Home » Recensioni » Akira (1988): cronache del dopobomba (anno 30AK)

Akira (1988): cronache del dopobomba (anno 30AK)

16 luglio 1988. Un’esplosione di infinita potenza distrugge Tokyo e cambia il mondo per sempre. Questo non è solo quello che accade nel primo minuto di “Akira”, a ben guardare, è quello che è successo davvero.

Non siamo ancora nel 2019 in cui la storia è ambientata e, purtroppo, non possiamo sfrecciare sulle strade della risorta New Tokyo con la (fighissima!) moto di Kaneda, però sono passati 30 anni dalla sua uscita nelle sale giapponesi e “Akira” ha davvero colpito con tutta la sua potenza e cambiato il mondo per sempre. Quindi, mi sembra doveroso fare gli auguri di compleanno ad un Classido del cinema, non solo d’animazione.

Non sono mai stato un grande lettore di Manga, eppure conservo tutti i volumi di “Akira” di Katsuhiro Otomo, nella mia collezione di fumetti, potrei elencarvi molte ragioni per cui lo considero un gran fumetto, ma la prima che mi viene sempre in mente quando penso ad “Akira” è la sua unicità rispetto a tutti gli altri Manga che solitamente infondono infinita cura nel disegnare i personaggi, dedicando in genere meno tempo agli sfondi, molte volte sostituiti completamente dalla linee cinetiche perfette per dare movimento ai disegni statici su carta. “Akira” no, ogni tavola disegnata da Katsuhiro Otomo è strapiena di dettagli, che siano quelli tecnologici dei mezzi futuristici, o i palazzi e i vicoli di New Tokyo, un grado di ossessione per il dettaglio che trovo ammirevole e che non concede nulla alla semplificazione nemmeno quando quegli stessi palazzi iniziano ad andare clamorosamente in pezzi, cosa che in “Akira” succede in modo apocalittico e glorioso.

Il 29 di agosto del 1997 16 di luglio del 1988 sembrerà molto reale anche a te! (Cit.)

Pubblicato per la prima volta nel 1982 sulle pagine della rivista giapponese Young Magazine, “Akira” era ancora in corso di pubblicazione nel 1988 quando venne messo in produzione il film, scritto e diretto dallo stesso Otomo. Il che rende ancora più clamoroso tutto quel meticoloso dedicarsi ai dettagli, perché nel frattempo Otomo era pure impegnato a dirigere il film, questo spiega perché fumetto e pellicola differiscono per sviluppo e in parte anche nel finale, alcuni temi importanti come la religione, nel film sono solo accennati ed altri, invece, completamente assenti, come il rapporto tra Giappone e Stati Uniti che sembra una grossa metafora di quello tra Tetsuo e Kaneda.

Ritrovarsi a lavorare su due fronti in contemporanea, potrebbe essere il modo migliore per fare male due lavori, invece Otomo con una mano sforna un capolavoro a fumetti e con l’altra dirige un film straordinario che dopo 30 anni dalla sua uscita non è solo e giustamente ancora considerato titolo di culto, ma un’opera straordinaria che ha davvero rivoluzionato il mondo del cinema con le sue innovazioni, una pietra miliare, né più e né meno.

Una rivoluzione tecnologica che per essere realizzata ha richiesto la fondazione di un collettivo di artisti battezzato Akira Committee, una legione di samurai composta dalle dieci maggiori compagnie di produzione cinematografiche giapponesi, dalla Bandai alla Toho giusto per fare due nomi. Tutti quanti armati della bellezza di un miliardo di Yen di budget e di 1.300 animatori provenienti da tutti gli studi disponibili sull’isoletta preferita di Godzilla. Per ribadire il mio concetto iniziale: Otomo ci tiene così tanto ai suoi sfondi dettagliati, che cinque studi di animazione furono dedicati esclusivamente alla creazione dei fondali ed uno all’animazione in computer grafica introdotta nei film d’animazione giapponesi proprio con “Akira”… insomma, per dirla alla John Hammond: non hanno badato a spese.

Per portare al cinema tutte quelle linee cinetiche, ci vuole un bel budget.

Il risultato è micidiale, come dovrebbe sempre accadere nella fantascienza, in 125 minuti “Akira” crea un mondo dettagliatissimo, con le sue regole e i suoi tumulti in corso che non si limita a fare da semplice sfondo per le vicende dei protagonisti, ma ne influenza anche l’andamento. Pensateci un attimo: cosa sappiamo della Los Angeles del 2019 di Blade Runner per davvero? Solo quello che serve alla storia di Deckard e dei replicanti, mentre la New Tokyo dello stesso anno di “Akira”, è un luogo che ancora cerca di riprendersi dalla devastazione di 31 anni prima, in cui tutti, sono alla ricerca del potere.

“Akira” è un’enorme riflessione sul potere, anzi una riflessione sul potere profondamente Giapponese, perché l’unico Paese al mondo che ha capito sulla sua pelle non una, ma due volte (Hiroshima e Nagasaki) che l’uomo trova sempre il modo di trasformare in distruzione i progressi tecnologici della scienza, è proprio il Giappone.

In “Akira” tutti i personaggi sono alla ricerca del potere, lo vuole il governo capace di sedare le rivolte anche con la violenza (Akira non tira mai via la mano sulla violenza, pensate al povero cristo crivellato dalla polizia all’inizio) e lo vogliono i ribelli pronti a tutto pur di cambiare le cose. A New Tokyo tutti vorrebbero il potere, chi sta nei palazzi come il colonnello Shikishima che mal sopporta i burocrati al punto da guidare il colpo di stato, giù fino alle strade, persino le bande di motociclisti in stile “I guerrieri della notte” (1979) sono in lotta tra loro per primeggiare. Ecco perché il film inizia proprio con un inseguimento e uno scontro in modo contro i Clowns, che stanno a questo film come le “Baseball Furies” stavano al capolavoro di Walter Hill.

«Kanedaaaaa giochiamo a fare la guerra» (quasi-cit.)

Anche all’interno della banda motorizzata lo scontro per il potere è il filo rosso che muove i personaggi ed è riassunto splendidamente nel rapporto tra Tetsuo e Kaneda che come Red e Toby sono nemici amici e se pensate di avere delle difficoltà con tutti questi nomi giapponesi, state sereni perché Akira viene sparato a caratteri cubitali dritto in locandina, ma, in compenso, nel corso del film sentirete pronunciare i nomi “Tetsuo” e “Kaneda” un numero impressionante di volte, su questo argomento, lasciatemi l’icona aperta che ripasso.

“Akira” riesce ad essere una bella storia di amicizia, efficacissima nel suo essere sviluppata con davvero poco («Fanno sempre così, con i nuovi arrivati»), Tetsuo è quello sfigato della cucciolata, quello costantemente bisognoso di aiuto in tutto, per sfrecciare in moto oggi, come per non farsi pestare dai bulli a scuola ieri. Kaneda, invece, è il figo del gruppo, anzi a ben guardarlo Kaneda è proprio una storia a sé all’interno del film.

Tetsuo combinando l’ennesimo casino della sua vita (si schianta con la moto per evitare di colpire quello strano ragazzino con il numero 26 sul palmo della mano e la faccia da vecchio) entra nella storia mettendo in, ehm, moto, gli eventi. Mentre Kaneda se ne frega di tutto e tutti, uno che prende tutto sul ridere perché per lui tutto è uno scherzo, visto che gli viene davvero tutto facilissimo, anche guidare una “Moto da geni” che nessuno riesce nemmeno a mettere in moto (non faccio più moto, in effetti vado solo in moto), il talento naturale, ma anche l’eroe nel senso classico del termine e non è un caso se proprio lui guida la motocicletta che è diventata il simbolo stesso di Akira (fate ciao ciao con la manina a Ready Player One) oggetto del desiderio di tutti, anche di noi che facciamo parte del pubblico.

Da uno a dieci, quanto ne avreste sempre voluta avere una identica?

Quello che entra nella storia soltanto perché vuole fare colpo sulla ragazza carina e decide di seguirla (se ci pensate Jack Burton faceva quasi lo stesso con Gracie Law), salvo poi scoprire che Kei è una ribelle e finire dentro una storia più grande di lui, per aiutare il suo amico Tetsuo che dopo una vita intera ad essere sempre salvato da Kaneda, pensate che sia solo ingrato nei confronti del suo amico, oppure abbia dentro di sé anche un po’ di rancore? Dettaglio che Tetsuo, all’apice del suo delirio di onnipotenza fa notare subito a Kaneda dicendogli «Ora i ruoli si sono capovolti, sono io il re».

Altra faccia della medaglia: cosa succede quando vedi il tuo amico d’infanzia, quello eternamente sfigato diventare un Dio in Terra capace di devastare la città? Quello che trovo fantastico della reazione di Kaneda è la sua rabbia che non è dettata dall’invidia, ma è chiaro che quando il ragazzo prende moto e quel fighissimo bazooka laser con zaino a batteria e si getta a testa bassa contro un avversario che chiaramente non può nemmeno sperare di scalfire (infatti gli stacca un braccio, ma per puro e semplice colpo di culo, come dicono i Giapponesi), lo fa con l’aria di chi sta correndo ancora una volta al salvataggio del proprio amico, in quel suo ringhiare pare di poter leggere un: “Tetsuo che cazzo hai fatto ancora questa volta?”…  Mi rendo conto che sto dicendo “Tetsuo” e “Kaneda” tante volte quanto fanno nel film!

«Basta hai capito devi smetterla di chiamarmi, mi fischiano le orecchie!»

Katsuhiro Otomo è bravissimo a sottolineare come, per lui, il potere dovrebbe essere gestito solo da quelli con intenti nobili, i puri di cuore che qui sono rappresentati dai bambini, gli adulti che siano loro rappresentanti del governo o dell’esercito, potranno solo far danni, mentre i bambini sono quelli che useranno il potere per non fare del male.

Bambini saggi (con volti da anziani) sono il trio di esperimenti che coinvolgono Tetsuo, ma guidano anche Kei verso la risoluzione del mistero, a ben guardare, lo stesso micidiale, strapotente e costantemente invocato (anche come un Dio) Akira è a sua volta un bambino. Il casino comincia quando il potere finisce nelle mani di uno che sta a metà strada tra l’infanzia e la maturità, un adolescente come Tetsuo che in corpo ha parti uguali di pillole e rancore, proprio per questo diventerà una bomba ad orologeria pronta a distruggere New Tokyo e il mondo ancora una volta.

Eleven? Tzè, dilettante, guarda e impara!

Fateci caso, quando Tetsuo capisce di essersi spinto troppo in là (ed in questo l’ascendente che Kaori ha su di lui è fondamentale) il suo corpo biomeccanico, folle incontro tra uomo e macchina si trasforma in un grottesco neonato gigante che invoca ancora l’amico Kaneda in cerca di salvezza, in un tripudio di Tetsuooooooooo! Kanedaaaaaaaa!! Tetsuooooooooo! Kanedaaaaaaaa! Oh, visto che siamo in argomento chiudiamo questa icona.

Ho tenuto il conto, nel corso del film Kaneda chiama Tetsuo sei volte (sei Tetsuo contro un solo Kaneda), invece nella scena finale, diventa uno scontro quasi tennistico, in cui il numero di Tetsuo (ben 9!) batte quello dei Kaneda (un più che dignitoso 6 che non basta per vincere). Se ve lo state chiedendo lo ribadisco: sì, ho contato il numero di “Tetsuo” e “Kaneda” nel film e sì, sono pazzo.

Eppure, per essere uno che arrivava dal fumetto, Katsuhiro Otomo dimostra di saper maneggiare il cinema davvero alla grande, integrando alla perfezione in una storia che già funzionava magnificamente sulla carta, gli elementi che al fumetto mancano, ma che al cinema sono colonne portati, ad esempio la musica. Quella di “Akira” sembra uscita direttamente dal fumetto, scritta e diretta da Shoji Yamashiro ed eseguita dal collettivo musicale Geinoh Yamashirogumi, riesce ad essere epica ed apocalittica in parti uguali, un tripudio di cori quasi religiosi che sembrano annunciare la fine del mondo, roba che pensi viene da pensare che un minuto dopo i titoli di coda, tra le rovine di New Tokyo potrebbe passeggiarci giusto Ken Shiro!

Occhio a dove punto quell’affare, mi riduci il blog una groviera!

L’altro elemento che sta alla base del cinema, ma nei fumetti è assente è la luce ed Otomo qui si diverte ad usare la fotografia in modo espressivo, dall’aurea di potere dei personaggi fino alle scie di luce lasciate dai fari delle moto nella notte, tutta roba che urla fortissimo “CINEMA” e non per forza soltanto d’animazione, perché “Akira” riesce ad essere in parti uguali Cyberpunk e Body Horror, sarà per l’uso della telepatia e dei poteri ESP, sarà per lo scontro tra “fratelli”, ma ogni volta che guardo “Akira” mi viene in mente Scanners di David Cronenberg e viceversa.

Fiiuu fiuuu. Ok la smetto di fare i rumori con la bocca.

A ben guardare, gli elementi Cronenberghiani non mancano, l’incubo nella camera di Tetsuo («Sangueeee, ho paura») e la commissione bio meccanica, la sua trasformazione nel finale sembra quasi una fusione, come tra Brundle e la mosca, solo che avviene tra un uomo, l’acciaio e i detriti di una città distrutta. Se a questo aggiungiamo anche un quantitativo di sangue e violenza (i soldati sbudellati e spappolati nei corridoi e nelle fogne), verrebbe da pensare che potrebbe essere il film preferito di Takashi Miike, per l’uso espressivo che fa di sangue e budella. Ma a dirla tutta, vuoi perché condividono il Paese di origine, il nome del protagonista e per poco anche l’anno di uscita (il 1989) la graduale trasformazione uomo-macchina ricorda anche un po’ il “Tetsuo” di Shinya Tsukamoto, film che nella mia testa io pronuncio sempre nello stesso modo ovvero: Tetsuoooooooooooooo! Vi ho già detto che sono pazzo, vero?

“Tanto bene non stai Cass, e se te lo dico io puoi crederci”.

Ogni tanto, viene fuori qualcuno con la balzana idea di trasformare “Akira” in un film con attori in carne ed ossa, di solito sono gli Americani che non sono ancora riusciti a farsi bastare “Chronicle” (2012) di Josh Trank che con il suo finale è un “Akira” che ha speso i pochi soldi del budget in una manciata di effetti speciali e non per trovare un avvocato per difendersi dall’accusa di plagio da parte di Otomo, che da gran signore avrà preferito pensare ad un omaggio al suo film.

Un “American Akira” non avrebbe senso di esistere, questa storia si nutre della paura e del timore reverenziale verso il potere nucleare che solo il Giappone può rendere credibile perché è parte della storia di questo Paese, inoltre togliere l’animazione a questa storia richiederebbe uno sforzo immane in termini di effetti speciali per rendere credibili le grottesche mutazioni del corpo di Tetsuo. L’animazione pensateci, uniforma tutto, mettendo tutto su uno stesso piano ed evitando la possibilità che il cervello dello spettatore percepisca qualcosa di particolare come “finto”.

Inoltre, pensate davvero che qualche grossa casa di produzione americana, avrebbe le palle di spendere gazzilioni di Petrol-Dollari per portare in scena una mutazione che sarebbe degna di un Body Horror indipendente? Nel migliore dei casi sarebbero giusto un paio di bubboni in CGI e via così, altrimenti non passiamo il visto censura.

Da qualche parte in Canada, David Cronenberg annuisce soddisfatto.

Il passaggio agli attori in carne ed ossa renderebbe ridicolo una banda di quindicenni che tengono in scacco il mondo, ma mettendo che so, Leonardo Di Caprio (nome che viene sempre fuori quando si parla di un film su Akira) come protagonista, fate pure ciao ciao con la mano a tutto il discorso sulla gioventù e del “Non fidatevi dei trentenni” che è alla base di “Akira”.

Insomma, l’unico trentenne di cui vi dovete fidare è questo capolavoro che ha messo uno accanto all’altro tre decenni di onorato servizio, ma resta ancora oggi un clamoroso, un vero film di culto che ha cambiato il mondo per sempre, lasciatemi citare in parti uguali Philip K. Dick e Bonvi, quando vi dico che queste sono le cronache del dopo bomba ed oggi viviamo tutti nell’anno 30 AK. After Akira.

5 1 voto
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

Mirtillo – Numerus IX (2025): Pampepato Fantasy

Non me ne vogliano i senesi o i ferraresi, ma per quanto mi riguarda, esiste una sola ricetta di Pampepato, quello giusto, quello ternano. Il Pampepato è un dolce della [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing