Home » Recensioni » A Serious Man (2009): qui Woody Allen si ferma e cominciano i Coen

A Serious Man (2009): qui Woody Allen si ferma e cominciano i Coen

In ogni filmografia esiste un film, non per forza il più quotato, che però ha dentro quel qualcosa da renderlo speciale, dovessi scegliere di pancia, questo è quel titolo nella filmografia dei fratelli del Minnesota. Bentornati al nuovo capitolo della rubrica… Coen, Storia vera!

Dopo il nero cinismo di Non è un paese per vecchi e il nero cinismo in vesta di satira di Burn After Reading, nessuno sapeva davvero cosa aspettarsi dai fratelli Coen, ma ammettiamolo, nessuno ha mai saputo cosa aspettarsi da quei due, infatti per certi versi ancora oggi “A Serious Man” è uno dei loro oggetti più strambi, proprio per questo io lo trovo senza mezzi termini favoloso, forse potrebbe essere il punto di equilibrio di tutta la loro filmografia, pur contenendo tutti i temi cari al regista a due teste, riesce comunque a risultare quasi totalmente atipico, forse perché questa volta i Coen hanno deciso di affrontare apertamente la loro formazione.

I Coen dalla provincia, tornati a dirigere la provincia da cui sono sbucati (molto meta!)

Prendiamo ad esempio Woody Allen, nella sua comicità, ma anche nella sua satira, il suo essere un ebreo di New York è un elemento chiave, non solo per decifrare molto del suo umorismo, ma anche tante delle sue trovate, per quanto riguarda i fratelli Coen, abbiamo trovato elementi e richiami alla loro religione sparsi lungo tutto la loro filmografia, ma mai in maniera così evidente, se non il rifiuto di giocare il sabato di Walter o oltre cosette di questa portata, al massimo, tutto l’attaccamento al denaro dei personaggi coeniani, ma questo mi sembra più un voler ragionare per stereotipi.

Per la prima volta in “A Serious Man” i fratellini del Minnesota mettono in chiaro da dove arriva uno dei fili rossi che percorre tutta la loro filmografia, tutti quei personaggi che cercando di migliorare la loro condizione, in modo truffaldino e attraverso il denaro e che per questo, vengono puniti dal Caos (e da suo fratello il Caso), sono uomini poco seri, l’esatto opposto di quello che per i Coen diventa un personaggio archetipico, Larry Gopnik.

«Questa è una mozione di sfiducia pronta a partire, contro le premesse infinite di Cassidy»

Ancora una volta i Coen rinunciano a tutti i loro attori feticcio, mettendo su un cast di ebrei al 100%, per una storia che, proprio per non farsi mancare nulla nel riflettere sulla religione, inizia con un prologo recitato in yiddish ispirato ad una vecchia leggenda, talmente riuscito che per la seconda volta in vita mia, mi sono ritrovato a sperare in un horror diretto dai due fratelli.

XIX secolo, un marito ebreo dice a sua moglie di aver invitato a cena il loro shtetl, Reb Groshkover, poiché l’ha aiutato mentre tornava a casa. La moglie afferma che Groshkover è morto e l’uomo che bussa alla loro porta non può che essere un dibbuk, uno spirito maligno e lo dico fuori dai denti, questo riuscitissimo prologo, anche per una certa estetica garantita dalla fotografia del solito, incredibile Roger Deakins, mi è sempre sembrato il miglior omaggio al segmento intitolato “I Wurdalak” dal film di Mario Bava I tre volti della paura, sarebbe carino chiederlo ai Coen, anche solo per la loro criptica risposta.

Se Mario Bava fosse stato ebreo, sarebbe stato Mario Coen, il terzo fratello Coen.

Se pur sbrigativa, non basata su dati empirici e ammettiamolo, tendente al violento, la moglie del prologo reagisce, fa qualcosa per fermare quello che potrebbe o non potrebbe essere il maligno (come il gatto di Schrödinger, citato da Larry Gopnik in una delle sue lezioni), il fatto che con un punteruolo nel cuore, l’uomo se ne vada comunque sulle sue gambe, potrebbe essere (o non essere) una prova, ma quello che conta è che il protagonista, l’uomo serio del titolo, Larry Gopnik, è come il marito del prologo, si affanna a cercare la logica, le prove, i dati, davanti a qualcosa che non può essere gestito con la logica, senza però fare nulla anche solo per provare a fermare il maligno.

Dopo il prologo, la storia si sposta a St. Louis Park nella Minnesota dell’anno 1967, questo ci garantisce l’ottima colonna sonora, oltre che del solito Carter Burwell, anche dei Jefferson Airplane, con la loro celebre Somebody to Love, ma considerando il luogo e l’anno di nascita dei due registi, non servirà consultare un Rabbino per capire che per questa storia, i Coen abbiano pescato, se non dai cassettini della loro memoria, almeno dal loro passato, per affrontare di petto la loro formazione ebraica. Non è chiaro quale sia il personaggio con cui il regista a due teste si identifica, probabilmente nessuno, anche se il figlio che alla fine, i suoi venti dollari e il Walkman riesce a recuperarli, mi sembra il più indicato, anche se la storia ruota attorno a Larry Gopnik, impersonato dal bravissimo Michael Stuhlbarg, mai esploso per davvero, solo perché “Boardwalk Empire” non lo considera mai nessuno purtroppo, ma anche lì offriva una prova incredibile.

Michael Stuhlbarg pensa a perché la sua carriera non sia inspiegabilmente decollata.

Larry Gopnik vive come un uomo retto, l’uomo serio del titolo, professore di fisica quasi di ruolo, devoto marito e credente, lo incontriamo durante la sua visita medica annuale (elemento anticipatore, se volete) ma a sconvolgere tutto è la prova che Hashem gli metterà davanti, novello Giobbe, Larry Gopnik vedrà la sua fede minata da elementi che destabilizzeranno le sue certezze: uno studente straniero, su pressioni del ricco padre, velatamente lo minaccia per fargli cambiare un brutto voto in uno positivo, nello stesso momento cominciano ad arrivare lettere che mettono in dubbio la sua rettitudine all’università presso la quale lavora, ultima, ma di certo non meno importante, sua moglie Judith Gopnik (Sari Lennick) gli chiede un ghet, un documento di divorzio, per poter sposare il vedovo Sy Ableman (Fred Melamed), di cui si è innamorata e per di più, gli chiede di lasciare casa sua in favore del motel Jolly Roger.

Come incassare le brutte notizie con classe.

Il tutto mentre i figli gli portano via soldi dal portafoglio e il fratello Arthur (Richard Kind) tra la sua cisti sebacea e i suoi problemi, tra cui anche quello del gioco, non fanno che aumentare il carico sulle spalle del protagonista. Tutto questo fa di Larry Gopnik uno speciale? No, Larry Gopnik è uno come tanti di noi, con la sua ruotine e le sue certezze, messe a dura prova dalla vita come capita a chiunque, il nostro però cerca risposte nella religione, il che è un paradosso essendo lui un fisico, che applica lo stesso metodo empirico a tutto, anche alla suo essere un ebreo serio e fedele ai precetti, anche se sotto assedio da tutti i lati.

Dalla moglie, dalle lettere minatorie, dagli studenti, dalla famiglia, Larry Gopnik non riesce ad arginare la valanga o per lo meno, quella che per lui sembra essere una valanga venuta a spazzare via le sue certezze, che in realtà sono il recinto che si è auto costruito per vivere sereno e tranquillo una vita che ambisce ad essere modesta, niente di più. Significativo il fatto che in tre occasioni durante il corso del film, i fratelli Coen mostrino il loro protagonista sdraiato, a pancia in su rispetto alla vita, succede quando si risveglia di colpo dagli incubi (quello sul fratello al confine con il Canada è esilarante nel suo umorismo nerissimo), ma anche quando il nostro sbraga, in cerca di una tregua, sul divano della bella vicina di casa, la signora Samsky (Amy Landecker) che per lui è una notevole tentazione, sbirciata non a caso dal tetto della sua viletta, in una delle poche occasioni in cui Larry Gopnik, non a caso in piedi, fa un passetto oltre il limite del concesso.

«Sto facendo pensieri e azioni che farebbero preoccupare il mio rabbino»

In “A Serious Man” troviamo molti riferimenti più o meno diretti anche agli altri film dei Coen, quando si parla di avvocati, viene citata nuovamente la Tuckman Marsh già sentita in Burn After Reading, ma in uno dei complicanti e angosciosi (perché dettati dal senso di colpo) incubi del protagonista, il nostro sta spiegando alla lavagna il principio di indeterminazione tanto caro ai Coen, eppure per certi versi “A Serious Man” resta il film in cui il regista a due teste ha saputo spingersi là dove nemmeno Woody Allen nei suoi film, aveva osato arrivare.

«Tutto chiaro no?»

I tentativi del protagonista di avere udienza dal rabbino capo, sono una via crucis in tre parti, il giovane rabbino Scott (Simon Helberg, reso celebre da “The Big Bang Theory”) gli parla solo di una generica metafora sul parcheggio, impacciata ok, ma che se ascoltata, avrebbe almeno fornito una direzione al protagonista, che però in cerca di prove certe, come il marito del prologo, non riesce a farsi bastare nemmeno il consulto del secondo rabbino, con la scena da body-horror comico dei “Denti del non ebreo” che personalmente, mi fa ribaltare dal ridere ogni volta, specialmente per la sua conclusione, anche qui, carica di umorismo nerissimo.

Il post è così lungo che prevede la pausa tè incorporata.

Cosa mi piace di “A Serious Man”? Tutto, dal tono comico a quello apocalittico, dal modo satirico in cui i Coen parlano della loro religione e della provincia che li ha sfornati, con un acume unico, in una trama scritta molto bene, in cui ogni elemento, anche quello meno importante (tipo l’iscrizione alla Columbia Record Club) trova il suo posto, una serie di tasselli che sembrano avere un loro ordine, senza averlo mai per davvero.

Nel loro continuo strizzare l’occhio alla cultura beat (qui rappresentata dalla scelta del pezzo più famoso dei Jefferson Airplane) i Coen sembrano dare almeno un sollievo ad un solo personaggio nella storia, il ragazzino, in odore d’erba e potenziale futuro Drugo, Danny (Aaron Wolff) come suo padre, vede tutto il suo mondo messo in seria difficoltà, ma senza ancora tutti i precetti e il senso di colpa che la religione si porta dietro, affronta il suo Bar Mitzvah, il suo passaggio nell’età adulta, leggendo la Torah tudofatto e riuscendo dove il padre per tutta la durata del film fallisce, ovvero farsi dare udienza dal rabbino capo, che ironicamente sembra dare più importanza alle parole degli Airplane che a quelle delle Sacre Scritture.

Futuri Drughi crescono.

Sono convinto che non esista una rappresentazione cinematografica del grande Caos chiamato vita, più lucida e brillante di “A Serious Man”, anzi esiste e si chiama Il senso della vita, anche se l’approccio è differente, il carico di satira resta lo stesso, inutile che ti affanni, non uscirai mai vivo dalla tua vita e quando il gran casino della vita moderna viene a bussare alla mia di porta, è a Larry Gopnik che penso, l’uomo che cerca un perché a tutti i costi, là dove una spiegazione (religiosa o scientifica) non esiste e proprio per questo, come il cavaliere in fuga del celebre pezzo, non fa altro che aprire la porta al male, nel suo non agire idealmente, si ritrova proprio nel luogo dove voleva scappare, in un’ideale Samarcanda.

Don’t you want somebody to love? Seee, ma prima dovrei sopravvivere.

I Coen sembrano dirci che non esiste il libretto d’istruzioni per la vita, chi sostiene di averlo, guarda parcheggi vuoti o pensa agli Airplane come i rabbini del film, anche il finale, bellissimo, apocalittico, potrebbe la FINE, quella vera, quella che spazza via tutto, oppure essere come gli eventi altrettanto apocalittici che mandano in crisi Larry Gopnik all’inizio del film, quel finale è l’equivalente coeniano della teoria del gatto di Schrödinger, un paradosso, perché la vita questo è, paradossale.

Pur incassando meno dei due lavori dei Coen precedenti, “A Serious Man” a distanza di anni è ancora l’oggetto strambo di una filmografia che comunque, non ha mai lesinato sulla stranezza e la satira, io ne ho un piccolo culto lo ammetto, anche se nessuno muore male ucciso selvaggiamente, è un titolo che per spiegare la satira e l’umorismo nero dei Coen è perfetto, se poi anche voi apprezzate Woody Allen vi troverete in territori familiari, solo molto più cinici. Settimana prossima invece, dopo aver affrontare il titolo meno famoso ma che comunque brilla nella filmografia di cui fa parte, ci giocheremo un altro peso massimo, non mancate!

5 2 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
10 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

Until dawn (2025): un altro “Ricomincio da capo” in salsa horror

La prima notizia è che per scacciare un film tratto da un videogioco come Minecraft, dalla vetta dei film più visti, abbiamo avuto bisogno di un altro film tratto da [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing