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Alien (1979): nello spazio nessuno può sentirti urlare «É un capolavoro!»

Mi piace pensare che la qualità di un film si misuri anche sulla base dell’iconografia generata dalla pellicola stessa, solo sulla base di questo, “Alien” di Ridley Scott è un gioiello che dopo quasi quarant’anni ancora incolla lo spettatore allo schermo, ha infettato la cultura popolare generando una lunga serie di sequel, spin-off, fumetti, potremmo farci ibernare oggi e svegliandoci spiazzati tra ottant’anni, l’unica costante sarà che “Alien” è (e sarà sempre) un film gigantesco.

Quale occasione migliore del trentennale del seguito “Aliens” per fare una bella rubrica aliena su questa saga, iniziata proprio con questo film, che prima di essere una capolavoro del cinema è essenzialmente uno di quei film che fanno paura, uno di quelli che fanno DAVVERO paura, d’altra parte lo dice anche la (spettacolare) tag-line, forse la migliore della storia: «Nello spazio nessuno può sentirti urlare»

Mentre voi vi sgolate invano, io con malcelata gioia, aggiungo finalmente questo capolavoro alla mia piccola collezione, issando il cartello stradale dei Classidy!

Fate un salto sul blog IPMP curato dal grande Lucius, trovate alcuni articoli di giornale risalenti all’epoca dell’uscita italiana di ALIEN!

Non vorrei finire per fare quello che si lamenta sempre che una volta le cose erano meglio, le estati erano più calde e le persone più gentili, ma è chiaro che viviamo tempi velocissimi in cui anche i film vengono scritti, girati e mandati in sala alla velocità della luce, alcuni funzionano altri sono prodotti usa e getta che vengono dimenticati già ai titoli di coda. Se ancora oggi siamo qui a celebrare “Alien” è anche grazie al lunghissimo lavoro di pre-produzione iniziato ben prima dell’arrivo di Ridley Scott, no, prima di arrivare al vecchio Ridley, dobbiamo passare da un altro bel matto: Alejandro Jodorowsky.

«Bienvenido amigos, vi stavo aspettando»

Scrittore di libri e fumetti, regista, attore, saggista, poeta, studioso di Tarocchi e, più in generale, adorabile pazzo furioso, autore di film fantastici come “El topo” (1970) e “La montagna sacra” (1975), due titoli che da soli meriterebbero dei gran discorsi, ma per parlare di “Alien” il progetto di Jodorowsky che ci interessa è il suo film mai realizzato su “Dune”.

Per portare sul grande schermo il romanzone di Frank Herbert, Jodorowsky si mette alla ricerca di quelli che lui chiama i suoi “Guerrieri Spirituali”, una serie di artisti, non i migliori in circolazione, ma i più adatti a portare sullo schermo quello che per quel pazzoide di Alejandro non sarà un film, ma un “Profeta” su pellicola. Una sera in un cinemino di New York, Jodorowsky si ritrova a vedere Dark Star diretto da John Carpenter e scritto dal grande John insieme all’amicone Dan O’Bannon, tenete a mente questi due nomi, che più avanti nella storia torneranno molto buoni.

Dan e il suo amicone John Carpenter… senza baffi!

Jodorowsky contatta uno dei disegnatori di fumetti più talentuosi del mondo, uno con cui ha avuto modo di collaborare molte volte per i suoi fumetti, il grande Jean Giraud, più noto al mondo come Moebius, se sentiste l’impulso di alzarvi ed applaudire siete liberi di farlo.

Assegnata la realizzazione degli Storyboard, Jodorowsky parte per la Svizzera con l’obbiettivo di convincere il grande scultore e designer Hans Ruedi Giger ad occuparsi delle scenografia del suo film, il Cileno naturalizzato e lo Svizzero dark, avrei voluto essere una mosca per vederli quei due insieme nella stessa stanza.

Se queste sono le uova, provate ad immaginare la frittata.

Il progetto di Jodorowsky naufraga per svariate ragioni, “Dune” arriverà al cinema solo nel 1984 diretto da David Lynch, ma questa… E’ un’altra storia. Voi fate una cosa: ascoltate un cretino (presente!) e correte a recuperarvi il bellissimo documentario Jodorowsky’s Dune, se siete appassionati di fantascienza sono 88 minuti di puro godimento, il “making-of” di quello che avrebbe potuto essere un capolavoro e invece, purtroppo… Ciccia!

A questo punto della storia ci tocca salutare il buon Jodorowsky (ciao Alejandro grazie di tutto!), ma Dan O’Bannon torna prepotentemente di moda, perché dopo aver lavorato insieme a John Carpenter a Dark Star, Dan non è ancora del tutto soddisfatto, vorrebbe nuovamente sfruttare l’idea di un gruppo di astronauti impegnati in un lunghissimo viaggio spaziale, alle prese con un alieno a bordo della loro nave, ma questa volta lasciando da parte il tono satirico del filmone del Maestro Carpenter, virando la storia su atmosfere decisamente più horror.

«Più Horror dici? ancora di più? Sapevo che era una fregatura questo viaggio»

Dan O’Bannon contatta lo sceneggiatore Ronald Shusett insieme buttano già la prima stesura del film (pesantemente sforbiciata poi da Scott per motivi di budget), titolo provvisorio “Star Beast” convertito poi nel più diretto “Alien” per non rischiare confusione con un altro celebre film uscito da poco intitolato anche lui Star qualcosa… Star, Star, non mi viene, comunque è abbastanza famoso.

Dan gli alieni vanno bene ma i Visitors no? Non ti piaceva il telefilm?

La bozza inizia a girare nelle mani che contano e per effetto del lavoro di Jodorowsky, i “Guerrieri Spirituali” ormai hanno uno il numero di telefono dell’altro, quindi a bordo del progetto arrivano anche Moebius e soprattutto HR Giger responsabile di tutto il look del film, del design dello Xenomorfo (insieme a Carlo Rambaldi, responsabile della meccanica della creatura) e di svariati incubi freudiani inflitti ad almeno tre generazioni di spettatori, tenete l’icona aperta che su questo punto ci torniamo.

Vogliamo ricordarli così questi “camionisti spaziali”, sani interi e non fecondati.

Il problema è un po’ sempre lo stesso: nessuno vuole produrre il film, nessuno tranne Roger Corman (vecchio volpone, aveva già capito tutto lui!), voi direte: “Vabbè dai, solito finale: trovano il regista che tira e con lui i soldi…”. Naa-naa, a questo punto la trama si complica, perché entra in scena un altro nome enorme della storia del cinema: Walter Hill

Tu! Tu lì dietro con il frangettone! Perché non ti sei alzato in piedi quando ho detto Walter Hill! Fuori! Ho detto fuori! PUSH!

Cassidy preme un pulsante e il frangettone viene sparato fuori nello spazio profondo…

Ok, per tutti gli altri do per scontato che abbiamo il giusto livello di stima per un leggenda del cinema come Hill, ecco, voi forse sì, O’Bannon, invece, con Walter Hill andava d’accordo il giusto. Hill e la sua casa di produzione vicina alla 20th Century Fox pretendono continui cambiamenti sulla sceneggiatura, dai nomi dei personaggi (storia vera), fino alle dinamiche di gruppo, O’Bannon da parte sua è convinto che sì sì, ‘sto Hill ha fatto dei film con Charles Bronson e qualche Guerriero della notte, ma cosa ne sa di fantascienza? A me vuol venire a spiegare come si scrive una storia sci-fi? Insomma: non proprio pesche e crema tra i due.

Nella tuta spaziale una piccola comparsata di “Confused Travolta”.

O’Bannon minaccia di mollare, poi torna quando gli paventano la minaccia di togliere il suo nome dai credits del film, intanto Walter Hill viene fuori con l’idea dell’androide Ash, completamente assente dalla sceneggiatura di O’Bannon, in qualche modo il personaggio piace, la sceneggiatura viene completata ed ora sì: abbiamo bisogno di un regista.

Chi può dirigere tutto questo popò di roba? Il dilemma lo risolve Walter Hill, proponendo uno che arrivava da tanta pubblicità, un corto e un film di esordio (il bellissimo “I duellanti”, 1977), un Inglese di nome Ridley Scott. Potreste averne sentito parlare come uno che due cosine decenti al cinema le ha anche fatte.

«Eh bravo il nostro Ridley, cosa ci hai preparato per cena?» , «Ridi ridi, ora vedi come ti cucino»

Scott e O’Bannon si annusano, si piacciono, la sceneggiatura viene venduta alla 20th Century Fox, descrivendola in due parole come: Lo Squalo ambientato nello spazio. Come noterete, sono privo di capacità di sintesi, quindi ammiro sempre chi sa riassumere così bene qualcosa.

Uno che, invece, si è dimostrato capace di sintetizzare è stato sicuramente il neo assunto Ridley Scott, che dello script originale di O’Bannon ha tagliato via intere porzioni, tutta la parte della piramide gigantesca viene eliminata per motivi di tempo e budget, per fortuna i due si sono trovati in accordo su altre cose come, ad esempio, i film da cui tratte ispirazione per “Alien”, o per citare le parole di O’Bannon: «Non rubai Alien a nessuno in particolare. Lo rubai un po’ da tutti!».

Il mitico space jockey, omaggio di O’Bannon al nostro Mario Bava.

L’idea dei lavoratori messi alla strette da un alieno deve qualcosa a “Pianeta proibito” (1956), mentre l’atterraggio su un pianeta sconosciuto e un alieno sterminatore portato a bordo deve moltissimo a “Terrore nello spazio” di Mario Bava, somiglianza quasi palese anche nel design del pilota alieno fossile (soprannominato dalla troupe “The big croissant” o “Space jockey”), anche se Scott ha sempre dichiarato di non aver mai visto quel film, almeno non prima del 1979, di sicuro, però, conosceva gli Who, ai quali ha rubato la macchina per il fumo utilizzata per dare un aspetto spettrale al pianeta alieno, il gruppo di Zio Pete Townshend era al lavoro nello stage accanto a quello dove si girava “Alien” (storia vera!), chissà in cambio gli Who cosa hanno voluto, magari un paio di uova aliene da piazzare sul palco.

«Possiamo sempre dire che sono le uova di Boris the spider»


Ridley Scott non si lasciò influenzare dalla pressione della major pagante, dimostrando di avere le idee ben chiare anche nella gestione del cast, quando Veronica Cartwright (J.M. Lambert nel film) iniziò a lamentare il fatto che il suo personaggio risultasse un po’ troppo “Piagnucoloso”, Scott la convinse del fatto che lei rappresentava la paura del pubblico e allo stesso modo convinse la leggenda Harry Dean Stanton (qui vi voglio in piedi ad applaudire) a partecipare al film dichiarando che più che un classico Horror (genere non molto amato da Stanton) si trattava di un thriller. Mi piace pensare che Harry Dean Stanton abbia risposto utilizzando la frase del suo personaggio: «Giusto»

«Nello spazio nessuno può sentirti fumare, giusto?»

Scott era talmente sul pezzo che nemmeno al pub smetteva di lavorare, tanto che fu proprio lì che trovo lo studente nigeriano (allora) ventiseienne Bolaji Badejo, un frugolone di 2.18 M di altezza, che Scott convinse ad infilarsi dentro il costume di gomma della creatura per farne da ripieno.

«Ridley mi ha offerto troppe birre per convincermi, non mi reggo più in piedi»

Sigourney Weaver mise tutti d’accordo fin dal primo provino, anche se sul set, dovette subire le battute e le frecciatine di Yaphet Kotto, che su specifica richiesta del diabolico Scott, punzecchiava Sigourney per rendere più realistici i rapporti tesi tra i due… Chissà se Scott ha parlato con i miei colleghi di lavoro di recente?

Il più sfortunato di tutti fu Jon Finch, già sul set del film si beccò la polmonite e venne sostituito in corsa da John Hurt. Giovanni Ferito proprio grazie a questo film ha avuto modo di entrare dritto sparato nella storia del cinema grazie ad una scena in particolare, dove viene ferito sul serio e anche piuttosto malamente!

Alien, convinciamo tutti a saltare il pranzo dal 1979.

L’idea di un orrore oscuro arrivato dallo spazio profondo urla fortissimo LOVECRAFT con tutte le lettere maiuscole, l’altro grande film che fa il bello e il cattivo tempo in questo campo da gioco è sicuramente La Cosa di John Carpenter, entrambi sono basati sulla paranoia e l’attesa, entrambi minano le certezze degli spettatori grazie ad un lavoro subliminali ai fianchi, un logorio ottenuto anche dal sotto testo sessuale delle due opere, ne “La Cosa” un gruppo di uomini vengono aggrediti da un essere molto simile ad una malattia, che fa scempio dei loro corpicini imitandoli e trasformandoli, braccia mozzate, toraci trasformate in vagine dentate, il tutto senza mai un elemento femminile consolatorio, che in “Alien”, invece, è rappresentato da una molto guardabile Sigourney Weaver, che nel finale sconfigge l’alienaccio brutto e sessualmente ambiguo con ben pochi vestiti addosso… La Weaver non l’alieno, almeno questo ce lo hanno risparmiato!

Adesso sappiamo dove Doc ha preso i pezzi di ricambio per la Delorean.

In “Alien” c’è una continua confusione e rimescolamento dei sessi, il casting è stato scelto senza pensare Kane = Maschio, Ripley = Femmina, ma scegliendo gli attori più adatti indipendentemente dal sesso, un po’ come se fossero tutti “Unisex”, tanto che il finale del film, ragazza uccide mostro cattivo, è stato modificato in corsa, anche alla luce del successo di un piccolo Horror autunnale uscito poco tempo prima intitolato Halloween, potreste averne sentito parlare.

L’unica richiesta specifica è che il primo personaggio aggredito e inseminato dall’alieno fosse un uomo, proprio per infilare nella testa degli spettatori (maschi) l’idea di uno stupro maschile, ma a confondere per sempre le platee, regalando all’associazione degli psicologi mondiale vagonate di lavoro, ci ha pensato HR Giger.

Who’s your daddy?

Il design dei Facehugger è disturbante, impossibile non notare il fatto che somiglino a vagine dentante con zampe da ragno, addette all’inseminazione delle vittime, se per caso incontraste uno di questi simpaticoni con il sangue acido (idea di O’Bannon per rendere inutile le armi dell’equipaggio della Nostromo), il vostro corpicino diventerà l’incubatrice per un tenero creaturino dalla testa palesemente fallica, che vedrà la luce nel modo più doloroso e sanguinario (per voi) possibile, facendosi strada dal torace… Il guaio è che siete ancora vivi quando iniziano mangiarvi, ah no scusate quello era un altro film!

Il design di Giger e gli effetti tecnici di Carlo Rambaldi creano una serie di creature disturbanti, per via della loro confusione sessuale e delle loro forme davvero aliene all’occhio, la produzione voleva che l’alieno avesse gli occhi, Giger perentorio si rifiutò perché voleva che lo spettatore non potesse contare su punti di riferimenti conosciuti, gli psicologi del mondo ancora esultano.

Sigmund Freud: Analyse this!

Tutto questo risultato viene ottenuto grazie ad effetti speciali più veraci possibili, veraci nel senso di vongole! Il Facehugger morto analizzato da Ash è stato riempito di molluschi morti, le uova aliene sono state riempite di organi animali recuperati dal macellaio, il risultato è magnificamente disturbante, anche dopo quasi quarant’anni bisogna impegnarsi per ricordare a se stessi che sono “solo” effetti speciali.

«Vorrei un bel piatto di spaghetti con le vong… Un insalata, prendo un insalata»

L’apice di tutto questo è la scena del pranzo che vede protagonista John Hurt, un capolavoro che ancora oggi può vantarsi di essere una delle più spaventose e torcibudella nella storia del cinema, ovviamente fin da bambino è sempre stata una delle mie preferite… Sì, sono sempre stato un tipo strano.

L’efficacia della scena finale è stata ottenuta da Scott tenendo allo scuro tutto il cast del design della creatura e lanciando addosso agli attori ettolitri di sangue finto, l’urlo di terrore di Veronica Cartwright e le espressioni terrorizzate di tutto il cast sono l’autentica prima reazione degli attori, alla vista della creatura, finite direttamente nel montaggio finale del film e nella storia del cinema.

Un traumatico parto maschile (gulp!), che mette in chiaro l’entità della minaccia, una scena che arriva dopo quasi 50 minuti di film e che ottiene un effetto semplice, ma fondamentale: da questo punto in poi Scott e il suo Alieno ci tengono tutti per le palle.

Giovanni Ferito, nel vero senso della parola.

Da qui in poi “Alien” diventa un horror puro, un cast chiuso in un sola location da cui non si può fuggire, in balia di un assassino silenzioso e inarrestabile (“Ammiro la sua purezza. Un superstite, non offuscato da coscienza, rimorsi o illusioni di moralità” vi mancava che vi citassi qualche dialogo vero?), “Alien” è uno slasher movie girato come il Dio del cinema comanda, in cui le musiche di Jerry Goldsmith sono quasi completamente bandite, almeno fino a quella trionfale del finale.

In “Alien” ogni momento ti tiene sulla corda, il film è un manuale, anzi un capolavoro di utilizzo della suspence al cinema, dopo averci mostrato che razza di disastro grondante sangue un solo alieno appena nato possa fare, Ridley Scott basa tutto il resto del film sul non mostrato, la creatura non si vede, al massimo la si sente arrivare, al pari di Bruce, lo Squalo Spielberghiano, l’alieno compare sullo schermo per quattro minuti, sui 117 totali del film, fatevi pure i vostri conti.

Questo magistrale esercizio di suspence, tiene lo spettatore sulla corda anche dopo la visione numero mille milioni, tu lo sai benissimo cosa succederà ad Harry Dean Stanton impegnato nella ricerca del gatto Jones, eppure ad ogni visione la scena horror sembra spostarsi sempre un pochino più avanti, anche solo di pochi secondi, come essere consapevoli di uno schiaffone che deve arrivare, ma che si fa attendere. Risultato? Nocche bianche e tutti aggrappati ai braccioli della sedia, questo è il motivo per cui “Alien” è un capolavoro, uno di quelli che fa DAVVERO paura.

«Tu sei Harry Dean Stanton, grande! Dammi il cinque!»

Tutta questa tensione da orrore non mostrato, ma comunque palpabile, viene sfruttata alla grande da Scott, la scena del condotto del serbatoio dell’aria è un manuale di come s’incolla lo spettatore al cinema, un tripudio del Bip Bip del segnalatore che si fa sempre più intenso come le urla del resto dell’equipaggio a Dallas (“Sta venendo verso di te!”), funziona talmente bene che fa dimenticare allo spettatore anche una regola base fondamentale, ovvero che viviamo tutti in un mondo a TRE dimensioni, dimenticanza che costa la pelle al povero Dallas.

«Ti voglio bene, abbracciami forte!»

Un altro elemento che contribuisce alla tensione è il personaggio di Ash, ambiguo fin dall’inizio, è al centro del mistero preservato anche dal computer di bordo della nave Mother (la mitica “Non computa!”), il clima di claustrofobica paranoia ci fa pensare per un attimo che anche l’ufficiale scientifico sia una creatura aliena, quando scopriamo che in realtà è un androide (dovevo dire SPOILER? No, dai, è un film del ’79!) forse il colpo di scena, fin dalla visione numero due si perde un po’, ma resta la magnifica prova di Ian Holm: equilibratissimo nei panni di un personaggio davvero difficile da rendere sullo schermo, bisogna recitare la parte di un robot, ma senza darlo a vedere per non destare sospetti (la sua estrema ossessività si nota solo nelle visioni successive), quando si rivela scatenandosi, Holm è una scelta di casting spettacolare, vedere il futuro Bilbo Baggins, dal suo metro e sessanta, stendere facilmente un omone come Yaphet Kotto e prendersela con Sigourney Weaver (1.82 da casello a casello) sullo schermo rende davvero idea della forza fisica del personaggio.

«Pensavate che non fossi invecchiato per merito dell’anello? Illusi»

La struttura da Slasher è rispettata fino alla fine, il finale originale prevedeva la fuga di Ripley (pronunciata REIPLEY in questo film, ma per questa curiosità e molte altre sul doppiaggio, vi rimando all’ottimo articolo di Evit di Doppiaggi Italioti) sulla navicella di salvataggio Narcissus. Ridley Scott, invece, decise di aggiungere l’appendice in cui l’Alieno compare sulla navetta, che in soldoni è in tutto e per tutto identico alla classica struttura Cattivo morto, no non è morto davvero perché torna, che avete visto in TUTTI i film horror della vostra vita.

«É finita vero?» , «Si, un’altra scena, tre sequel e poi è fatta»

Ripley canticchiando “My Lucky Star”, sconfigge il mostrone sessualmente ambiguo, riequilibrando anche la sessualità fortemente minata durante tutto il film, l’eroina non solo è molto guardabile (e ben poco vestita), ma indossa la canottiera come la moda delle Final girls comanda, davvero, non esiste uno Slasher movie più aderente ai canoni del genere di questo film!

Voi vedete di non farvi distrarre dal panorama…

“Alien” è una pietra miliare della storia del cinema, l’enorme lavoro di pre produzione e la qualità di regia, attori e messa in scena, lo pone ancora oggi nell’empireo, lassù tra i massimi capolavori di sempre, ma spogliato di tutto, resta un film viscerale (chiedete a John Hurt!), capace di evocare terrori ancestrali, proprio vero, nello spazio nessuno può sentirti urlare: “E’ un capolavoro!”.

Se volete curiosità, memorabilia, articoli, informazione e valanghe di passione Aliena, tutti i giorni trovate il blog curato da Lucius Etruscus, 30 anni di Aliens (Viaggi nel mondo degli alieni Fox), una cornucopia per appassionati di questa saga!

Sepolto in precedenza venerdì 16 settembre 2016

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