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Allucinazione perversa (1990): siete sulla scala di Giacobbe, in discesa

Per quello che mi riguarda, Adrian Lyne è tra i più grandi misteri della storia della cinematografia mondiale. Avete mai dato un’occhiata alla sua filmografia? Una carriera votata ai film pruriginosi, una specializzazione che gli è rimasta incollata addosso come l’etichetta sul barattolo, cose che succedono se il tuo esordio (in uno strambo Paese a forma di scarpa) si intitola “A donne con gli amici” (1980), per poi passare immediatamente ad un titolo di cul(t)o come “Flashdance” (1983), un film con una colonna sonora che non si dimentica proprio come le curve della bella Jennifer Beals, ma la trama? L’ha riassunta alla perfezione Frankie HI-NRG nel suo libro Faccio la mia cosa: un’operaia si allena per superare un’audizione di ballo, la passa e torna a lavorare in fabbrica.

Tutti i grandi film si meritano una scena in metropolitana (porto avanti la mia stramba teoria)

“9 settimane e ½” (1986)? Altro titoli di cul(t)o dalla trama striminzita reso mitico da un pezzo di Joe Cocker e a costo di sembrare monotematico, da una Kim Basinger da urlo. Vogliamo parlare di “Attrazione fatale”? Il Maestro giustamente lo ha definito il “Brivido nella notte” (1971) degli anni ’80, una robetta al limite della misoginia, figlia del suo tempo e diretta in modo pacchiano, con una Glenn Close più crudele di quando cercava di farsi una pelliccia di Dalmata. Potrei andare avanti ancora a lungo, ma spero sia arrivato il concetto, Adrian Lyne con la sua tecnica da videoclip, per quello che mi riguarda ha diretto tanti film famosi, ma uno solo davvero bello, la mosca bianca della sua filmografia, zavorrato solo da un titolo Italiano criminoso.

“Allucinazione perversa” suona come intitolare Psycho “Lui è sua madre”, ormai è convenzione citare un certo film di Michel Gondry con Jim Carrey come esempio negativo dei bizzarri titoli Italioti, ecco, allora cosa dovremmo dire di “Jacob’s Ladder”? Trasformato in un titolo che non solo rivela troppo, ma strizza l’occhio alle pruriginose attrazioni fatali e alle proposte indecenti che costellano la filmografia di Adrian Lyne? Con buona pace della citazione Biblica o a Bruce Springsteen, che per quello che mi riguardano stanno entrambi sullo stesso livello.

Facciamo che da qui in poi, usiamo solo il titolo originale, quello giusto.

“Jacob’s Ladder” è l’anomalia nella filmografia del suo regista, una mosca bianca che ha avuto una grande influenza su tutto il cinema horror a seguire, una storia con una genesi (per restare in tema Biblico) piuttosto lunga, la sceneggiatura venne scritta da Bruce Joel Rubin già nei primi anni settanta (questo spiega perché il protagonista è un reduce del Vietnam), ma solo dopo che Rubin riuscì a fare il botto con “Ghost” (1990) qualcuno si interessò alla sua sceneggiatura, che finì nelle mani di Lyne, uno che apparentemente non aveva nulla a che spartire con un film così, se non fosse che la sua tecnica di regia invece, era proprio quello di cui questa storia aveva bisogno.

Jacob Singer (Tim Robbins) è colto, laureato in filosofia ma impiegato presso le poste di New York, unico lavoro disponibile per uno come lui, un reduce del Vietnam che i suoi commilitoni un tempo chiamavano “professore” e che ora gli ricompaiono nei suoi incubi, perché il nostro Giacobbe Cantante è perseguitato da visioni infernali che diventano sempre più spaventose. Follia? Disturbo da stress post-traumatico? L’infernale incubo ad occhi aperti di Jacob è un mistero che va ricercato nel suo ultimo giorno da soldato laggiù in Vietnam, dove qualcosa di orribile è accaduto a lui e ai soldati del suo plotone.

«Devo tornare a prendere Bubba!» (… No, devo aver fatto un po’ di confusione)

Che scelta geniale è prendere Tim Robbins per un ruolo così? Democratico fino al midollo, Robbins è un lungagnone con l’aria da bravo ragazzo e lo sguardo sperso e spiritato, che lo rende azzeccato per ruoli eccentrici, oppure da tizio qualunque, finito in una brutta situazione. Dopo i vari “Mister Hula Hoop “ (1994), “Le ali della libertà” (1994) e “Mystic River” (2003), metteteci pure questo film tra le prove più riuscite della carriera di Robbins.

Il film poi è caratterizzato da una serie di facce giuste notevoli, Eriq La Salle e Ving Rhames in due ruoli più piccoli, oppure Macaulay Culkin nei flashback dedicati alla famiglia di Jacob, ma forse il più azzeccato è un rassicurante e angelico (occhiolino-occhiolino) Danny Aiello, il fisioterapista che ogni tanto sistema la sgangherata schiena del protagonista.

«Cinque minuti e trentadue secondi… Swinging on a star?» (cit.)

Sulla trama non aggiungerò altro, ho già dovuto intitolare il post utilizzando il fin troppo rivelatorio titolo Italiano, quindi se non conoscete il film ve lo consiglio caldamente e vi lascio la gioia di sprofondare all’inferno, per 115 minuti insieme a Giacobbe lungo la sua scala (in discesa). Quello che invece mi interessa è il modo in cui la regia di uno come Adrian Lyne, un videoclipparo con l’ossessione per le inquadrature ravvicinate (di solito sul culo di Jennifer Beals) è un gusto piuttosto pacchiano per la composizione, si sia rivelato il migliore dei registi possibili per questo film.

Più vado avanti e più mi convinco che un film dell’orrore, per entrarmi davvero sottopelle, più che spaventare per davvero, debba essere malsano, perché la paura è soggettiva si sa, ma i film horror che mi restano incollati addosso sono quelli che riescono a trascinarmi in posti sporchi e oscuri. “Jacob’s Ladder” ci riesce benissimo, basta guardare la scena di ballo con la ragazza di Giacobbe di nome Jezebel (Elizabeth Peña che interpreta un personaggio con nome Biblico, tanto per ribadire il concetto), quando le vedrete spuntare quella sorta di coda diventerà chiaro che più che un ballo, sia una sorta di Sabba sudaticcio che passa dal sexy al sinistro in un tempo brevissimo e questo film è davvero tutto così.

Cosa state guardando di preciso? La didascalia sta qui sotto!

Dei lampi di orrore caratterizzano la vita di Jacob, un’auto lo insegue e basta uno sguardo veloce al volto deforme del guidatore per trascinare il protagonista (e noi spettatori) giù lungo quella scala, se il finale di “Attrazione fatale”, con quel suo rallenti esagerato e quel modo di sottolineare i singoli dettagli, l’ho sempre trovato davvero pacchiano, qui invece funziona alla perfezione. Se negli altri suoi film Adrian Lyne si soffermava con il montaggio sulle curve delle sue protagoniste, qui ci regala un dettaglio pieno su un elemento orrido, che per mezzo secondo si imprime nella retina dello spettatore creando repulsione, un modo brillante di farci “vedere” le cose come si manifestano davanti allo sguardo sempre più attonito e terrorizzato di Tim Robbins.

Sono l’unico a cui questa scena ricorda un quadro rinascimentale? Si vero?

La scena della vasca da bagno ad esempio, forse il momento più iconico del film la trovo angosciante da morire, sembra che il protagonista venga sepolto vivo in una bara, non dico proprio come accadeva nel bellissimo Il serpente e l’arcobaleno ma quasi. Forse l’unico difetto che riesco ad imputare al film è il classico “momento spiegone”, in cui il mistero del giallo ci viene descritto per filo e per segno con un lungo monologo di un personaggio, nel tentativo di mettere nel mucchio una critica anti-bellica molto sottolineata ma comunque efficace, ma parliamo sicuramente di un difetto minore, perché quando “Jacob’s Ladder” invece di spiegare mostra, risulta davvero efficacissimo.

Non giustifico i No Vax, nemmeno se a fare la punturina fosse questo coso quei.

Con il passare dei minuti diventa impossibile per noi (e per Giacobbe) distinguere realtà e visioni da incubo, e se quel soffermarsi per mezzo secondo su un elemento orrido, ha fatto scuola diventando canonico in tanto cinema Horror arrivato dopo il 1990, l’altra tecnica introdotta da Adrian Lyne è diventato un fondamentale che ancora oggi, molti registi Horror ripetono proprio come lo abbiamo visto in questo film, mi riferisco al mostro che ti piomba addosso, con la capoccia che si muove a super velocità.

Lyne ha girato la scena alla metà della velocità, per poi velocizzarla in post produzione, un trucco semplice, da videoclip se vogliamo, che però è stato utilizzato in centinaia di film Horror, da The Ring a Scream solo per citare due titoli.

Alla Konami cominciano a prendere appunti.

Ma il contributo di “Jacob’s Ladder” non si è limitato ai film, io non sono un vidogiocatore, ma persino io so che la saga videoludica di “Silent Hill” ha pescato a piene mani dall’estetica creata da Adrian Lyne per questo film, vi basterà guardare la rugginosa scena dell’ospedale per vedere quello che Christophe Gans è riuscito a portare al cinema solo nel 2006.

L’oscura bellezza di “Jacob’s Ladder” sta nel suo essere una storia disperata, esattamente come la volontà di non cedere all’inevitabile del protagonista, per certi versi tutto il film è un disperato tentativo di non precipitare nel baratro, questo spiega anche perché, costato 25 milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, il film andò appena in pari, in un’annata come quella del 1990 piena di titoli incredibili, chiuse al quarantasettesimo posto. 47, morto che parla, molto appropriato direi.

Eppure “Jacob’s Ladder” ha dato una bella spallata all’immaginario collettivo, quindi ci tenevo a ricordarlo per i suoi primi trent’anni, anche perché resta la mosca bianca all’interno della filmografia di cui fa parte, a mani basse il miglior film di Adrian Lyne, un film di culto vero, in mezzo a tanti film di cul(t)o.

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