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Andor – Stagione 1 (2022): questa è una ribellione, vero? Quindi mi ribello

La proliferazione di serie dedicate al mondo di Guerre Stellari invece di portare stabilità nella galassia dei fan, sembra non faccia altro che gettare cibo agli squali. Si sa, ognuno ha il suo barometro della “Starwarsitudine” (credo di aver inventato una parola), succede sempre con un universo di storie e personaggi così vasto.

Ognuno di noi è
consapevole di quello che vorrebbe sempre trovare (o non trovare) in un
prodotto a marchio Star Wars, io ad esempio di una serie su Cassian Andor non
sapevo bene che farmene, anche perché parliamoci chiaro, il personaggio sembrava
aver consumato tutte le sue ragioni d’essere in Rogue One. Capisco che
ogni elemento, personaggio sullo sfondo o suono di libreria legato all’universo
creato da George Lucas sia diventato leggendario e parte della cultura
popolare, ma forse non è obbligatorio fare una serie tv su TUTTI i
personaggi di “Star Wars”, anche se Disney+ è la vetrina perfetta per farlo.
Quando lo vedrete non riuscitete a pensare ad altro.
Quando manca ad una
serie sulle origini della Cantina Band che suonava a Tatooine? Con i
protagonisti intenti a radunare “LA BANDA!!” (cit.) e magari perché no, una
biografia sul fonico in mutande rosa sul set del film del 1977? Inoltre
aggiungo un dettaglio chiave: per me la buona riuscita di Rogue One la
dobbiamo più alla regia di Gareth Edwards, che alle scene aggiuntive di Tony
Gilroy, che per un attimo si è ritrovato a capo del confusionario progetto,
prima che venisse riassegnato nuovamente ad Edwards, che giustamente dopo il
trattamento ricevuto da Kathleen Kennedy, con la serie tv “Andor” non ha voluto
avere niente a cui spartire.
Se dovessero spuntare su Disney+ cara casa del topo, sappi che voglio la mia percentuale, ok?
Sul libro paga della
Disney è rimasto quindi Tony Gilroy, che ha fatto di “Andor” il suo progetto
quasi personale, con un approccio che nelle prime tre puntate – non a caso
messe a disposizione su Disney+ tutte insieme in un solo blocco, per poi passare
al formato di un episodio a settimana – mi
ha decisamente spiazzato.

La storia segue la
formazione della spia ribelle Cassian Andor (Diego Luna) durante gli anni della
formazione dell’Alleanza Ribelle, i primi tre episodi, oltre a soffrire di
lungaggini infinite (il problema di TUTTE le serie tv contemporanea) di fatto
sono un’unica lunga puntata che parla di un ribelle in stile Billy the Kid che si
mette nei casini con la legge, uno che “Shot first” (cit.) e che anche per
questo viene avvicinato da Luthen Rael, uno con un piede della ribellione e l’altro
nei salotti bene di Coruscant, perché come ci insegna la storia e come ha ben
riassunto Leone, la ribellione la fanno i poveracci ma anche “quelli che
leggono i libri” per dirla nella immortali parole di Juan. Il fatto poi
che Rael sia fatto a forma di Stellan Skarsgård aiuta, perché l’attore di
origini svedesi qui caccia fuori una prova tutta di carisma con cui buca lo
schermo a ripetizione più e più volte, in certi momenti se sono arrivato alla
fine dei singoli episodi è stato solo godendomi la sua ottima prova.

Visto che tanti sostengono che Dune fosse una brutta copia di Star Wars (gulp!), Stellan li ha fregati tutti.
Mentre mi sono
ritrovato spesso a chiedermi se non fosse stata migliore una biografia sul sul
fonico in mutande rosa, devo anche dire che tra la noia e il ritmo soporifero
di “Andor”, continuavo a trovare elementi che ‘de panza, mi colpivano molto. Alcuni
echi Western, seppure meno spudorati che altrove, mi hanno lasciato
annoiato ma con sentimenti contrastanti.

Perché parliamoci
chiaro, in “Andor” non ci sono eroi, a dirla tutta manca anche quel PING PEUNG!
Di folgoratore che abbiamo sempre pensato fosse tra i fondamenti del successo
di “Star Wars”. Parliamo di una serie in cui per un po’ il cattivo è un burocrate
Imperiale vestito di blu (quindi un blurocrate? Ah-ah) di nome Syril Karn ed interpretato
con il giusto vuoto nel cuore da Kyle Soller. Un personaggio che rappresenta il
lato più grigio e tetro di un Impero che è sicuramente composto da Stormtrooper sul campo, ma anche da chi ordina loro i ricambi per le armature d’assalto e allora
capisci che “Andor”, sembra uscito da una delle elucubrazioni di Randal Graves.

Foto a caso di Diego Luna che so avere molti estimatori.
Avete presente il
monologo di Clerks no? Quello sul fatto che i militanti di sinistra
Ribelli, facendo esplodere la Morte Nera, abbiano sterminato anche operai,
installatori di cessi, allarmi e impianti di riscaldamento che con l’Impero non
avevamo molto a cui spartire no? Quando digerisci il fatto che il corpo dei burocrati
Imperiali, non è la risposta di “Star Wars” a “Futurama”, allora diventa chiaro
che Tony Gilroy abbia voluto utilizzare il canone di “Guerre Stellari” per
provare a raccontare quella galassia lontana lontana, da un punto di vista
diverso.

Se non ci sono eroi
in “Andor”, non ci sono nemmeno veri cattivi, Tony Gilroy ha provato a sporcare
quella dicotomia tra eroi buoni e vestiti di bianco (Luke Skywalker)
contro cattivi vestiti di nero (Darth Vader) che era alla base di una favola
che un po’ quelle carte già le sparigliava, visto che Luke finiva vestito di
nero e Darth Vader alla fine, si scopriva essere il vero protagonista della storia.
Ecco quindi che Kyle Soller si ritrova ad interpretare uno che sul lavoro vuole
far tornare tutti i conti, riducendo la ribellione ad una pratica da archiviare,
con una ferocia sempre sotto pelle, che nasconde il vuoto interiore che si
porta dentro e che Tony Gilroy ci racconta con dovizia di dettagli, a volte (spesso!)
ammorbandoci con un ritmo al limite del sonnolento, ma che in una storia senza
eroi è quello più realistico.

Per certi versi possiamo dire che “Futurama” aveva previsto anche loro.
Proprio come la
missione in cui si ritrova Cassian, niente di eclatante come rubare i piani
della Morte Nera (non ancora almeno), ma ripulire l’Impero degli
stipendi per fiaccarlo, colpendolo ai fianchi. Una rapina anti eroica che
richiede cinque puntate per essere preparata ed una per esplodere in tutta la
sua sparacchiante potente (1×06 – L’occhio), dove finalmente arriva un po’ di
azione ma anche qui, lontana dal solito esaltante PING PEUNG! A cui Star Wars
ci ha abituati per anni. Ed è qui che ad un certo punto, ho capito il gioco
messo su da Tony Gilroy.

Se da una parte
porta avanti la lunga trama su Coruscant, con Mon Mothma (Genevieve O’Rielly)
che non è ancora la leader carismatica di
Episodio IV, una lenta (lentissima!) costruzione dei personaggi che è la parte
più difficile da digerire di “Andor”. Quella più riuscita? Tony Gilroy utilizza
la scusa di un po’ di guerre stellari per portare sul piccolo schermo tante
dinamiche e situazioni tipiche dei film di genere americani, specialmente degli
anni ’70.

«Ho un cugino che installa gabinetti, dicono che l’Impero paghi bene. A saperlo sarei andato a lavorare con lui»
Dopo l’inizio quasi Western
con echi di Billy the Kid, si passa ad un dramma bellico, con Andor e l’Impero,
dove una volta avremmo trovato Lee Marvin e i suoi intenti a colpire i
Nazisti. Per poi cambiare ancora pelle trasformandosi in una storia di
evasione, non proprio come quelle con Clint ma quasi. Il problema
principale oltre al ritmo più che soporifero? Come Tony Gilroy fa passare Andor
da soldato in lotta con l’Impero a prigioniero, il finale dell’episodio 1×07 (La
mano dell’Impero), dovrebbe essere un colpo di Karma negativo per il
protagonista, il fato che ci mette la coda, ma ricorda anche un po’ troppo una trovata frettolosa di sceneggiatura.

Sta di fatto che serve a far cominciare l’ideale seconda parte della serie, una sorta di 2013 – La fortezza
senza gli stupri e i prigionieri fatti esplodere dall’interno con cariche
esplosive nei loro stomaci, ma con il personaggio di Andy Serkis che fa il
verso a Homer banditore, cantando le lodi del tavolo cinque. A suo modo sembra il
classico schiavo assoggettato alla sua condizione, averlo affidato a Serkis non fa che
sottolineare la volontà di “Andor” di volare basso con l’aspirazione per i
propri personaggi, passati da Imperatori galattici in CGI a mesti
prigionieri collaborazionisti, con però molto più orgoglio.

A volte uno si dimentica quanto sia bravo a recitare, senza tutti quei sensori per il MOCAP appiccicati in faccia.
Se riesci a capire
il gioco messo su da Tony Gilroy alla fine fila tutto e ti rendi conto che l’unico
eroe in senso classico di “Andor” è Maarva Carassi Andor, un’anziana che non ha
una spada laser ma ha resistito tutta la vita ed ad interpretarla (in maniera
molto ispirata) troviamo Fiona Shaw, una che per tutta la carriera è stata
celebre più che altro per ruoli da cattiva, giusto per ribadire che in questa
serie non ci sono cavalieri in bianca armatura.
L’eroina che nemmeno ci meritiamo, ma proprio l’unica che abbiamo e basta.
Difetti? Il ritmo,
da quello non si scappa, l’ho ribadito volutamente tante volte, ma tirando le somme è davvero l’unico problema grave di “Andor”. Ormai patisco il minutaggio infinito di cui dispongono le serie, anche se mi
rendo conto che qui sia stato utilizzato per caratterizzare personaggi che sono
ben più sfaccettati, anche se la questione forse si trova a monte e per analizzarla,
dobbiamo risalire alla fonte.

Ha senso raccontare in modo realistico un universo che di base era una favola piena di PING PEUNG e navi spaziali? Non
si corre il rischio di finire come Randal a scervellarci su elementi
troppo realistici, quelli di cui di norma una favola non è sempre tenuta a
rendere conto? Usare il marchio “Star Wars” per vendere al pubblico un Western,
un film di guerra o uno di evasione ha senso, visto che Lucas ai tempi partì da
veri filmati di combattimenti aerei della seconda guerra mondiale per renderli
fantastici scontri tra navi stellari al cinema?

Sembra un droide, invece è il Karma negativo del protagonista con le gambe.
Dopo aver
trasformato in favola elementi realistici, il percorso contrario nel 2022 può
funzionare? Piacerà ai fan? Sulla prima domanda posso dire che ha quasi
funzionato al netto delle lungaggini, sulla seconda come sostenevo in apertura,
ognuno ha il suo barometro della “Starwarsitudine”, quindi molti hanno bollato “Andor”
come una ciofeca e altri come la migliore delle serie di “Star Wars”.

Di mio nel giudizio sono
ancora a metà strada, non sentivo il bisogno di una serie su Cassian Andor ma
ho capito il tuo gioco Tony Gilroy, considerando che siamo stati privati di una
delle migliori “Frasi maschie” della storia di “Star Wars”, presente nel primo
trailer di Rogue One e poi malamente tagliata, io riprendo quella citazione: non esiste un solo modo per raccontare una storia che è nata da
basi popolari e assorta a dominio pubblico, bisogna ribellarsi ad pensiero comune
per cui le storie vadano raccontate solo e per forza come vogliono i fan, «This
is a rebellion isn’t it?… I rebel.»

 
Ed ora fatemi un applauso, un intero post su Andor senza fare battute sugli Andoriani di Star Trek o senza cantare Andor vai se la banana non ce l’hai. Me lo sono meritato no? Voi invece vi siete meritatati la rubrica della Bara dedicata a Star Wars.
 
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