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All-Star Superman (2005-2008): le dodici fatiche di Azzurrone

Facile voler bene a Batman, l’auto, il costume nero, l’iconografia, tutti amano Batman, anche perché chiunque riesca a mantenere il quantitativo di nero (anche noto come daaaaaaark) in una storia del Crociato di Gotham, di solito vince facile. Ma scrivere una buona storia di Superman? Quello è un lavoro per pochi ispirati.

La leggenda alla base della genesi di “All-Star Superman” si perde nel mito, anzi a dirla tutta, sembra tanto uno di quelle storie messe in giro dallo stesso autore per alimentare la leggenda, la sua più che quella della sua opera, trattandosi di Grant Morrison, se un giorno dovessimo mai scoprire che i fatti si sono svolti proprio così, non mi stupirei molto. Però dello scozzese ad una convention di fumetti, che vede un Cosplayer di Superman più calato nel ruolo degli altri, e della loro chiacchierata con il novello Big Blue che rispondeva a tutte le domande come se fosse il primo figlio di Krypton, questa ormai è una leggenda ben documentata, ma si sa, non importa da dove arriva un’idea, quello che conta è che si depositi nella testa dello scrittore giusto, in questo caso Morrison.

I can change the world, with my own two hands, make it a better place, oh, with my own two hands.

Superman non è Batman, si sa, Superman è senso di meraviglia, quella gioia che solo leggere quelle pagine colorate piena di vignette può regalarti, perché il nostro “Azzurrone” è un eroe fuori tempo, le sue trame originali erano ben più folli ed esagerata, l’arrivo di John Byrne e soprattutto del film di Richard Donner ha portato una normalizzazione delle avventure di un personaggio, diventato agli occhi di tutti un palloso Boy Scout, grande grosso e un po’ fregnone che ammettiamolo, non è figo come il perennemente cinico Batman, che piace perché incarna il sentimento medio della popolazione su “Infernet”, tu atteggiati a cinico e scazzato e sarai figo in rete, anche se dentro nel tuo cuoricino, nel freddo della tua stanzetta lontano dalla tastiera, sei solo un nerd che piange perché nel film su Harley Quinn compare una sola iena invece che due.

Che schifo i disegni di Frank Quitely eh? Inguardabili proprio.

Per una buona storia di Superman, bisogna recuperare quel senso di meraviglia che su “Infernet” non va di moda, infatti quale Superman piace al momento in cui scrivo? Quello musone, dai colori volutamente non scintillanti e vabbè, portatore di morte e genocidi vari diretto da Zacky Zack Snyder, insomma un adattamento, nemmeno uno dei migliori visto che Snyder è affascinano dall’idea di Superuomo (perché è un po’ fascio, non perché sia nietzschiano) ma in realtà a lui Azzurrone sta anche un po’ sul cazzo, altrimenti non ne farebbe adattamenti tanto ridicoli se avesse davvero capitolo lo spirito che muove Supermam. Cazzo anche il più iconoclasta del pianeta, un vero ribelle come Garth Ennis, ha vinto un Eisner Award raccontando Superman per quello che è, non un super nazi spaziale pompato, ma un immigrato, un esule spaziale innamorato del Paese che lo ha accolto.

Una delle tavole più iconiche di tutta la serie.

La serie “All-Star” della Distinta Concorrenza è nata sull’onda del successo, ma anche come risposta alla linea “Ultimate” della Marvel Comics, originariamente avrebbe dovuto essere un’iniziativa bellicosa, a tappeto, ma in buona sostanza tutto si è risolto con due cicli di storie, il chiacchierato “All-Star Batman e Robin” di Frank Miller e Jim Lee e questo “All-Star Superman” che ha radunato nuovamente insieme una delle coppie più prolifiche del fumetto americano, Grant Morrison ai testi e Frank Quitely ai disegni, già autori di parecchia bella robetta insieme, il ciclo di storie “New X-Men” per la Marvel, ma anche “Flex Mentallo” oppure il bellissimo “We3” o “JLA: Terra 2”, insomma quei due ormai comunicano mentalmente e con Morrison di mezzo, non ci scherzerei su poi tanto.

I travestimenti folli di Jimmy Olsen, qui ritratto come il personaggio spavaldo che era nei primi fumetti dell’Azzurrone, oppure l’eterno amore per Lois Lane, il tutto applicato ad una premessa semplice, un’overdose di radiazioni solari ha mandato in tilt i poteri di Superman, per qualche tempo nulla potrò toccarlo, nemmeno la famigerata Kryptonite verde, ma i suoi giorni ormai sono contati.

Luthor non la prende benissimo passare per un cosplayer di Hannibal Lecter.

Il problema delle storie di super eroi? Raramente alterano lo status quo, il fumetto per sua natura è seriale quindi la trama deve continuare e se un eroe ha il poter per cambiare il mondo, non potrà farlo altrimenti la serie finirebbe. Questo spunto era alla base di una storia rimasta in un cassetto, proprio perché avrebbe cambiato per sempre la percezione di Big Blue, personaggio di punta della Distinta Concorrenza, mi riferisco a “Superman Now”, scritta a più mani da Grant Morrison, Mark Waid e Mark Millar e cassata per direttissima perché come Vasquez, considerata troppo troppa.

Da quella storia mai narrata, i singoli autori hanno pescato parecchio, ad esempio Millar l’ha convertita idealmente nella sua “Superman: Red Son” (che faccio? Ne scrivo?), Morrison invece ha riciclato le idee inutilizzate (come Azzurrone nel sole come in un pezzo di Al Bano) per “All-Star Superman” che nel suo essere una storia fuori dalla continuità e dal canone ufficiale, corre seriamente i rischi di essere la storia definitiva di Big Blue, ad ovest di Che cosa è successo all’Uomo del Domani? di Alan Moore, che Morrison cita apertamente nel finale del suo “All-Star” perché tra i due autori, amore odio, odio amore, mai finito per davvero.

Non manca nemmeno Bizarro, uno dei miei cattivoni di Azzurrone preferito.

«Un pianeta condannato. Due scienziati disperati. Un’ultima speranza. Due anime buone.» con queste parole e quattro vignette, Morrison riassume il passato di Superman, l’abilità di raccontare per immagini del suo compare Frank Quitely poi è micidiale, consapevole di avere ormai poco tempo da vivere, la prima cosa che Superman sceglie di fare è di rivelarsi alla sua amata, come ci racconta tutto questo Quitely? Il classico gesto delle mani portate alla camicia di Clark Kent e la busta della spesa, che un secondo prima era in braccio a Lois Lane che in un attimo finisce a terra, ma fosse la l’unica soluzione geniale messa su da Frank Quitely.

Raccontare per immagini, lo stai facendo bene.

Anche la più criticata scelta narrativa tipica di Supes? Gli occhiali di Clark Kent per nascondere la sua identità, Frank Quitely semplicemente cambiando la postura della schiena del personaggio, ci restituisce un Clark Kent che è un grosso contadinone di Smallville, troppo grosso per gli spazi ristretti di una città come Metropolis, uno che in quegli spazi inciampa, urta qualcuno, scivola ma ogni volta che la sua goffaggine si manifesta, Clark salva comunque qualcuno perché Superman è sempre Superman, anche se si è inventato una camminata a gambe piegate e indossa vestiti troppo larghi che lo fanno sembrare grasso, l’esatto contrario della tuta aderente di Superman.

Superman è sempre Superman, il suo lavoro non ha pause caffè.

Allo stesso modo Morrison porta innovazione ovunque, nel modo di rappresentare Lex Luthor, uno che da una vita sostiene che senza Superman avrebbe cambiato il mondo, ma in realtà si è deciso a mettere in atto il suo piano finale perché quelle odiose rughe sono comparse intorno ai suoi occhi, non a quelli del suo alieno e immortale nemico. Così come Bizarro, che passa dall’essere un clone deforme ad una sorta di invasione degli ultracorpi perché Morrison grazie ad una soluzione semplice ma brillante, fa recuperare a Superman la natura giocosa e lo spirito entusiasta che un personaggio come lui dovrebbe sempre ispirare, ma che risulta anche fondamentale per leggere e scrivere una storia valida su Big Blue.

Gli ultimi giorni sulla Terra di Superman sono l’equivalente fumettistico delle dodici fatiche di Ercole, letteralmente visto che la miniserie, pubblicata a cadenza non periodica tra il 2005 e il 2008 è composta proprio da dodici numeri, uno per ogni nuova “fatica” di Superman.

Come erano rappresentati gli Dèi nei dipinti classici? Seduti sulle nuvole, sereni.

Per scrivere una buona storia di Batman ci vogliono dosi abbondanti di buio, anzi chiedo scusa, di Daaaaaaarkk, per una buona storia di Superman? Ci vuole qualcuno che possa restituire ad un semplice costume di cotone rosso e blu l’entusiasmo e il senso di meraviglia che solo un uomo in grado di volare può darti, non basta dire che Superman è un simbolo di speranza e poi raccontare la sua storia da veri musoni, evitando scientificamente ogni dettaglio fumettistico, temendo che possa essere percepito come ridicolo. Ogni riferimento a fatti, cose o persone è puramente voluto. A dirla tutta nemmeno mettere i Jeans al personaggio aiuta e anche qui, ogni riferimento alla versione New 52 del personaggio, sempre firmata da Morrison, è puramente voluto

Nella vignetta, i fan di Zacky Zack.

Bisogna ricordare a tutti che Superman è davvero un simbolo di speranza e che leggere i fumetti è gioia, non bisognerebbe vergognarsi, neanche di essere grandi, grossi e ben educati. Non è un costume a fare un eroe o i colori a fare un buon fumetto, ma è la sicurezza con cui li maneggi entrambi a scaldare i cuori. Quindi non importa se la storia del Cosplayer di Superman particolarmente calato nel ruolo sia vera o no, citando le parole dell’autore amato e odiato da Morrison, alla fine non lo sono tutte? Quelle che contano sono quelle che sanno dare valore al senso di meraviglia, “All-Star Superman” ci riesce benissimo.

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