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Alla ricerca di Dory (2016): potete anche tenervela, ho trovato Sigourney

La Pixar è sempre stata un specie di Think tank di menti creative, è la normalità che i registi e gli sceneggiatori che compongono la squadra, saltellino da un progetto all’altro, in un flusso continuo di collaborazioni, mi immagino gli uffici della Pixar come un via vai di gente che arriva a tutte le ore, in pantaloncini e maglietta, in un tripudio di scrivanie farcite da pupazzi e pupazzetti vari, come se fosse scoppiata una bomba in un Disney Store.
Andrew Stanton è responsabile di almeno un paio di grossi titoli dello studio, “A Bug’s Life” il film che ha messo la Pixar sulla mappa geografica, ma soprattutto “Alla ricerca di Nemo” (2003) e “WALL•E” (2008). Forte di due titoli del genere il buon Andrea ha tentato il salto dall’animazione alla regia di attori (quasi tutti) in carne ed ossa, il risultato è stato il sottovalutatissimo “John Carter” (2012), un clamoroso flop al botteghino che ha costretto Stanton a ripiegare le ali e a tornare a casina sua, anche per questo il seguito di “Finding Nemo” ci ha messo tutti questi anni a vedere la luce, o meglio il buio, della sala.

Il film originale aveva due difetti: il primo quello di aver fatto impennare le vendite di pesci pagliaccio, regali di Natale per i bambini di tutto il mondo e scaricati dallo sciacquone entro capodanno, vecchia tradizione Disneyana mai finita, citofonare “La carica dei 101” per conferma, ve lo dice uno che ha un macchiazza a pois che si aggira per casa (storia vera).

L’altro difetto, facile: Dory. Il pesce chirurgo con gravi problemi di perdita della memoria a breve termine, aiutante e spalla comica del corrucciato e ansiogeno padre Marlin del primo film. Parliamoci chiaro: Dory presa a piccole dosi è anche simpatica, piace ai bambini, fa ridere, esattamente come Cricchetto di “Cars”, un altro che mi stava simpatico il giusto, che ci volete fare, sono una brutta persona.

Ti capisco Marlin, anche io quando la vedo faccio la stessa faccia.

Esattamente come “Cars 2” (guarda caso un film moscissimo), anche qui la spalla comica si prende il palcoscenico e dopo aver cercato Nemo ora siamo tutti alla ricerca di Dory, o meglio, lei sta cercando i suoi genitori Jenny e Charlie (in originale Diane Keaton e Eugene Levy).

Un piccolo “Click” nel suo cervelletto da pesce smemorino e la nostra Dory ricorda (quasi) tutto dei suoi genitori e si mette in testa di ritrovarli. Il film inizia con la piccola Dory, tutta occhioni e lezioni genitoriali che cerca di convivere con il suo problema mnemonico, peccato che le raccomandazioni servano a poco: Dory si separa dalla sua famiglia, li cerca invano per anni? Mesi? Non so, parecchio tempo anche contando il tempo come fanno i pesci (con le pinne!), trama e protagonista si ricongiungono con Marlin, in quello che è il loro primo incontro come già visto nel film del 2003.

Se non altro, da piccola era un po’ più carina.

Un anno (pesce) dopo aver ritrovato Nemo, sulla base di quei pochi ricordi infantili, Dory tira dentro i due pesci pagliaccio nella sua ricerca, ricorda solo che deve cercare la gemma di Morro Bay in California, parte nella disperata ricerca e mentre viene pescata dai volontari del Marine Life Institute trova… Sigourney Weaver (storia vera!).

La gemma di Morro Bay è un parco acquatico che soccorre i pesci in difficoltà, li cura e li libera nuovamente in mare, nel frattempo gli avventori del parco possono vederli nuotare felici nelle loro vasche, guidati dalla voce registrata di Sigourney Weaver che illustra le bellezze del parco. Non ho idea come gestiranno la gag nella versione doppiata del film, ma considerando che in originale la Weaver doppia se stessa, personalmente l’ho trovato una cosa molto simpatica, anche perché avevo appena finito di rivedermi “Alien” per la [NUMERO IMPOSSIBILE DA QUANTIFICARE] volta poco prima di vedere questo film (storia vera).

«Sigourney arrivo! Sono il tuo ammiratore numero unoooo!»

Uno dei topoi narrativi della Pixar è quello di assistere alle vicende dei protagonisti mentre si ritrovano persi o abbandonati in luoghi più grandi di loro, ad affrontare un’immensa distanza dalla quale potrebbe non esserci più ritorno, la sosta al benzinaio di “Toy Story”, oppure la discarica dei ricordi di Inside Out.

“Alla ricerca di Nemo” portava questo concetto ai massimi termini, il livello di coinvolgimento (totale!) dello spettatore era il frutto della differenza di dimensioni tra il piccolissimo pesce pagliaccio e l’enormità dell’oceano da attraversare, il tutto con Marlin, che si ritrova ad affrontare le sue ansie e le sue certezza, pur di non perdere suo figlio.

Capirete da soli che un parco acquatico non è l’oceano, ma il problema principale è il cambio di protagonista, va bene il discorso sull’accettare se stessi con i propri difetti, bello, giusto, anzi giustissimo, però, in soldoni, da una parte abbiamo Marlin, che fa mille pensieri cercando di far filare tutto liscio e puntualmente finisce in mezzo ai casini, dall’altra Dory, che vive l’attimo, se ne sbatte di tutto tanto tra un secondo si dimenticherà ogni cosa e sistematicamente le va sempre tutto bene, la fortuna degli stronzi, insomma.

A mani (e tentacoli) basse il mio personaggio preferito del film

Siccome come cantavano i Creedence “It ain’t me, I ain’t no fortunate son” faccio un po’ fatica ad immedesimarmi con Dory che, per altro, è identica ad una mia collega di lavoro, problemi di memoria a breve termine compresi (storia vera).

Tutto questo fa di “Alla ricerca di Dory” un film molto ben fatto, divertente, ma molto più leggero, se il primo film posso vederlo anche diciassette volte e ritrovarmi ad urlare “Oddio la figlia del dentista!”, questo seguito pur essendo molto ben fatto (it’s Pixar baby!), è più simpatico che davvero coinvolgente, anche se bisogna dire che Andrew Stanton fa un buonissimo lavoro per quanto riguarda l’uso della memoria della protagonista.

Baby beluga in the deep blue sea

Flashback scatenati da oggetti rivelatori, canzoncine e filastrocche utilizzare come sistemi di memorizzazione e anche il classico modo di fare le cose “alla Dory”, tiene banco per tutta la durata del film, risultato: si ride, perché alla fine tutti i personaggi di contorno si ritrovano a correre (o a nuotare) al passo di Dory, il problema fondamentale è che la ricerca di Nemo era un capolavoro, mentre quella dei genitori di Dory sono una spassosa corsa contro il tempo.

Certo, farcita di personaggi spassosi, questo bisogna dirlo, come i due leoni marini Fluke e Rudder, impegnati a rilassarsi sul loro scoglio (in originale due dei miei preferiti, Idris Elba e Dominic West che si divertono più di tutti), oppure l’inquietante uccellaccio Becky, ma il mio preferito di tutti resta il polpo Hank: burbero, pantofolaio, uno che vorrebbe solo stare tranquillo in quarantena, invece è costretto a scarrozzare Dory anche fuori dall’acqua, facendo tutto il lavoro sporco. Insomma, uno di noi!

Voi li vedete così, ma questi due sono Jimmy “Fuckin” McNulty e Stringer Bell di “The Wire”

Premetto che il polpo è il mio animale marino preferito (specialmente in insalata), ma Hank è un piccolo capolavoro d’animazione che ha richiesto un super lavoro da parte dei ragazzi della Pixar, non solo per animare i suoi sette (uno lo ha perso in un incidente, probabilmente finito in insalata) tentacoli, ma anche per rendere credibili le sue proprietà mimetiche, ennesima prova che l’uomo per scimmiottare quello che è stato creato da madre natura deve ancora sudare dieci camice.

Colpo di genio finale: affidare Hank al lavoro di doppiaggio di Ed O’Neill, perfetto nel rendere la burbera simpatia del celenterato, anche perché O’Neill è uno con una curriculum che levati (ma levati proprio), anche se per assurdo è famoso quasi solo per la sit-com “Sposati… con figli”.

«Ehi io me la ricordo quella sit-com!»

Insomma, se non avete le pretese di assistere ad un altro capolavoro come “Alla ricerca di Nemo” e Dory vi sta molto simpatica, mettetevi comodi, perché il film è molto divertente, tra gli strani versi del Beluga Bailey, la miopia dello squalo balena Destiny (solidarietà sorella squalesca!) e una disperata corsa in camion (storia vera), il film è divertente, anche se senza rovinarvi la visione, la mia scena preferita in assoluto, è quella nelle tubature che mi è sembrata moltissimo una voluta citazione ad Alien, ma forse mi sono fatto influenzare dalla voce di Sigourney Weaver.

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