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Alien Nation (1988): sbirri dallo spazio profondo

Viviamo in tempi intolleranti, verso tutto e tutti, siamo talmente intolleranti che lo siamo con ogni cosa, persino con i film! Sì, perché in questa stramba epoca in cui i Social-Cosi dominano (fin troppo) incontrastati, ogni film dev’essere per forza o “Capolavorò!”, oppure “Cagata pazzesca”, estremismo esagerato quando ad esprimerlo sono quelli che s’improvvisano esperti di cinema (e che magari aprono pure un blog a tema e poi lo chiamano con qualche nome scemo), ancora peggio quando nel giochino ci cadono quelli che per scrivere di cinema ricevono pure dei soldini in cambio. I casi recenti sono tanti, quello che interessa a me nella fattispecie è Bright di David Ayer.

Il problema fondamentale è che pare che abbiano tutti la memoria un po’ corta, bisogna commentare i film provocando clamore subito, acchiappare quanti più “Mi piace” possibili e poi fuggire nella notte dimenticandosi che tanti titoli diventano mitici senza essere per forza impeccabili. Anche perché diciamocelo: Bright non è altro che “Alien Nation” con gli Orchi al posto degli alieni dal capoccione maculato!

«Brutti Orchi schifosi che cercano di oscurarci, fuori dal nostro territorio!»

I due film condividono molti tratti della storia e magari anche il destino di essere ricordati un giorno da qualche appassionato, destino che sicuramente centra in mezzo agli occhi “Alien Nation” che negli Stati Uniti usciva trent’anni fa, faceva storcere qualche naso, eppure generava la sua buona dose di iconografia entrando nel cuore e nella memoria di tanti appassionati, tipo il vostro amichevole Cassidy di quartiere.

Anche perché, come sapete, ho una certa predilezione per i film con le coppie mal assortite di poliziotti, se poi le classiche dinamiche da Buddy Cop film si portano dietro anche un elemento fantastico, beh, non sarò certo io a lamentarmi, anzi! Quindi, con la scusa di rivedermi “Alien Nation” in tempo per i suoi primi trent’anni, vi annuncio che questa ideale non rubrica che nella mia testa si chiama “Strambi Sbirri” (va bene come nome?) avrà a breve un altro capitolo, ma intanto parliamo del film di oggi!

Se parliamo di strane coppie, beh quella composta dal regista Graham Baker e dal mitico James Caan non scherza per niente, nel 1988 Caan era ancora un nome grossissimo, uno degli attori preferiti di Francis Ford Coppola, lo volevano tutti, anche Michael Mann per “Strade Violente”, insomma il mitico Jonathan E. di Rollerball è un pezzo grosso che finisce a recitare in uno strambo film diretto da uno che ha frequentato un cinema, diciamo più spiccio ecco, Graham Baker prima di questo film era famoso solo per “Conflitto finale” (1981) terzo capitolo della saga di Omen.

Passato da Houston a Dallas, James Caan cambia squadra ma resta in Texas.

Quello che viene fuori dalla collaborazione tra questi due è un film di culto per il quale sono andato matto fin dalle mie prime bimbo-visioni, non mi è capitato di vederlo tante volte, ma conservo in testa i ricordi dell’alieno socio di James Caan che guarda con orrore l’oceano, oppure della scena finale con l’elicottero e la presa al volo, insomma, non toccatemi questo film!

Ambientato pochi anni dopo la sua uscita, nella Los Angeles del 1991, boom! Pronti via una frase ci introduce in un mondo tutto nuovo la frase dice: «Sono atterrati e sono tra di noi». Una nave spaziale definita “Negriera” dal doppiaggio italiano, è atterrata nel mezzo del deserto californiano portando con sé gli esuli di una razza simile alla nostra se non per alcune caratteristiche fondamentali.

Oltre al capoccione a macchie, gli alieni sono molto forti e resistenti fisicamente, ma sui loro corpi l’acqua fa l’effetto che su di noi potrebbe fare un bel bagno nell’acido fosforico, inoltre, per una ragione non ben precisata (ma spassosissima), si ubriacano bevendo il latte andato a male. Beh, se non altro costa meno del whiskey.

«Sarà, ma io mi tengo stretta la mia bumba, bevilo tu il latte cagliato»

In davvero pochissimi minuti Graham Baker fa un convincente lavoro di “World building”, i nuovi arrivati prendono il nome di Neoinseriti, un nome appioppato loro frettolosamente e con non meno premura sono stati dati i nomi ai singoli individui, quindi i novelli E.T. hanno tutti nomi buffi come Harley Davidson, oppure Rudyard Kipling.

Malgrado il presidente Ronald Reagan sia una fautore dell’integrazione tra umani e Neoinseriti, le cose non vanno proprio benissimo, gran parte della popolazione preferisce chiamarli “Spurghi”, dispregiativo che non disdegna nemmeno utilizzare l’agente Matthew Sykes (James Caan) il cui compare è nero, scelta ideale per sottolineare il concetto Neoinserito is the new Negro/Checca/Ebreo/Altre parole politicamente scorrette.

Bisogna ammetterlo, nel 1988 Graham Baker aveva capito che per essere convincente la coesistenza tra due razze in un film, bisogna mostrare anche le conseguenze e il modo in cui questo ha cambiato la società, un dettaglio che Max Landis quando ha scritto Bright non ha capito proprio benissimo, perdendosi l’occasione, ad esempio, di qualche strizzata l’occhio divertente, tipo mostrare che in questa Los Angeles del 1991, in sala si può andare a vedere “Rambo 6”. Sarà forse un caso che la prima bozza della sceneggiatura sia stata revisionata da James Cameron successivamente non accreditato? (Storia vera).

Date tempo a zio Sly, presto renderà tutto realtà.

La rapina al mini market a gestione famigliare è un classico con cui tutti gli eroi d’azione devono confrontarsi, qui la famigliola e i rapinatori sono tutti Neoinseriti e a farne le spese è il compagno di squadra di Matthew, crivellato dai colpi di un calibro 12 potenziato. Il nostro roccioso detective se la lega al dito e malgrado quello che gli intima il suo capo lui vuole beccare i bastardi che hanno fatto fuori il suo socio. Un classico, no?

«Quelli sono i cattivi, ed ora andiamo a prenderli a calci, tutto chiaro capoccione?»

Casca a fagiolo il fatto che il sindaco, per allentare la tensione tra le comunità abbia promosso un poliziotto Neoinserito al grado di Detective, scelta che non va giù a nessuno dei suoi nuovi colleghi umani, tranne a Matthew, non perché sia diventato tollerante tutto d’un colpo, ma perché sa che con uno Spurg… Ehm, Neoinserito al suo fianco, la sua indagine tra la comunità aliena sarà più facile.

Quindi, abbiamo da una parte lo sbirro umano spavaldo e tosto, con la maglia dei Dallas Cowboys sotto la giacca di pelle, interpretato da James Caan che se la spaccia con i Carrera sul naso e dall’altra il suo nuovo compagno il Neoinserito Sam Francisco, giacca e cravatta, modi cortesi, la scatola di ciambelle di chi il primo giorno vorrebbe fare buona impressione e sotto il vistoso, ma ancora credibile trucco, un caratterista di lusso come quel gran mito di Mandy Patinkin. Signore, signori: la stramba coppia di sbirri è servita!

Incontri ravvicinati del Buddy cop tipo.

Quando hai due così il film si scrive praticamente da solo, i dialoghi tra i due protagonisti filano via che è una meraviglia, poco importa se poi il personaggio di James Caan sia il solito poliziotto con problemi familiari alle spalle e una propensione per i modi bruschi, perché Mandy Patinkin bilancia alla perfezione con una prova generosissima, il trucco lo nasconde, ma il suo Sam Francisco, detto George (“non posso presentarti alle gente come Sam Francisco, ti chiamerò George”) funziona alla perfezione.

Per altro, nella prima bozza della sceneggiatura, il personaggio di Patinkin avrebbe dovuto chiamarsi George Jetson, sostituito da Samuel Francisco, ma in qualche modo con il soprannome George, il gioco di parole è rimasto (storia vera).

«Hola. Mi nombre es Samuel “George” Francisco. Tu hai ucciso mi padre, preparate a morir» (Quasi-Cit.)

“Alien Nation” è estremamente curato nei dettagli (come la pistola a cinque colpi di James Caan) e impreziosito da dialoghi mica male, le dinamiche sono sempre quelle di 48 Ore o di Arma Letale, con la variante che, invece di un bianco e un nero, abbiamo un umano ed un alieno e viste le premesse il film si scrive praticamente da solo!

I battibecchi tra i due sono ottimi, il carattere un po’ naif di George mette in difficoltà Matthew, certo vorrei vedere voi alle prese con uno che mangia carne di castoro crudo (“Come sai se non ti piace se non lo assaggi?”) e si ubriaca con il latte scaduto. Ma senza ombra di dubbio la scena più divertente è quella dove un imbarazzato Matthew si ritrova a spiegare a George cos’è un preservativo, ma soprattutto come si usa, insomma dopo nemmeno metà film a questi due improbabili compagni di indagine ti sei già affezionato.

«Di un po’ macchiazza, sul vostro pianeta non la fate educazione sessuale?»

Il film sfrutta bene tutte le possibili varianti comiche di questa stramba convivenza tra razze, ad esempio Matthew deve guardarsi dalle attenzioni di Cassandra (Leslie Bevis vista in Balle Spaziali) bella spogliarellista Neoinserita che si esibisce sulle note di “Sympathy For The Devil”, però nella versione dei Jane’s Addiction.

Fun Fact: Leslie Bevis è un esperta di alieni, ha recitato in “Star Trek: Deep space nine” e “V”.

Non mancano nemmeno altre facce note, spesso nascoste (ma riconoscibili) sotto il trucco alieno, ad esempio, il losco politico Neoinserito William Harcourt è interpretato da Terence Stamp e considerando anche la mole fisica, è impossibile non riconoscere il mitico Brian Thompson nei panni del grosso alieno con cui James Caan litiga e poi cerca di prendere a calci nella palle, facendo così la sua prima lezione sulla biologia dei corpi alieni, nel modo più rischioso possibile. Per altro, Thompson è anche l’unico attore del film ad aver recitato anche nella serie tv ispirata al film, ma su questa lasciatemi l’icona aperta che ripasso.

“Non mi sono spaventato davanto a Terminator, pensi di farmi paura tu ricciolino?”.

Dove “Alien nation” mena il suo colpo più duro è nello sfruttare un sottotesto sociale molto bene, ma senza sbatterlo in faccia allo spettatore, i Neoinseriti sono forti e resistenti fisicamente e proprio per questo, finiscono a fare i lavori più umili e pagati peggio, saranno pure passati trent’anni dalla sua uscita, ma da questo punto di vista “Alien nation” riesce ad utilizzare un elemento di fantascienza, per fare metafora dei tempi moderni, sicuramente meglio di Bright, ma anche in un modo chiarissimo.

Gli effetti della droga spacciata presso i Neoinseriti che trasforma i pacati alieni in bestie feroci, somiglia fin troppo (e volutamente) alla PCP, la polvere d’angelo molto in voga negli anni ’80 e a dirla proprio tutta, anche il messaggio di tolleranza arriva bello dritto, basta guardare la reazione di Matthew quando va dai colleghi sbirri autori del graffito sulla loro auto (la scritta E.T.P.D. nata come sfottò in realtà fighissima!) e gli rompe il naso, con quello stile da bullo che a James Caan viene sempre così bene.

“Sono venuto ad arrestare gli alieni che non pagano le bollette per le telefonate a casa”.

Graham Baker fa un buon lavoro nel regalarci un Buddy cop efficace che non trascura la metafora sociale, di sicuro il film non ha il peso specifico e le idee sovversive di un capolavoro molto simile, uscito lo stesso anno come Essi Vivono, ma diverse sono anche le intenzioni, il Maestro Carpenter voleva dirigere un sonoro “VAFFANCULO!” all’amministrazione Reagan, Baker, invece, si limita a tirare fuori un film sulle difficoltà dell’integrazione tra razze diverse, passando per la difficoltà di convivenza tra poliziotti agli antipodi.

Nel finale, bisogna dirlo, la trama poliziesca perde un minimo di efficacia, il cattivone Terence Stamp trasformato in mostro dall’abuso della temibile droga fa sbragare leggermente la storia, i nostri due sbirri che scaricano pallottole sul mostrone e quello che torna in vita in una scena al limite del jump scare non è certo la parte migliore (e più originale del film), per quello bisogna aspettare il finale che, invece, è ottimo!

«Inginocchiati davanti a Zod Harcourt!»

Sì, perché nello scontro tra il Neoinserito “metamorfizzato” per usare il vocabolario del film, James finisce in acqua e quasi ci resta secco, George per salvarlo rischia la vita dall’elicottero, anche se per lui l’oceano è solo un enorme trappola mortale che rischia di scioglierlo come un ghiacciolo al sole. Dalle mie bimbo visioni conservo un ricordo di quella scena come angosciatissima ed epica, mi sembrava che quell’oceano fosse infinito e pericoloso pure per me avanti alla tv, figuriamoci per George, rivedendo la scena da adulto devo dire che non cambia di molto, se non per il fatto che me la sono vista tutta impassibile e sul finale sono esploso in un sommesso, ma impossibile da mascherare: «Sì, cazzo!» (storia vera) che ci volete fare, questi momenti di altissimo Broomance, di quello ben fatto mi esaltano come… Beh, un bambino.

«Non mi sembra una pistola d’ordinanza quella» , «Non ti sento! Sto sparando!»

“Alien nation” dopo trent’anni è ancora un buonissimo film, specialmente se come me ogni tanto sentite il bisogno di un film con le coppie di poliziotti e a suo modo la pellicola di Graham Baker è entrata a far parte della cultura popolare, sono state pubblicate novelization, inoltre esiste anche una serie televisiva, andata in onda per un sola stagione tra il 1989 e il 1990, 23 episodi che ricordo abbastanza bene, o forse ricordo uno dei ben cinque film, sempre prodotti per la televisione che sono usciti successivamente, per la precisione: “Alien Nation: Dark Horizon” (1994), “Alien Nation: Body and Soul (1995), “Alien Nation: Millennium (1996), “Alien Nation: The Enemy Within (1996) e “Alien Nation: The Udara Legacy (1997), dopo questo elenco posso chiedere l’icona lasciata aperta lassù.

Se vi ricordate di loro avete vinto un cinque alto!

Insomma, “Alien nation” è un ottimo film per parlare di tolleranza, tra etnie e persone, ma anche tolleranza nei confronti dei film, dopo trent’anni, pur senza essere perfetto, ha un sacco di ammiratori ed intrattiene ancora alla grande, quindi dovremmo imparare tanto dalla sua morale, tra “Capolavorò!” e “Cagata pazzesca” ci possono stare tanti film di culto e che per vivere pacificamente abbiamo solo bisog… Oh… Al diavolo! Passami quel cartone del latte! Auguri “Alien nation” alla salute!

Un bel brindisi di compleanno… Cheers!
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