come un Harrison Ford 2.0
(sì, sto pensando ad “Hidalgo” che comunque non era malaccio), mentre lui
aveva ben altre idee, idee del Cronenberg tipo e se ora Mortensen è
considerato finalmente come uno con la sua personalità merita, bisogna
ringraziare anche il Canadese, che dagli attori ha sempre saputo tirare fuori
il meglio.


Quadretto familiare, gentilmente offerto dal nostro Davide Birra.

La trama di “A
History of Violence” è quanto di più lineare possa esserci: nella sonnacchiosa
cittadina di Millbrock, Indiana (che prende il nome dalla sonnacchiosa
cittadina di Millbrock, in Canada, dove il film è stato girato), Tom Stall (il
nostro Viggo) lavora in una tavola calda, è il bravo papà di due figli, la
piccola Sarah e l’adolescente Jack (Ashton Holmes) ragazzo intelligente che
sfrutta l’ironia per evitare le attenzioni del bullo scolastico.

Il nostro Tom è
innamorato della sua bella moglie di nome Edie (Maria Bello), tutto va alla
grande fino al giorno in cui due criminali entrano nella sua tavola calda per
rapinarla e Tom cacciando fuori una prontezza di spirito (e riflessi)
inattesa, li fredda lasciandoli a terra crivellati e senza più la mascella
(letteralmente!).
Per questa sua
eroica azione Tom diventa quello che Bruce Springsteen avrebbe chiamato “Local
hero”, ma schivare le attenzioni mediatiche non servirà, quando in città
arrivano dei gangster da Philadelphia, guidati dal cazzutissimo Carl Fogarty
(quel gran mito di Ed Harris) uno sgherro dall’occhio sgherro che continua a
chiamare Joey il nostro Tom.


“Ma è un mal’occhio questo!” , “E questo no?” (Cit.)

Volete fare
ridere un americano? Fategli una battuta sui Canadesi, per loro è un classico,
non c’è niente di più divertente per tanti Yankee di fare battute su quanto i
loro cugini con la foglia d’acero sulla bandiera siano “soft”. Ve lo posso
assicurare per esperienza personale, Windsor la cittadina Canadese più vicina
al confine è praticamente un paesino dove tutti ti salutano, il massimo dell’azione
è veder partire una volta al giorno il camion dei pompieri dalla sua stazione
per un giro di controllo e gli scoiattoli aspettano il verde per attraversare
sulle strisce, ve lo giuro li ho visti e non avevo fumato nulla! Poi attraversi il confine e finisci a Detroit, dove il tasso di criminalità è
pari a quello di Gotham e Sin City messe insieme.

Nella loro ottica
di popolo costantemente in guerra contro qualcuno, è normale che i Canadesi
pacati e gentili per natura siano considerati dei “Femminielli”, mi piace
pensare che “A History of Violence” sia la risposta di un Canadese ai tanti
sfottò Yankee ed è anche chiaro che la soffocante continuità
tematica di Cronenberg abbia cittadinanza anche in questo film.


Ricordatevi questa intensa scena finale, perché tornerà buona nel corso della rubrica.

La trama del film
è lineare, i suoi messaggi limpidi e molto chiari, ma una storia così scarna si
porta dietro una densità di contenuti invidiabile e una messa in scena
impeccabile che esalta ancora di più i messaggi, forse per questa lettura di
secondo livello così limpida e l’aspetto esteriore da film con i gangster,
qualcuno deve aver pensato che Cronenberg abbia ceduto al lato commerciale
della cinematografia, in realtà “A History of Violence” funziona alla grande perché
è asciutto come un osso, è secco e diretto come uno schiaffo in faccia.

Capisco perché molti
lo abbiano pensato, l’inizio è anomalo per Cronenberg: un’unica sequenza, un
carrello laterale che segue le vicende die due criminali pronti ad affrontare
un viaggio in auto, anche i titoli di testa, stranamente minimali per le
abitudini di Davide Birra, sembrano sottolineare il cambio di stile, ma forse
siamo solo noi spettatori che appena vediamo due criminali chiacchierare dei
fatti loro, prima di ammazzare qualcuno, dobbiamo per forza gridare fortissimo: “TARANTINOOOOOOOO!”.


Quello lì dietro non è il nome dell’albergo, ma i titoli di testa del film.

Basta l’inquadratura
(gelida!) sulla pistola, per capire che l’occhio da anatomopatologo di
Cronenberg è sempre lo stesso, come un grande chitarrista, basta una nota
suonata alla sua maniera per riconoscerlo e, infatti, è sempre lui a parlarci
di un’altra infezione, questa volta il virus è la violenza, forse non sarà
batterico, ma altera lo status quo e provoca mutazioni, non nel corpo, ma nel
comportamento delle persone.

Diventa chiaro
nel vedere le diversa reazione di Jack (un azzeccato Ashton Holmes) al bullo
prima e dopo che la violenza è entrata a nella vita della famiglia Stall, il
ragazzo passa dalle battute sagaci ai pugni in faccia e ai calci nelle palle,
parliamoci chiaro: il bullo scolastico è un tale stronzetto che una ripassata
se la meritava pure, ma proprio in questo sta il senso del film.
Cronenberg forse
non lo fa in maniera manifesta come Michael Hanake in “Funny
games” (entrambe le versioni 1997 e 2007), ma pone noi spettatori in una
posizione di arbitri rispetto alla violenza nei film, di fatto è come se ci
stesse ancora chiedendo di dubitare delle immagini, esattamente come faceva in Videodrome. Quando vediamo Tom Stall
agire con violenza per seccare due viscidi criminali, è impossibile non
tifare per lui, perché la violenza perpetrata dai “Buoni” suoi “Cattivi” è cosa
buona e giusta al cinema.

“Sei un bravo ragazzo! Un bravo ragazzo! Un bravo ragazzo!” , “Non tanto bravo” (Cit.)

Trovo estremamente significativo che il cattivissimo Carl
Fogarty abbia tutte le caratteristiche chiave di un cattivo, l’occhio sfregiato
e i vestiti neri come Lee Van Cleef in un film western, inoltre è interpretato
da quel fenomeno super carismatico di Ed Harris che è uno dei miei attori preferiti
anche perché si mangia lo schermo anche quando da spettatore dovresti odiarlo.
I dubbi iniziano ad arrivare a noi e ai membri della famiglia Stall
(rappresentati dalla bravissima Maria Bello) quando veniamo a scoprire che il
buon Tom, non è poi l’eroe puro di cuore che credevamo essere e che, anzi, non
si chiama nemmeno Tom ma Joey Cusack.

Ancora una volta,
il corpo si adatta alle flessioni delle mente e Viggo Mortensen è bravissimo
ad utilizzare il linguaggio del corpo, per sottolineare senza bisogno di
parole, i momenti in cui passa dall’essere il mite Tom Stall, al violento Joey
Cusack, nuovamente due gemelli uniti nel corpo, ma distinti nei comportamenti,
esattamente come i dottori Beverly e Elliot Mantle di Inseparabili.


Davvero non si capisce chi è Tom e chi è Joey?

Il virus della
violenza che genera il cambiamento e la mutazione, come sempre per i
personaggi di Cronenberg passa attraverso il sesso, all’inizio film Tom ed Edie
fanno l’amore in maniera giocosa, adolescenziale con lei vestita da
Cheerleader, per altro, io non vorrei trasformare questa pagina nel breviario
delle posizioni da fare a letto (usate un po’ di fantasia che diamine!), però i
due scelgono anche una posizione parietaria, che garantisce pari piacere ad
entrambi, insomma, molto democratici.


Sfilare vestiti con impacciata joy de vivre.

L’altra faccia
della medaglia è l’altra scena di sesso tra i due, che inizia con lo schiaffo
in faccia di Edie al marito che ormai non riconosce più e si trasforma in una
lotta sulle scale di casa, lotta che tanti hanno scambiato per uno stupro e
criticato aspramente (ma che avevano tutti contro questo film?), quando è
chiaro dal bacio appassionato che Edie schiocca a Tom/Joey che in realtà non è
affatto uno stupro, ma solo l’effetto collaterale della mutazione in corso, che
ha effetto sui comportamenti e sul corpo, i lividi sul corpo di Edie mostrati
da Cronenberg parlano chiaro.

Posti scomodi, quasi quanto il retro di una Volkswagen.

Gli echi noir e
western già presenti nel fumetto di John Wagner vengono amplificati da
Cronenberg, lo scontro nel vialetto di casa sembra davvero un duello da film
western, Cronenebrg pare mettere alla berlina le fisime di una nazione
fissata con il possesso delle armi e il giustizialismo a tutti i costi. La sceneggiatura
del film è accreditata a Josh Olson, ma Cronenberg ha contribuito pesantemente
a dare la sua direzione alla storia e questo spiega come mai al pari di Spider, alcune scene grondanti sangue
presenti nel fumetto, nel film siano scomparse. Ad esempio, la famigerata
scena 44 è stata tagliata dal film, anche se girata interamente e visibile con
tanto di making of nei contenuti speciali del DVD del film, non in quelli della
VHS, sì, perché “A History of Violence” è stato l’ultimo titolo di punta
stampato nel glorioso formato e mi sembra anche giusto che sia stato proprio
un film di Cronenberg, uno che con i mitici nastri ha avuto grandi trascorsi, a chiudere un’era.

La scena 44 era
un sogno di Tom in cui il personaggio sparava in pancia allo sgherro Carl
Fogarty che sdraiato a terra con la cassa toracica aperta, continuava serafico
a parlare con Tom. Per altro, visto l’effetto speciale del torace sbudellato,
lo stesso Cronenberg si è messo a scherzare con Viggo sul fatto che avrebbe
potuto auto omaggiarsi, chiedendo ad Ed Harris di estrarre la pistola dalla
pancia come faceva Max Renn. Nemmeno l’unico scherzo sul set, perché in un paio
di situazioni, Viggo era affetto da “Ridarola compulsiva”, oppure si divertiva a
coglionare la locale squadra di Hockey, sfoggiando sul set sotto i vestiti di
scena, la maglia della squadra avversaria (storia vera) visto? I Canadesi non
lo hanno nemmeno ucciso, provate a fare negli Stati Uniti (o qui da noi) una
cosa così!


“Bravo bravo scherza, ti va bene che qui siamo oltre il confine”.

Visto che ho
citato il fumetto, Cronenberg ha modificato la nazionalità dei gangster, non più Italiani di Brooklyn, ma Irlandesi di origini, David guardando capelli biondi e
occhi azzurri dei suoi tre attori più famosi, Viggo, Ed Harris e William Hurt,
deve aver capito che tutti sembravano tranne che italo-americani, ma
soprattutto ha deciso di modificare lo scontro finale tra Tom e Richie che da
solo vale un discorsetto.

Nel fumetto è
molto più splatter, bisogna dirlo, Cronenberg, invece, lo trasforma quasi in un
duello western, a cui toglie ogni forma di epica, resta solo un gigioneggiante
William Hurt che compare pochissimo sullo schermo, ma che giganteggia nel
ruolo del fratellone di Tom, Richie Cusack e, per altro, la sua prova gli è valsa
una nomination agli Oscar come attore non protagonista, niente male per cinque
giorni passati sul set in Canada.


“Caino, Caino ha fatto scemo Abele…” (Cit.)

“A History of
Violence” è un film che esprime in maniera molto diretta le sue metafore
seminate lungo una trama estremamente esile, forse l’ambiguità di altre opere di
Cronenberg è meno manifesta, ma le tematiche tipiche del mio secondo Canadese
preferito sono tutte lì da vedere ed è anche un gran bel vedere, perché dal
punto di vista visivo, questo film è uno dei più micidiali mai diretti da
Davide Birra.

La profondità di
campo, la pulizia delle immagini che risultano incredibilmente nitide, anche
grazie al lavoro del direttore dalla fotografia di fiducia di Croneberg, ovvero
Peter Suschitzky. Ogni immagine è algida e bellissima, questo film più di tutti
quelli del Canadese, inquadra i personaggi come se fossero su di un vetrino, sotto
la lente di un microscopio, mentre il dottor Cronenberg analizza l’infezione
del virus della violenza su di loro, asciutto, chirurgico, Cronenerghiano al
100%, se questo secondo voi è un regista che si svende ad Hollywood, quasi
quasi li vorrei tutti così.
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