Il cinema di Robert Zemeckis ha sempre avuto uno sguardo rivolto al passato in maniera intelligente, ma prendiamoci un momento per lanciare uno sguardo indietro alle origini stesse del cinema del buon Bob, brevi, perché la verità è semplice: nessuno lo faceva lavorare.
Quella stramba storia edipica del ragazzino che torna indietro nel tempo e incontra sua madre che se lo vuole fare, scritta a quattro mani con l’altro Bob (Gale), non la voleva nessuno, la regia di “1964 – Allarme a N.Y. arrivano i Beatles!” (1978) sembrava un colpo sparato nella direzione giusta, ma i due Bob si erano fatti essenzialmente la fama di simpaticoni poco seri, due bambinoni non degni di fiducia, ecco perché il divertente “La fantastica sfida” (1980), seppur pieno di battute goliardiche, resta un buon film purtroppo dimenticato se non da noi fanatici di Kurt Russell. Se la strada dell’umorismo non era quella giusta, Zemeckis doveva cambiare direzione, ed è con un film su commissione che il nostro ha potuto diventare il regista che conosciamo oggi, ma prima, questa storia ha bisogna di un altro personaggio chiave: Diane Thomas.
Ogni giorno, prima di iniziare il suo turno come cameriera, Diane Thomas scriveva, picchiava sui tasti nel suo minuscolo monolocale di Malibu, per tutto il periodo compreso tra il 1978 e il 1979 Thomas scriveva per ore ed ore, evocando la storia di Joan Chase, una timida scrittrice di romanzi rosa improvvisamente catapultata in un’avventura tra la vita e la morte, in parte ispirata alla sua stessa creatrice, in parte nello spirito all’unica altra donna del periodo in grado di muovere soldi, la produttrice Lynn Siefert.
La storia della sua eroina, ribattezzata Joan Wilder, finisce nelle mani di un personaggio chiave per questa storia, Michael Douglas al tempo era celebre per il suo ruolo del tenente Mike Stone sul piccolo schermo con “Le strade di San Francisco”, mitico ma pochino per essere figlio di cotanto padre e produttore di cosette come Qualcuno volò sul nido del cuculo e “Sindrome cinese” (1979), anche perché il suo ruolo da protagonista in “Condannato a morte per mancanza di indizi” (1983) era passato quasi inosservato come il bel film di Peter Hyams purtroppo dimenticato. Per ammissione di Douglas, la sceneggiatura di “Romancing the Stone” era la più completa che avesse mai letto, quella che ha aperto le porte di Hollywood a Diane Thomas, finita poi a lavorare spesso con Spielberg e purtroppo a lasciare questa valle di lacrime nel 1985 a soli trentanove anni, quando l’uomo con cui usciva, un giovane attore di nome Stephen Norman, finì per schiantare la Porsche Carrera contro un palo, ironia della sorte, l’auto era stato un regalo del produttore e protagonista Michael Douglas (storia vera).
“All’inseguimento della pietra verde” esce seguendo la scia del grande ritorno dei film d’avventura, quello riportato in auge da I predatori dell’arca perduta, non a caso viene affidato proprio a Robert Zemeckis, amico e compare di bisbocce di Spielberg fin dai tempi di 1941 – Allarme ad Hollywood, non era certo scontato che il film scritto da una che si sosteneva economicamente facendo la cameriera e diretto da uno con il naso ancora dolorante dalla tante portate chiuse in faccia dagli studios fosse un successo garantito, eppure il copione di Thomas e la regia di Zemeckis hanno un’unità di intenti molto chiara, quello sguardo al passato di cui sopra. Letteralmente visto che l’ho messo in apertura al post.
Da uomo di cinema Zemeckis ha in testa titoli classici come “Le miniere di re Salomone” (1950) o “La regina d’Africa” (1951) di John Huston, film pieni di paesaggi esotici, con protagoniste, spesso zitelle, molto fuori dal loro ambiente alle prese con rudi e ruspanti avventurieri, per storie del tipo, ti odio così tanto che quasi quasi m’innamoro che poi è il punto di contatto con il lavoro di Thomas, che da scrittrice che cosa fa? Rende omaggio, ma potremmo proprio dire onore al genere che ancora oggi è il campione assoluto delle classifiche di vendita, il “romance”, la letteratura rosa, che torna da sempre in forme più o meno diverse ma in buona sostanza, con una radice chiarissima di fondo.
“All’inseguimento della pietra verde” è un film d’avventura puro con un elemento “rosa” in bella vista, che da solo è riuscito in svariate imprese, la prima, diventare uno dei maggiori campioni d’incasso degli anni ’80, ottavo posto in classifica in un anno non propriamente da niente come il 1984, quello dove sostanzialmente erano radunate buona parte delle icone che ancora scaldano i cuori del pubblico oggi, non è un caso se questo film ancora oggi viene omaggiato.
Eppure allo stesso tempo “Romancing the Stone” è un film senza grosse storie produttive alle spalle, messa insieme la strana coppia composta da Thomas e Zemeckis, a quel punto bisognava trovare una strana coppia anche davanti alla macchina da presa. Il rude avventuriero Jack T. Colton (perché tutti gli eroi americani si chiamano Jack e John) impersonato da Michael Douglas è un Jack (cosa vi dicevo?) Burton in versione minore che ha comunque messo il figlio del grande Kirk sulla mappa geografica.
Stesso discorso per Kathleen Turner, nome che chi gli anni ’80 li ha vissuti per davvero (e non per sentito dire) ricorda bene, lanciata da “Brivido caldo” (1981) di Lawrence Kasdan qui ha saputo dimostrare di essere perfettamente a suo agio anche in un ruolo da imbranata, mettendo su una gran chimica con il suo compagno, anzi, a dirla tutta anche con l’altro nome che anche grazie a questo film, è diventato un beniamino del pubblico.
Non possiamo dimenticarci di Ralph impersonato da Danny DeVito, ultimo vertice di un trio di nomi tornati in blocco nell’inevitabile seguito (a questo punto… A breve su queste Bare) ma anche in un altro titolo di culto come “La guerra dei Roses” (1989).
Si ride, si corre e coccodrilli permettendo, “All’inseguimento della pietra verde” è un’operazione intelligente che guarda al passato del cinema e della letteratura rosa, senza quell’effetto nostalgia di cui si abusa fin troppo ancora oggi, ma con un po’ si sana ingenuità, anche se lo devo confessare, pur avendolo visto e rivisto milioni di volte in replica televisiva nel corso della mia infanzia, non è uno dei film di Zemeckis che preferisco, per essere un lavoro su commissione non stona minimamente nella filmografia di cui fa parte, ma è un altro culto di un regista già amatissimo, più che altro è stata una grossa scommessa, vinta nel migliore dei modi possibili, perché non solo il film è stato un successo, ma ha permesso a Bob di tornare alla carica con quell’altro suo soggetto, quello sul ragazzino che torna indietro nel tempo e incontra sua madre che se lo vuole fare, ma questa è un’altra storia, per ora, fate gli auguri per i primi quarant’anni di questo film d’avventura.
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