uno strambo Paese a forma di scarpa avrebbero quasi potuto decidere di
intitolarlo: lo strano caso del dottor cinema e del signor Netflix.
L’ultima fatica di Alex Garland era tra i titoli
più attesi del 2018, ma dopo i primi test di prova pare che la pellicola sia
stata considerata fin troppo intellettuale per il grande pubblico, questione
che potrebbe essere approfondita, ma qui alla Bara Volante si parla di cinema,
quindi limitiamoci a quello, per ora.
per il mercato europeo temendo un disastro al botteghino (storia vera), a
beneficiarne sono stati fondamentalmente in due: prima di tutti, Netflix, la
celeberrima piattaforma di streaming che è sempre alla ricerca di una
credibilità anche per i film (con risultati spesso così così) ha potuto sbattere
Natalie Portman sul suo paginone
fregiandosi di questa ottima presa. Secondo beneficiario di questa soluzione?
La mia pigrizia, vuoi mettere la comodità di avere Natalina Portuale a portata
di “Play”, invece che uscire di casa, andare al cinema, fare la fila. Oh, gente:
la pigrizia è un lusso di questi tempi!
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“Niente più fila per i biglietti, ti mettono sul paginone e tutti ti guardano” , “Parli di Netflix o di Playboy?”. |
Eppure, questa stramba distribuzione porta con sé vantaggi e
svantaggi, perché “Annihilation” penso che verrà visto da molte più persone
di quante sarebbero davvero andate in sala per godersi il film, eppure, allo
stesso tempo, questo potrebbe essere anche uno svantaggio, un po’ perché anche
se il film di Garland strizza spesso l’occhio a tanti popolari classici della
fantascienza, come Alien o La Cosa, non somiglia per davvero a
nessuno dei due, il che potrebbe far storcere più di un naso.
limiti di produzione anche piuttosto evidenti, il budget di 50 milioni di ex
presidenti defunti stampanti su carta messi a disposizione dalla Paramount sono
evidentemente pochini per le ambizioni del film, il risultato è che sembra di
guardare una puntata di Lost diretta
da Tarkovskij quando va bene, oppure “Stalker” (1979) in versione lussuosa, ma
televisiva, nei momenti in cui va peggio, insomma alti e bassi.
di più di Ex Machina. Se la
precedente regia di Alex Garland nella messa in scena strizzava l’occhio a
Stanley Kubrick, qui è chiaro che il modello di riferimento sia proprio quel
capolavorone di “Stalker”, per questo posso dire che “Annihilation” è
molto più nelle mie corde, ma solo perché ho un’insana passione per il film di Andrej
Tarkovskij. Somiglianza che ho voluto sottolineare nel titolo del post, per cui
devo ringraziare uno dei miei lettori per l’assist (Ciao Enrico!).
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Da grande voglio fare il |
Bisogna anche dire che la responsabilità della somiglianza
con “Stalker” va divisa, perché “Annihilation” è tratto dal romanzo omonimo di Jeff
VanderMeer, prima parte della “Trilogia dell’Area X” composta da ben tre
capitoli (lo avreste mai detto?): “Annientamento”, “Autorità” ed “Accettazione”. Titoli che sono anche un bell’indizio per provare a decrittare un film che
volutamente lascia lo spettatore con più domande di quelle che forse il
pubblico generalista di Netflix (e la mia pigrizia) avrebbero gradito.
Maestro ripassa a trovarci. Un meteorite precipita sulla Terra il punto
d’impatto diventa una zona disastrata messa in quarantena dal governo e
ribattezzata “Area X” (fate ciao ciao con la manina alla “Zona” di Tarkovskij),
una bolla di energia permeabile che muta ogni forma di vita al suo interno,
delle squadre di militare mandati in esplorazione, non è tornato nessuno, o
meglio uno si, Kane (ve l’ho detto che si strizzava l’occhio ad Alien no?), interpretato dal sempre
bravo Oscar Isaac, ormai attore feticcio di Alex Garland.
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“È adesso che faccio il monologo del colonnello Kurtz?”. |
Problema: Kane non è proprio lo stesso, sua moglie la
biologa Lena (Natalie Portman) se ne accorge subito, anche se come Garland ci
spiega nei vari flashback che intervallano l’esplorazione della Zona
Area X, tra moglie e marito il rapporto è andato un pochettino a sud. Nel
tentativo di capire cos’è successo a suo marito e di trovare una cura alla sua
malattia, Lena si unisce alla nuova squadra spedita in esplorazione, questa volta
composta da sole donne, ognuna a suo modo senza più niente da perdere, quindi
motivate ad andare a fondo di questo strano mistero. Direi che il paragone con Tarkovskij
ci sta no? Ah, ve lo dico per sicurezza: da qui in poi moderati SPOILER!
sceneggiatore (“28 giorni dopo” del 2001) con una spiccata predilezione per i
soggetti fantascientifici che siano essi tratti da romanzi come “Non
lasciarmi” (2010) o da fumetti come Dredd. Questo, però, non vuol dire che da
scrittore prestato al cinema, non sappia quando è il caso rimaneggiare il
materiale originale, motivo per cui “Annientamento” non è un adattamento pagina
per pagina del romanzo di Jeff VanderMeer. Garland sostituisce l’infezione
della parola presente nel libro, con qualcosa di più adatto ad una narrazione
visiva tipica del cinema, le cellule cancerogene mutanti, il cui funzionamento
ci viene illustrato da Natalie Portman in versione “Esploriamo il corpo umano”.
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“Sei una biologa? Toh! ‘chiappa il mitra e vai a biologare”. |
Quello che viene sacrificato dalla narrazione è il passato
delle compagne di viaggio di Lena, le tre donne sono appena abbozzate, è chiaro
che ognuna di loro ha dei trascorsi (anche violenti) che le rendono personaggi
senza più nulla da perdere, la capacità di restare impresse nello spettatore, è
direttamente proporzionale al talento delle attici che le interpretano, si va
dal fanalino di coda Gina Rodriguez, alla appena un po’ più efficace Tessa Thompson, per terminare con
l’imprendibile Jennifer Jason Leigh
che riesce a prendersi spesso il proscenio grazie ad un monologo chiave, quasi
al limite dello sciamanico, in cui ci illustra la sua teoria
sull’autodistruzione, insita in ognuno di noi, che ha anche il compito di
giustificare il titolo del film.
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“Hannibal” Jason Leigh, “P.E.” Portman, Sberla, Murdock e l’ultima credo sia Tanya Baker. |
L’idea di raccontare il passato della coppia composta dalla
Portman e da Oscar Isaac attraverso i flashback paga i suoi dividendi, di fatto,
Lena e Kane come coppia sono già stati annientati, perché Garland avrà pure
riempito il suo film di strizzate d’occhio a tanti classici della fantascienza,
ma è chiaro che il suo intento sia quello di utilizzare il genere per fare
metafora dell’animo umano. In un certo senso, “Annihilation” è un film sul
cambiamento, sulla capacità di adattarsi ad esso e in qualche modo a crescere.
apre e si chiude con Natalie Portman interrogata dai tizi in tuta, le scene
chiavi tra Lena e suo marito prevedono un bicchiere pieno d’acqua, quello che
all’inizio riflette le loro dita che s’intrecciano sul tavolo della cucina,
sottolineando anche visivamente come Kane sia stato trasformato dal suo viaggio
nell’Area X ed è proprio un bicchiere quasi identico quello che vede Lena nel
finale, prima di riabbracciare suo marito, oppure quello che Bruce Springsteen
avrebbe definito “Brilliant disguise”, un ottimo travestimento. I due
personaggi nel finale si ritrovano, cambiati e pronti ad accettare l’altrui
cambiamento, come si vede dagli occhi, in un finale che qualcosa di
Carpenteriano lo ha… Ve lo avevo detto che il Maestro sarebbe tornato in questo
post, no?
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“Mi dai un bicchiere d’acqua, gli spiegoni di Cassidy mi mettono sete”. |
La circolarità è suggerita anche dal tatuaggio
sull’avambraccio di Lena, il classico “8” simbolo dell’infinito, ma il viaggio
di crescita dei personaggi prevede che prima si spingano nel “Cuore di tenebra”
dell’Area X, mossi da quello spirito di autodistruzione di cui parla Jennifer
Jason Leigh. La creatura che incontra e si scontra con Licia Lena nel
finale, oltre ad essere piuttosto efficace nella messa in scena (la pelle color
petrolio è una scelta visiva molto efficace) pare incarnare proprio questo,
prima cerca di replicare Lena in tutto e per tutto, anche nella sua
autodistruzione (motivo per cui non reagisce in alcun modo alla bomba al
fosforo), più che un Incontro ravvicinato del terzo tipo pare la conferma che la capacità umana di adattarsi (anche
alle parti peggiori della vita) sia anche quella che ci permette di sopravvivere
ed andare avanti.
interpretazioni, quindi in base al vostro gusto personale potrete provare a scervellarvi
in cerca di una risposta, oppure arroccarvi dietro ad un «Non si capisce
niente!», questo sta ai vostri gusti, io posso portarvi giusto un’altra
motivazione a favore del film, eccola che arriva!
mie corde sono le gustose pennellate Horror sparse qua e là, l’Area X muta la
flora e la fauna in essa contenuta, quindi si parte piano con un enorme
coccodrillo albino, per arrivare a nuove forme di vita meno violente, tipo i
cerbiatti che devono qualcosa alle creature inventate da Hayao Miyazaki, anche
se l’apice assoluto resta il ritrovamento della memory card con il video della
precedente spedizione, la scena delle budella è un momento di sanguigno body
horror capace di tirarti dentro alla storia. Perché da qui in poi il gruppo di
protagoniste si spezza e la paranoia inizia a serpeggiare, altra dinamica
presa di peso dai film dell’orrore, ma proprio con tutte le scarpe.
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“Scusi bipede, è mica passata la principessa Mononoke di qui? Ci siamo persi”. |
Il problema, forse, è la messa in scena, la
realizzazione delle mutazioni apportate dall’Area X agli interni è ottima, dà l’idea
di un virus pronto a diffondersi, anche la bella fotografia di Rob Hardy fa
venire voglia di mordersi le nocche per non avere avuto la possibilità di
godersi questo spettacolo visivo su uno schermo gigantesco. Menzione speciale per le musiche: il tema principale intitolato “The mark”, una specie di
basso tuba moderato in chiave elettronica, rende alla perfezione l’idea di
addentrarsi in un territorio inesplorato e del tutto alieno.
boscaglia esterna, girare tutto in altissima risoluzione è un’arma a doppio
taglio per Alex Garland ed è qui che i 50 milioncini di ex presidenti spirati
stampati su carta verde si rivelano pochi e le ambizioni di diventare un Andrej
Tarkovskij 2.0 sbattono il naso contro la realtà di effetti digitali non all’altezza,
spiego!
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Alla voce: Ambizioni altissime. |
Il coccodrillone sarà pure figo, ma vederlo muoversi animato
da CGI così così, in pieno giorno, sullo sfondo di una boscaglia ad altissima
risoluzione che di alieno ha davvero poco, crea uno spaventoso effetto Asylum che non gioca a favore delle
ambizioni di Garland, funziona meglio quella specie di muflone mutante che, non
a caso, compare in una scena buia e girata in interni, dettagli che si notano
sul piccolo schermo di casa e che fanno moderare quella voglia di mordersi le
nocche di cui parlavo là sopra. E’ un attimo passare da “Stalker” a fumo nero di
Lost senza passare dal via.
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“Ah c’è una carietta qui eh? Ma il filo interdentale lo usa?”. |
Posso dire che “Annientamento” me lo sono sparato comodo
comodo sul divano di casa al primo giorno di programmazione (se così possiamo
chiamarla) su Netflix, ma è chiaro che la celebre piattaforma di streaming stia
cambiando il modo di usufruire e forse anche di giudicare i film, lo avrei
apprezzato di più o di meno se lo avessi visto in sala? Per ora non lo so, ma
trovo significativo che la Warner Bros abbia puntato sulla fantascienza
citazionista e ambiziosa che si fa metafora della vita di Arrival, mentre la Paramount non si sia fidata nemmeno di potersi
giocare Natalie Portman in locandina, in ogni caso il cambiamento è in atto, siamo
entrati nell’Area X della distribuzione cinematografica.