Vi chiedo immediatamente perdono, perché davanti all’occasione di festeggiare il compleanno di questo film, non potevo che esordire con la migliore citazione mai fatta su Amadeus, tanto vale spararla dritta nel titolo del post. Anche se procedendo di citazione in citazione, considerando il peso specifico del titolo del giorno, ne faccio subito un’altra a tema… Una sfida!
I titoli di testa “Peter Shaffer’s Amadeus” mettono in chiaro l’origine, un’opera teatrale del 1979, liberamente ispirata alla storia di Wolfgang Amadeus Mozart, molto liberamente ispirata, visto che il cuore della trama è la rivalità tra il giovane compositore e il suo principale estimatore, Antonio Salieri, una faida unilaterale che in realtà non ha vere radici storiche, inventata dall’autore russo Alexander Pushkin nella sua opera del 1830 intitolata “Mozart e Salieri”, portata in scena da Nikolai Rimsky-Korsakov nel 1897. Gli intenti dichiarati di Shaffer, non sono mai stati quelli di scrivere un’opera basata sul realismo, a distanza di anni, Salieri è ancora quello da cui veniva messo in guardia Jack Slater, perché a rendere popolare un’opera teatrale replicata centinaia di volte a teatro, in una versione anche diretta per il palco da Roman Polański, oppure interpretata da Ian McKellen e Tim Curry nei ruoli principali, ci ha pensato il grande regista cecoslovacco Miloš Forman.
Curriculum impeccabile, Forman arrivava dai suoi titoli migliori, Qualcuno volò sul nido del cuculo e Hair, subito dopo avrebbe sfornato il sottovalutato “Valmont” (1989) e con la storia del geniale Wolfgang, ha trovato un altro personaggio in sfida aperta con il sistema, l’ennesimo ribelle pronto a fare a testate con tutti, il vero filo rosso della filmografia di Forman.
L’opera teatrale di Peter Shaffer iniziava con una confessione di Salieri, che chiamava a sé i fantasmi del suo passato (e gli spettatori in sala), una platea di testimoni del suo peggiore crimine, quello contro Dio, responsabile di aver scelto come suo rappresentante non il timorato Salieri, ma il talento naturale di Mozart. Shaffer a teatro raggiungeva l’apice con il suicidio del compositore italiano, il suo taglio della gola era la fine della confessione del penitente, Miloš Forman, da grande uomo di cinema fa una scelta narrativa diversa, portato in barella sotto la neve nella sequenza iniziale, i famigerati primi cinque minuti di un film, che qui non solo danno il ritmo al film ma anche un senso di circolarità, visto che la lunga confessione cinematografica di Salieri, inizia e termina con il suo tentato suicidio, ancora più efficace nel riassumere le motiviazioni di questo “supercattivo” per me, resta la scena successiva.
Ricoverato, al giovane prete Salieri dopo aver confessato di aver studiato musica e Vienna e di essere stato un gran compositore accenna un motivetto, mai sentito mi dispiace, ma quando fa la stessa cosa con un pezzo di Mozart, ecco riassunta la distanza (e il lascito) tra i due rivali e se questa scena è micidiale del suo mettere in chiaro l’invidia di Salieri, quelle immediatamente successive fanno anche meglio.
Una cosa che mi piace di “Amadeus” è… Tutto (quasi-cit.), ad esempio il film di Miloš Forman tiene conto della difficoltà di riconoscere qualcuno dal vivo, dopo averne sempre e solo sentito parlare, senza poterlo andare a cercare sui Social-cosi prima (lo fate anche voi, non fate i santarellini), quindi se Mozart saluta un conte qualunque scambiandolo per l’imperatore Giuseppe II (forse non aveva riconosciuto nemmeno Jeffrey Jones che lo interpreta), allo stesso modo Salieri al suo primo incontro con il tanto decantato Wolfgang Amadeus Mozart, il ragazzo prodigio che si esibiva davanti a tutte le grandi corti d’Europa fin da bambino, si trova davanti un satiro che fa il “motoscafo” sfruttando la moda dei busti femminili, nemmeno fosse Re Mel Brooks e snocciola parolacce pronunciate al contrario. Se con una grande apertura Forman ci fa capire l’invidia di Salieri, con un’altra subito dopo mette in chiaro il suo disgusto che diventa una lotta, una sfida per mettere in discussione l’operato di Dio, che per un uomo di Fede come lui, è un tormento: come può musica così divina uscire da un tale laido del genere che quel talento nemmeno se lo merita? E qui veniamo al punto.
“Amadeus” è una storia vecchia come il mondo, a me piace riassumerla come il secchione contro il Quaterback, l’accademico contro il genio puro, quello che si applica, studia e con tutto il suo impegno raggiunge risultati, opposto e a quello che apparentemente senza fare nulla, non solo lo batte in termini di risultati sul suo stesso campo, ma risulta anche simpatico e viene idolatrato. Vista la mia antica e mai sopita predilezione per i cattivi, “Amadeus” da questo punto di vista è il punto di vista su una personalità celebre (e celebrata) raccontato dal lato di chi poteva entrare nella storia, ma lo ha fatto come secondo classificato, rosicando non poco. Foreman e Alì, Von Doom e Reed Richards, tutta quella roba lì, raccontata in un Classido capace di portarsi a casa otto premi Oscar, pescando a mani basse tra le categorie principali e quelle “secondarie”, ma soprattutto consacrando la carriera di F. Murray Abraham.
Alla sua uscita, il 19 settembre del 1984, il film di Forman fu un successo immediato di critica e pubblico, un trionfo del cinema, quindi un media che non ha il dovere di essere realistico, che ha fatto sembrare stantie tutte quelle biografie finte come una moneta da tre Euro, perché “Amadeus”, non è solo il titolo responsabile del nome d’arte di un celebre presentatore italiano con il nasone, per fortuna ha lasciato qualcosa di ben più significativo alla cultura popolare e qui potrei fare nuovamente la citazione, ma da questo punto di vista, direi che ho già dato.
“Amadeus” parte come la confessione di Salieri ma riesce pian piano a dare sempre più spazio al titolare, impersonato alla perfezione da Tom Hulce, attore voluto fortemente da Foreman che ha battuto anche la concorrenza del più quotato per la parte Mark Hamill, forse l’unico al mondo che sarebbe riuscito a rendere ancora più urticante e da pazzo la risata di Mozart. A completare il cast principale invece ci ha pensato il legamento di Meg Tilly, che si strappò poche settimane prima dell’inizio delle riprese, costringendo Forman ad un cambio in stile cestistico, con la debuttante Elizabeth Berridge (storia vera).
Ogni scena di questo film è accompagnata da una scelta di capolavori mozartiani, che includono anche intere scene tratte dalle sue opere, come ad esempio “Il ratto dal serraglio”, “Le nozze di Figaro”, “Don Giovanni” e “Il flauto magico” fino al “Requiem”, esistono due montaggi firmati da Forman, il primo quello a cui sono più legato da 160 minuti e la “Director’s cut” da 180, bella eh? Ma che inevitabilmente allunga un po’ il brodo, al massimo ve la consiglio per una visione numero due o tre, di pancia e di cuore, vi direi di puntare al primo montaggio: non un tempo morto, non un momento di stanca, ogni scena, ogni aggiunta, anche le parti dedicate al padre di Mozart scavano alla perfezione nei personaggi.
Un crescendo che va di pari passo con lo sprofondare dei due “duellanti”, Milos Forman ha sempre saputo dirigere grandi finali, anche in musica, ma credo che quello di questo film, sulle note del confutatis maledictis, sia uno dei punti più alti, di “Amedeus” senza ombra di dubbio e forse della produzione di Forman tutta.
Il problema davanti ad un film così è darlo per scontato, considerarlo una roba da cinefili parrucconi, magari facendosi distrarre dall’abbondanza di beh, parrucche. Eppure il racconto dell’uomo, il pensatore libero che sfida il sistema, qui è raccontato ancora una volta alla perfezione da Forman, che in fuga dal regime Sovietico aveva il tema leggerissimamente a cuore, ma è il modo di ribaltare la prospettiva, l’attrazione e l’invidia di chi non è stato benedetto dal dono del talento in un modo originalissimo e volutamente non storicamente accurato per raccontare una beh, storia vera, tradendola del tutto, ma ponendo il cinema al primo posto.
Quando un Autore ha il fegato di fare vera narrativa (quindi finta per definizione) senza spacciarla per verità assoluta, si corre il rischio di assistere a film in grado di fare la storia, come questo, perciò Auguri Amadeus ed ora, un po’ di musica quasi a tema.
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