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Alita – Angelo della battaglia (2019): ci riprendiamo tutto quello che è nostro

James Cameron ha cantato la stessa canzone, magari non per lo stesso tempo per cui i Rolling Stones hanno cantato “Satisfaction”, ma comunque per un tempo piuttosto lungo, è da quando ero ragazzino che gli sento dire: «Il mio prossimo film sarà Battle Angel Alita».

Anzi “Alita: Battle Angel”, giusto per essere allineati con la tradizione per cui Cameron può dirigere solo film che iniziano con la lettera “A” (di Aliens), oppure con la “T” (di Terminator). “Piraña paura” (1982) conta fino ad un certo punto.

Scherzi a parte, è dai tempi di Terminator 2 che Jimmy lo ripete, che sia sempre stato un appassionato di fumetti si sapeva, tra questi proprio Alita di Yukito Kishiro, anzi, a dirla proprio tutta, la serie tv da lui ideata “Dark Angel” – sì, proprio quella con Jessica Alba – erano le prove generali di Jimmy prima di lanciarsi con Alita, ma sapete com’è andata, no? È salito sul Titanic, ha portato a casa giusto qualche premio e tanti di quei fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti da bastargli per sei vite e lo abbiamo perso. Nel 2003 diceva «Finisco di girare “Ghosts of the Abyss” e il mio prossimo film sarà Alita: Battle Angel», nel 2005 «Vado sotto sotto il mare con il mio sottomarino giallo, termino la regia di “Aliens of the Deep” e il mio prossimo film sarà Alita: Battle Angel», poi nel 2009 ha diretto “Avatar” e da Pandora non è ancora tornato.

“Dirigerò Alita: Battle Angel, il tempo di finire di Avatar 86”.

Mentre la Disney si prendeva tutti i Natali con i loro Star Wars, Jimmy pianificava, uno, due, tre, quattro seguiti di Avatar! Mille mila seguiti! Sono numeri che fanno girare la testa (cit.). Era evidente che “Alita” sarebbe dovuto arrivare al cinema prima, persino i Guns N’ Roses (che guarda caso con Jimmy hanno qualcosa in comune) sono riusciti a sfornare il loro famigerato album “Chinese Democracy” prima di Cameron, ma siccome il Canadese è testardo come un mulo, il suo progetto del cuore non voleva proprio cederlo a nessuno, alla fine lo ha fatto all’unico possibile, Robert Rodriguez, uno che con i suoi Troublemaker Studios ci ha sempre dato dentro con la sperimentazione e che, forse, una collaborazione con qualcuno per sfornare un film, non la nega a nessuno, che siano Tarantino, oppure Frank Miller, figuriamoci se dice di no a James Cameron.

«Un po’ più intenso, ancora un po’… Vabbè la sistemiamo con gli effetti speciali, tanto paga Jimmy»

“Alita – Angelo della battaglia” esce in 3D, con gli ottimi effetti digitali della Weta che qui ha l’occasione per mettere di nuovo la testa avanti contro la diretta concorrenza, ma quanti film degni di essere visti in 3D vi è capitato di vedere dopo “Avatar”? Intendo dire che valesse davvero la pena vedere con gli occhialetti sul naso? Mi vengono in mente due o tre titoli non di più, per il resto da Carpenteriano, sto con l’affermazione del Maestro: Una cazzata fatta per spillarvi soldi. Grazie Maestro, sempre dritto come una spada.

Il ragazzino che aspettava di vedere il prossimo film di James Cameron, il vostro amichevole Cassidy di quartiere è diventato più vecchio del giornale di ieri nel frattempo, ma devo dire che tra alti e bassi a me questo “Alita – Angelo della battaglia” è piaciuto, certo, i difetti non mancano e per essere un film così fuori tempo massimo, magari non valeva la pena aspettare tutti questi anni, ma infilarsi gli occhialetti sul naso per vederlo in sala sì.

Dai la cera, togli la cera (Cit.)

Se non avete letto il manga originale di Yukito Kishiro, non importa perché il film ha davvero tutto per affascinare e presentare al grande pubblico questa “Pinocchia” dagli occhioni grandi e i pugni pesanti, ripescata e ricostruita da un geppetto tecnologico, il Dottor Ido (un Christoph Waltz particolarmente azzeccato) che partendo da un tronco, una testa e due occhioni giganti – quelli di Rosa Salazar vitaminizzati dalla computer grafica – ricostruisce questa burattina senza fili e senza memoria, a cui viene dato il nome di Alita. Che nel manga era il nome del gatto di Ido, nel film, invece, della figlia e se vi interessa saperlo, con una lieve modifica della pronuncia, potrebbe essere il nome di uno dei miei cani quando mi sbadiglia ad un palmo dal naso (storia vera).

“Mi raccomando Alita, non fidarti del gatto e della volpe, e già che ci sei anche delle balene”.

Alita non ricorda nulla del suo passato, si sa solo che è stata gettata nell’enorme discarica della Città di ferro, una megalopoli sorta tra i rottami, fatta di persone che vivono per servire e con la speranza di tornare lassù da dove la monnezza rotola, l’ultima delle città volanti, Salem, un posto che, oltre ad essere un enorme METAFORONE della condizione di ultimi degli ultimi dei protagonisti, viene descritto bene da Ido, non sta lassù per magia come crede Alita, ma per ingegneria e mentre citate una frase che mi piace tanto di Ian Malcolm, tenetevi l’icona aperta su questo che dopo ci torniamo.

Alita scopre il mondo con i suoi occhi giganti, una trovata che inizialmente ha fatto rotolare dal ridere tutto l’internet: fai un film tratto da un manga giapponese e alla tua protagonista disegni gli occhioni? Eppure, più che un omaggio cretino, questa trovata funziona, perché per quanto straordinaria risulti la motion capture nel ricreare dei volti umani, ancora viene istintivamente percepita come finta dal cervello umano, i Giapponesi è dai tempi di Mazinga che si preparano a vedere i robot, androidi e ginoidi tra di noi e hanno fior fiori di studi su questo argomento.

“A te non servono le lenti a contatto, ma direttamente il grandangolo”.

Al cinema, più semplicemente, la faccenda viene risolta introducendo un grado di stranezza, la pelle blu e il naso da Patty Pravo dei Na’Vi di “Avatar”, il color lilla che invoglia di Thanos, oppure il look dei protagonisti di Ready Player One. Quindi, gli “Occhioni” di Alita hanno una loro logica, anzi, funzionano meglio se stanno sulla faccia di un personaggio che potrebbe menare tutta la prima linea difensiva dei San Francisco 49ers, ma poi è così tenerella da donare il suo cuore ad uno come Hugo (Keean Johnson) e non è tanto per dire, lo fa davvero in una scena del film.

La parte iniziale di “Alita: Battle Angel” vede la protagonista provare specialità locali, innamorarsi, in pratica il più classico degli “Eat, Love, Pray” che in questo caso sarebbe più adatto definire in “Eat, Love, Play” dove il gioco è il fighissimo e pericolosissimo Motorball, oppio dei popoli volutamente ispirato a Rollerball fin dal fumetto originale, che in questo film fa una porca figura, visto che le scene d’azione sono tutte ben dirette da Rodriguez e, malgrado, i tanti giocatori sullo schermo, non si perde mai la dinamica dell’azione, insomma molto meglio del remake di McTiernan, ma ci voleva anche poco bisogna dirlo.

«Vi prego, ditemi che quello laggiù non è LL Cool J»

Questo film riesce a creare un mondo in cui far muovere i personaggi, anzi meglio, riesce a ricreare il mondo pensato da Yukito Kishiro e a presentarlo ad una nuova generazione di potenziali lettori, se per caso alcune dinamiche possono apparire un po’ datate, è solo perché questo film avrebbe dovuto arrivare al cinema molto prima e nel frattempo il Manga ha fatto storia, influenzando svariate altri racconti, film e fumetti.

In una storia che fa della costruzione del mondo in cui è ambientata un punto di forza, per una volta il doppiaggio ci viene incontro, ero già rassegnato all’idea di sentire anche in qui tutti quei termini che nella versione italiana del fumetto (quella che conosco, ho qualche problema a leggere il Giapponese) sono riportati in Inglese, invece qui il doppiaggio mi ha stupito, inventando delle parole in Italiano che diventano parte del vocabolario dei locali, abbiamo gli “Smontatori”, ma anche i “Carne molle”, oppure i “Corpo freddo”, ma i miei preferiti restano i “Braccatori”, anche perché tra le loro fila compaiono un po’ di facce note, notevoli, da Michelle Rodriguez (attrice feticcio di entrambi i registi coinvolti, sia Cameron che Rodriguez), Jeff Fahey, Marko Zaror (largamente sottoutilizzato per il suo potenziale) e… Casper Van Dien! Quelli che sostengono che questo è un grosso B-movie con soldi e mezzi forse non hanno tutti i torti.

“TVovi Visibile il nome BVaccatoVi?” (Quasi-Cit.)

Se fossimo nell’ambito di un fumetto di supereroi, diremmo che questo primo capitolo è una storia di origini della protagonista, anche perché tra i difetti bisogna sicuramente aggiungere il fatto che buona parte del cast non ha abbastanza spazio per far emergere i propri personaggi, succede di sicuro a Mahershala Ali (che ultimamente è in tutti i film) e ancora di più a Jennifer Connelly che già solo per il fatto di essere Jennifer Connelly dovrebbe avere più spazio, ma su questo argomento sono di parte, quindi non cercate di argomentare con me, perché tanto sono una causa persa!

Anche travestita da pouf per il soggiorno resta sempre uno spettacolo.

Ma il problema grosso di “Alita: Battle Angel” non è tanto la colonna sonora di Tom Holkenborg (che si è dato una ridimensionata, ma continua a risultare confusionario per i film d’azione e non emerge mai facendo spesso da rumore di fondo alle scene), ma è sicuramente una certa confusione che emerge con il passare dei minuti e nell’ultima mezz’ora di film diventa un vero casino. Ho cercato notizie in giro, ma non sono riuscito a chiarirmi molto le idee, James Cameron quando tratta i soggetti fantastici, tende un po’ all’accumulo, ma di solito è anche molto limpido nei passaggi chiave, qui meno sarebbe stato meglio e, inoltre, non so quanto sia stato riscritto da Laeta Kalogridis che firma la sceneggiatura insieme a Jimmy, ma che in carriera ha fatto cosette per cui si meriterebbe di vedere la sua tessera di sceneggiatrice stracciata per sempre.

Perché l’iperprotettivo Ido concede di colpo ad Alita di poter partecipare al Motorball? Perché una esordiente dovrebbe trovarsi alla sua prima partita a giocare contro dei professionisti? Ma questi sono i problemi minori, alcuni personaggi vanno e vengono, senza rovinare la visione a nessuno, uccidere un certo personaggio, non una, ma due volte di fila, nel giro di pochi minuti, fa perdere moltissimo pathos a tutta la vicenda.

Personalmente, avrei tenuto da parte tutta la faccenda del Motorball per un secondo film, anche perché apprezzo moltissimo quel finale, con il pubblico che urla «Alita! Alita!» che è chiaramente un omaggio al «Jonathan! Jonathan!» di Rollerball, ma proprio perché vado pazzo per il film di Norman Jewison, mi sarei tenuto le corse sui pattini di Alita per il seguito. Già… I seguiti di questo film, eccolo il vero problema forse.

«Per il potere di James Caan!»

Anche a voler chiudere un occhio (gigante da Manga) sull’ultima mezz’ora particolarmente incasinata, “Alita: Battle Angel” è, come detto, una storia di origini che lascia non porte, ma portoni aperti per i seguiti. Era chiaro che riassumere tutto il Manga in due ore, sarebbe stato impossibile, ma una buona parte di pubblico potrebbe restare deluso da una storia che chiaramente ha bisogno di continuare e che ora, se potrà farlo, dipende solo dagli incassi.

Sì, perché posso dirlo? Io un altro film su questa guerriera con gli occhioni lo guarderei più che volentieri, se poi fosse tutto dedicato al Motorball sarebbe il massimo della vita, perché per una volta, si arriva alla fine del film con la voglia di continuare la storia di Alita, anche se l’ho già letta questa versione cartacea, con tutti i suoi difetti, non fa storcere troppo il naso. Robert Rodriguez burattino nelle mani di James Cameron per me ha fatto un buonissimo lavoro e… A proposito di quei portoni lasciati aperti.

«Io starò lassù seduto a tenerti d’occhio per tutto il tempo, quindi non fare cazzate»

Non so come abbiano fatto a convincere quell’attore lì che, per altro, è noto per essere un gran cagaminchia, a non farsi accreditare, ma senza il suo nome dritto sparato nel cartellone, vederlo nei panni di Nova mi ha esaltato, perché l’ho riconosciuto subito, ma per un po’ più di due secondi, complice la capigliatura canuta, ho pensato che a sorvegliare dall’alto le sue creature, sia Alita che Robertino Rodriguez, fosse proprio James Cameron (storia vera). Sarebbe stata la migliore delle metafore possibili per il film, ma anche così va bene lo stesso.

Vi ero debitore di un’icona lasciata aperta, Ido definisce l’ingegneria alla pari della magia, quasi una citazione ad Arthur C. Clarke che diceva che qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. Ma dal punto di vista del cinematografico, per Cameron la tecnologia è parte della magia del cinema, specialmente per quanto riguarda i corpi dei suoi personaggi, in Aliens – Scontro finale Ripley ricorreva ad un paio di braccia meccaniche (quelle gialle del power loader) per trionfare, in Terminator 2 bisognava allearsi con una macchina per sconfiggerne un’altra più avanzata e in Titanic Jimmy ricorreva al massimo della tecnologia disponibile, per creare un grande spettacolo di cinema, mentre in Strange Days, l’ultimo film che Jimmy ha scritto, ma non diretto prima di questo “Alita”, le parti di ricambio degli umani erano i ricordi, innestati direttamente nella mente.

«Cassidy smettila di blaterare cose a caso su Cameron!»

Quindi, è abbastanza chiaro che questo “Alita – Angelo della battaglia” era l’anello che mancava, prima dell’ultimo gradino dell’evoluzione Cameroniana (o Camerunense?) dei suoi personaggi, ci voleva Alita che passa da un corpo improvvisato ad uno da battaglia chiamato Berserker (che a me fa sempre ridere perché ricorda questo) a rappresentare l’ultimo gradino, prima della completa sostituzione del corpo, quella che abbiamo visto in Avatar. Si vede tanto che ho fatto i compiti perché è da una vita che mi preparo a scrivere di questo film? Se faccio troppo la figura del primo della classe ditemelo, ok?

Insomma, se al me stesso ragazzino di allora, avessero detto che avrei dovuto aspettare fino all’anno 2019, per vedere «Il mio prossimo film sarà Battle Angel Alita», avrei risposto che prima avremmo dovuto superare tutti il 29 agosto del 1997, magari con almeno due paia di occhiali termici, ma, malgrado tutto, alla fine sono contento che questo film sia arrivato.

Ora spero che faccia un sacco di soldi, che arrivino uno o due seguiti, che Robert Rodriguez sfrutti il successo per produrre finalmente quel film che minaccia da anni e che anche lui non dirige mai, l’unico tratto da fumetto che vorrei vedergli dirigere (Madman) e… Una pinta di rossa doppio malto, tanto sto qui a fare le ordinazioni, tanto vale farle bene.

Un locale dove si scatenerà una rissa, un classico di Rodriguez.

Ma, forse, questo “Alita: Battle Angel” è arrivato davvero al momento giusto, e quello che ho visto nel film non era un attore famoso nei panni di Nova, era proprio James Cameron che si affacciava di nuovo al panorama cinematografico attuale, utilizzando questo film per mettere il piedone e vedere se il pubblico è ancora interessato a film pensati per il 3D nativo. Perché in fondo Jimmy si è ricomprato i diritti sulla saga di Terminator e prima o poi quei ventuno o ventidue seguiti di Avatar finirà di girarli, no? Ora si spera che non ci faccia attendere un secondo “Alita” , quanto abbiamo dovuto aspettare il primo, ma non riesco a non immaginarmi Cameron che attiva la modalità “Savastano di Gomorra” e rivolgendosi a Rodriguez gli dice: «’Mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost’». Occhio a Jimmy, occhio a Jimmy! Grande occhio, come quelli di Alita.

«Magari il mio prossimo film potrebbe essere Battle Angel Alita 2»
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