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Aliens – Scontro finale (1986): decolliamo e Classidizziamo!

L’Inglese è una lingua bellissima, ai figli di Albione basta aggiungere una “S” alla fine per moltiplicare, in questo caso non solo il numero di Xenomorfi, ma anche il numero di minacce, di azione e di divertimento (per noi spettatori), grazie ad una sola piccola “S” passiamo da Alien il capolavoro di Ridley Scott, ad “Aliens” di James Cameron. Era dai tempi del Superman di Donner che non vedevo un utilizzo tanto significativo della lettera “S”.

“Aliens – Scontro finale” quest’anno compie i suoi primi trent’anni e, malgrado il primo capitolo sia un capolavoro senza sterzo, questo non solo non è certamente da meno, ma è anche il mio preferito di tutta la saga. Ad una prima occhiata segue la solita regola del sequel: “Uguale, ma di più”, innaffiando il tutto con dosi fuori controllo di testosterone e machismo, uno dei film d’azione più belli di sempre, che al suo interno contiene messaggi femministi e anti-militaristi (storia vera!), ma, più in generale, una lezione su come dovrebbero SEMPRE essere scritti i seguiti. Escucha muchacha… Io ho bisogno di sapere una sola cosa: Donde està el cartello dei Classidy!

Come fai a dare un seguito ad un successo di critica e pubblico come Alien, visto che il suo regista Ridley Scott non ha intenzione di tornare a bordo? Se sei quel drittone di Walter Hill affidi tutto ad uno che non ha paura di affrontare una sfida del genere, ma, più in generale, credo che non abbia paura di niente e basta: James Cameron, il caso sequel è tuo!

«You can’t scare me i work for James Cameron» (Citando una celebre maglietta).

Anno 2179. Ripley viene ripescata dormiente dello spazio profondo (dove nessuno può sentirti russare), il suo sonno è durato la bellezza di 57 anni, ma nel frattempo poco è cambiato: la compagnia Weyland-Yutani (nome scelto da Scott per “omaggiare” i suoi vicini rompicazzo, storia vera) non crede alla sua versione dei fatti, però la vuole come consulente sul campo quando i contatti con i coloni su LV-426 terminano bruscamente. Tranquilla, questa volta le cose andranno diversamente, saremo preparati, avrai al tuo fianco un’intera squadra di Marines coloniali cazzuti e armati fino ai denti cosa può andare storto? (“Siete sull’ascensore per l’inferno, in discesa!”).

«Fidati di noi, siamo un azienda seria»

Cameron con la sua sceneggiatura contribuisce ad espandere l’universo di Alien, senza limitarsi ad aumentare il numero di creature (il famoso discorso sulla “S” finale), ma tenendo a mente una regola semplice, ovvero che le azioni hanno delle conseguenze, ma soprattutto rispondendo ad una domanda facile facile: se i mostroni acidi dalla testa fallica cicciano fuori da un uovo, chi depone le uova?

Cameron, con il suo solito piglio generalesco, dimostra immediatamente di avere le idee chiare per il film, c’è solo il piccolissimo problema: convincere Sigourney Weaver a tornare a vestire i panni di Ripley, cosa che non voleva assolutamente fare. Avvicinata dalla produzione Sigourney impone le sue richieste per partecipare al seguito: “Voglio un pacco di soldi, Ripley non dovrà utilizzare armi, dovrà essere infettata da un alieno e dovrà morire a fine film”.

Beh direi che Jimmy ti ha proprio dato ascolto, vero Sigourney?

Cameron fa sì con la testa e, come suo solito, fa quello che gli pare, sbattendosene delle richieste della Weaver, che comunque torneranno buone per il terzo capitolo, ma questa… E’ un’altra storia.

Sigourney si convince a partecipare dopo aver letto la sceneggiatura scritta da Jimmy Cameron, la considera ottima, specialmente per la caratterizzazione dei personaggi femminili, Ripley su tutte. Ora bisogna solo sistemare quella faccenda di ex presidenti defunti stampati su carta verde e, anche qui, Jimmy ci mette lo zampino.

Tira su il telefono, chiama un ragazzone austriaco con cui ha fatto un altro filmetto direi abbastanza riuscito, l’agente di Arnold Schwarzenegger è lo stesso della Weaver, questo mescola un po’ le acque, ci mette una buona parola e arriva l’accordo, dimostrazione che avere il numero di telefono di un Terminator in rubrica torna sempre utile nella vita.


Jimmy e sua moglie (numero due di cinque), la produttrice Gale Anne Hurd.

La genesi di “Aliens – Scontro finale” era iniziata proprio tempo prima, nei nove mesi di stop forzati della produzione di Terminator, passati ad attendere che Arnold Schwarzenegger terminasse di girare Conan il distruttore, tempo (ben) speso da Cameron per scrivere, robetta: la prima bozza di sceneggiatura per il film “Rambo 2 – La vendetta”, che come tutti sappiamo (lo sapete vero?) è stata poi pesantemente rimaneggiata da Sylvester Stallone, inserendo patriottismo e muscoli oliati a pioggia e anche questa… E’ un’altra storia.

Prima di scrivere “Rambo 2” Cameron parla con reduci del Vietnam, s’informa sui sintomi del DPTS (disturbo post-traumatico da stress) e anche se Stallone successivamente getterà quasi tutto alle ortiche, il nostro Jimmy impara una grande lezione che applicherà in tutti i sequel diretti in carriera: quali sono le conseguenze del primo film sui personaggi? Domanda semplice e pratica che ha garantito almeno un paio di capolavori del cinema.


Nel secondo capitolo tutto è più grande, anche lo Xenomorfo.

La Ripley di “Aliens – Scontro finale” si sveglia ogni notte urlando, ha difficoltà a reintegrarsi nella società e anche a trovare un lavoro, è fin troppo qualificata per gli elevatori meccanici (così prepariamo il campo per quel finalino con il Power Loader), ma quello o niente, in questo non è tanto distante da Rambo, o da qualunque reduce del Vietnam.

Alla fine si convince a partecipare alla missione su LV-46 per affrontare il suo trauma, ma anche per assicurarsi che la Weyland-Yutani non voglia ancora cercare di sfruttare la creatura come arma, è un personaggio fragile e traumatizzato (che va fuori di testa quando vede un androide, citofonare Bishop per conferma, ore pasti), che evolve durante i 137 minuti di film (154 dell’edizione speciale), lo fa in maniera coerente e logica ed è impossibile non tifare per lei. A ben pensarci, l’evoluzione di Ripley (istinto materno compreso) è la stessa di Sarah Connor in Terminator 2, solo meno traumatica perché accade sotto i nostri occhi, mentre quella di Sarah avviene fuori schermo, negli anni tra il primo e il secondo film della serie, ma il principio di base è sempre lo stesso: quali sono gli effetti del primo film sui personaggi? Giovani sceneggiatori, prendere appunti, grazie!


È nato prima l’uovo o lo Xenomorfo?

Ripley, inoltre, con la sua fragilità iniziale, è il perfetto contro altare dei Colonial Marines, a loro modo le star del film. Spavaldi, cazzuti, con la battuta(ccia) sempre pronta, questi Marines sono sprezzanti come quelli di “Fanteria dello spazio” di Heinlein (citato da Hudson quando parla di “caccia all’insetto”), rappresentano il machismo interventista americano, il loro spirito di: “Andiamo, spacchiamo i culi e torniamo a casa vittoriosi”. Piano che per gli Yankee funziona quasi sempre sulla carta e quasi mai nella realtà, perché di solito vengono presi a scoppole da un nemico male armato e teoricamente inferiore, che siano Xenomorfi o Vietcong. “Lei forse non è al corrente dei recenti avvenimenti, ma siamo stati presi a calci nelle palle!”, il metaforone anti militarista inizia a farsi prepotentemente strada.

Il METAFORONE viene fuori dalle (fottute) pareti!

Ma altre alla metafora sul Vietnam (e sulle guerre in generale) “Aliens” è un film anti-istituzioni, ogni volta che me lo vado a rivedere (e non succede raramente) mi spacco dal ridere nel vedere come tutte le figure autoritarie siano degli inetti (Il tenente Gorman), oppure degli arrivisti vigliacchi come il personaggio di Paul Reiser, Burke archetipo del burocrate viscido e stronzo (“Non so quale delle due specie sia la peggiore… Loro non li vedi fregarsi l’uno con l’altro per una sporca percentuale!”). In questo film a tener su la baracca sono consulenti e i proletari Marines, devo sempre far passare del tempo tra l’ennesima ri visione di questo film e la mia presenza sul posto di lavoro, non sapete quante volte mi ritrovo come Ripley a voler dire “Falli uscire da lì! Vall’inferno Gorman!” a qualche mio responsabile… Ah! se solo avessi anche io un M577 Armoured Personnel Carrier!


«Lo compro io, per un dollaro!» (Cit.)

Prima di accusare Cameron di fanatismo paramilitare, teniamo a mente che per far funzionare la metafora, i marines coloniali all’inizio devono risultare dei super machi, tanto che tra le loro fila persino le donne sono mascoline, come la mitica Vasquez, senza ombra di dubbio la più cazzuta di tutti (“Qualcuno ha detto “Salviamo i coloni!”. Lei ha capito “Vi diamo i coglioni!” e si è arruolata subito guardate che vi massacro con le citazioni da questo film, sappiatelo!), personaggio che da sola si sarebbe meritata uno spin-off o una lunga carriera nei film d’azione, per altro, ho sempre pensato che l’attrice che la interpreta fosse una Latina, mi è preso un mezzo colpo quando ho scoperto che invece è inglese ed è anche la tutrice legale di John Connor in Terminator 2 (“non è mia madre, Todd!”).


«Escucha muchacho, io ho bisogno di sapere una sola cosa: donde està John Connor!»

Il personaggio di Vasquez, però sottolinea quanto “Aliens” sia un film in cui le vere protagoniste sono proprio le donne, che siano protagoniste, co-protagoniste o avversari (tecnicamente la cattiva è la regina aliena), la protagonista non è un eroe dell’azione tutto muscoli e testosterone (ho fatto anche la rima), ma è una donna al 100%, i sentimenti che smuovono Ripley sono sì una certa volontà di vendetta nei confronti degli Xenomorfi, ma solo in parte, perché il suo riscatto si stempera con il passare dei minuti in favore di un istinti quasi materno.

Bisogna davvero essere bravi a scrivere un personaggio che sopravvissuto ad un trauma come quello del primo film, flagellato da incubi di parti alieni, dai quali si risveglia urlante tenendosi il petto (Who you gonna call? Chestbuster!), riesca comunque a sviluppare un istinto materno quando su LV-426 incontra la piccola sopravvissuta (anche lei) Newt, questo film pieno di Marines, che cambia il genere dal thriller/horror del primo capitolo, alla pura azione del secondo (come dicevano in “Scream 2”: “James Cameron te lo fa venire duro vero?”), va rivisto con questa chiave di lettura.


Istinto materno parte uno: Empatia e tenerezza.

Lo “Scontro finale” (del titolo italiano e del film) non è solo la rielaborazione di Jimmy Cameron del finale di Alien, ma è una vera e propria lotta tra leonesse, con una delle due impegnate a proteggere il suo cucciolo (“Stay away from her, you bitch”), però armata di power loader! Ok, mi rendo conto che la maternità nella realtà sia molto più complessa, ma nessuno al cinema ha saputo riassumerla a noi possessori di cromosoma Y meglio di James Cameron ed io continuo la mia personale crociata di sdoganamento, tutti quelli che vogliono continuare ad usare la frase fatta che l’ex moglie di Cameron, Kathryn Bigelow “dirige come un uomo”, allora dovreste avere le palle di ammettere che i film di James Cameron sono più adatti al pubblico femminile di quanto la loro fama lascerebbe intendere!

Istinto materno parte due: Leonessa incazzata.

Bisogna anche dire che noi maschietti abbiamo di che divertirci con i film di Cameron, con questo “Aliens – Scontro finale” sicuramente, anche se sul set non è stato tutto pesche e crema. Jimmy ha fama di essere un regista per cui non è semplicissimo lavorare, il piglio da generale è sempre lo stesso e la testa dura non è sempre andata di pari passo con il caratteraccio. Roger Corman che lo ha tenuto a battesimo nei set di alcuni suoi film di lui diceva: “Tutti gli altri camminavano, mentre Jim correva”.


Newt, vedi di fare come zio Jimmy… Corri!

La troupe inglese del film era quasi interamente composta da fedelissimi di Ridley Scott che non si fidavano di questo giovane Canadese, nemmeno la proiezione sul set di Terminator, organizzata per convincere tutti della capacità di Jimmy ha sortito molti effetti. Poco male, Cameron si è circondato dei suoi pretoriani, come il mago degli effetti speciali Stan Winston o gli attori Lance Henriksen (Bishop) e Bill Paxton (il soldato “Game Over” Hudson).

Dopo aver fatto sottoporre il cast a due settimane di allenamento con gli uomini del SAS britannico (esclusi solo i “Civili” Sigourney Weaver e Paul Reiser e il tenente William Hope, perché il suo Gorman doveva sembrare l’incapace della 38 missioni simulate e due reali) ha concesso ai soldati impegnati nei panni dei Marines coloniali di personalizzare le proprie armi, in modo dare un look da vero film di guerra alla pellicola.

Per altro, i fucili ad impulsi sono stati realizzati unendo insieme parti di Mitra Thompson e Remington 870, mentre le pesantissime “Smart gun”, sono delle MG 42 montante sopra i supporti della videocamere steadicam, tanto che Jenette Goldstein e Mark Rolston hanno preso lezioni dagli operatori di steadicam per muoversi… Si vede che c’è un grande uomo di cinema come Cameron dietro a tutto questo!


Ok siamo pronti a girare, cioè volevo dire sparare!

Un’ossessione per il dettaglio che paga, infatti i Marines risultano l’aggiunta più azzeccata del film, tutti molto caratterizzati, sono stilizzati, ma ben fatti (chi critica i personaggi di “Avatar” ha la memoria corta), tra le loro fila troviamo alcune vecchie conoscenze di Cameron, come Michael Biehn, ad esempio.

«Vieni con me sei vuoi vivere… Spero questa volta vada meglio però»

Chiamato letteralmente dal giorno alla notte da Cameron, per sostituire James Remar, che aveva già girato diverse scene sotto il casco di Dwayne Hicks rimaste nel montaggio finale del film, tanto con il casco sono irriconoscibili (storia vera!). Remar è stato sostituito a causa di “Divergenze creative” con il regista, sì, quello è il fatto che dopo due minuti quasi vengono alle mani con Cameron, quindi via e dentro Biehn.

«Cosa sono quegli occhi rossi Remar?», «Ehm, ho le lenti a contatto nuove»

Che però sfiga! Ha dovuto tenersi la corazza con il cuore lucchettato sul petto personalizzata da Remar (un idiozia, perché mettersi un mirino sul cuore? Bah).ma in compenso ha risposto con una prova maiuscola, sul perché Michael Biehn non sia diventato il più grande attore di film action della storia del cinema è un mistero pari a quello di Stonehenge.

Cuore con lucchetto? Un idea così scema poteva venire solo a James Remar o a Federico Moccia.

Tra i pretoriani anche il grande Lance Henriksen, il suo androide Bishop (“Preferisco il termine persona artificiale, io”) permette a Cameron di fare il punto sui 57 anni di tecnologia tra il primo e il secondo capitolo, Bishop è l’opposto di Ash: gentile, ma dotato di umorismo. Henriksen e Jimmy Cameron hanno fatto un lungo lavoro sul passato del personaggionon raccontato nel film, ma fondamentale per il risultato finale: pare che Lance abbia chiesto al suo regista di avere un paio di lenti a contatto per risultate più “Bionico”, dopo un’occhiata alla faccia di Henriksen, la risposta di Cameron è stata: “Tranquillo, sei già abbastanza inquietante così” (storia vera). Curioso che nella versione doppiata, il personaggio sia stato fornito di un’inutile voce robotica, ma per questo e altri dettagli, vi rimando al pezzo di Doppiaggi Italioti come sempre completissimo.

«Inquietante, io? Davvero? Colpa degli zigomi a punta vero?»

Per il resto, la sceneggiatura di Cameron è micidiale, come al solito, i dialoghi sono uno migliore dell’altro, molti ve li ho già citati a memoria sparsi nel commento, aggiungo solo che nel film ci sono 25 “Fuck”, 18 dei quali tutti pronunciati da Hudson (il grande Bill Paxton, che dopo Terminator riesce a farsi uccidere anche da un Alien e il tassametro corre), tutti pronunciati chiedendo scusa alla piccola Carrie Henn che interpretava Newt, “Fuck, sorry Carrie” (storia vera), ma la frase più celebre di Hudson è sicuramente “Game over, man! Game over!” improvvisata da Paxton sul set, tenuta nel montaggio finale del film, è ancora oggi la sua frase simbolo, quasi la sua Hasta la vista baby!

Una delle cento frasi di culto di Bill Paxton in questo film.

Se devo essere onesto, la mia battuta preferita del film la pronuncia Frost, la mitica “Ma come diavolo ci difendiamo? A parolacce?” che vi giuro, mi fa scoppiare a ridere ogni volta che mi rivedo il film, ogni maledetta volta. Ma se mi leggete da un po’ sapete che ho il mio metodo personale di valutare la genialità dei dialoghi di un film, ovvero le citazioni involontarie, il numero di volte durante la vita quotidiana, in cui ti ritrovi ad utilizzare la battuta di un film, “Aliens – Scontro finale” ha il primato assoluto della mia battuta da ufficio preferita, quando i clienti e colleghi mi assediano con le richieste, io inizio a mimare un mitra gridando: “Vengono fuori dalle pareti! Vengono fuori dalle fottute pareti!”, giuro che lo faccio sul serio, ormai anche i miei colleghi sanno che sono un po’ suonato.


«Formazione d’assalto, pronti ad un’altra giornata in ufficio»

Per ottenere gli Aliens (sempre il discorso sulla “S” iniziale), Cameron dispone di, voi direte: “Cento, duecento costumi e altrettante comparse”, no no, i costumi erano solo sei (SEI), ma provate a dirmi che guadando il film ve ne siete mai resi conto e per rendere gli Xenomorfi davvero alieni nelle movenze, Cameron ha radunato contorsionisti a ballerini addestrati a muoversi nel modo più strano possibile, così da risultare del tutto non umani allo sguardo e nella sua totale furia creativa, quando gli hanno chiesto se c’era bisogno di contattare H.R. Giger per il design della regina aliena, Jimmy ha risposto: “No no, ho già dei bozzetti pronti, mi bastano quelli e Stan Winston” (storia vera).


Siam sei piccoli Xenomorfin, siamo sei fratellin…

“Aliens” è un film che procede per scene mitiche, ognuna del tutto funzionale alla trama, ma una più mitica dell’altra, dal salvataggio di Ripley alla guida del M577, allo scontro con i Facehugger un tempo conservati sotto vetro, la scena dell’ascensore (che più serve a Ripley più è lento ad arrivare che ansia!) fino allo scontro (finale) con la regina, che ogni volta mi fa venire voglia di alzarmi in piedi ad applaudire, un po’ per l’entrata in scena di Ripley, un po’ per la coreografia, il ritmo e il montaggio di tutta la sequenza che sono veramente fatti come il Dio del cinema comanda.

«I’m here to chew bubblegum and kick alien-ass»

Parlando di ritmo, basta dire che i 15 minuti dell’autodistruzione finali, sono in tempo reale e durano davvero 15 minuti (garantito, ogni volta li conto), il controllo creativo e le energie di James Cameron Insomma, si è capito che è un film che amo alla follia? Penso di sì, anche perché ho l’impressione che migliori ogni volta che me lo vado a rivedere, quest’anno “Aliens – Scontro finale” compie trent’anni, ma davvero non sembra invecchiato, è ancora oggi una lezione su come si possa fare un seguito, cambiando completamente genere, passando tra Horror a film d’azione, ma senza cambiare il risultato finale che resta sempre lo stesso: Capolavoro.

Ho sempre sognato di avere quelle Reebok e gli auto lacci di Marty McFly.

Pensare che ci sono ancora persone che dicono che il seguito non è mai bello come l’originale, sarà anche vero, ma farlo dirigere a James Cameron di solito aiuta! Auguri “Aliens”, ci vediamo la prossima volta che verrai fuori dalle fottute pareti. «La mia mamma diceva sempre che i mostri non esistono. Non quelli veri. Invece esistono»

Vi ricordo che se volete curiosità, memorabilia, articoli, informazione e valanghe di passione Aliena, tutti i giorni trovate il blog curato da Lucius Etruscus, 30 anni di Aliens (Viaggi nel mondo degli alieni Fox), una cornucopia per appassionati di questa saga!

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