Penso ci siano due modi possibili per approcciarsi da “Apostolo”
il primo: “Minchia su Netflix c’è il film nuovo di Gareth Evans regista di
quello stra-mega-capolavoro di “The Raid” (2011) devo vederlo tipo IERI!” (musica
Heavy Metal in sottofondo). Il secondo modo, invece, è questo: “Cosa sarà questa
nuova proposta del popolare canale di streaming?” (musica da camera in
sottofondo). Ve lo dico subito: anche se è quello che sento a me più affine, il
primo modo, è quello sbagliato.
Per i due che avessero passato gli ultimi quindici anni in una
caverna su Marte. Gareth Evans è un Gallese che ha pensato bene di andare a
rivoluzionare il cinema action contemporaneo trasferendosi in Indonesia e
grazie a stuntmen senza nessuna di paura di morire sul set ha diretto IL
capolavoro noto come “The Raid” (2011) per poi aggiungere anche un ottimo
seguito, non seminale come il primo, ma comunque molto bello, ovvero: “The Raid
2: Berandal” (2014). Mentre il mondo era con il fiato sospeso aspettando solo
la data d’uscita del terzo capitolo, Evans ha annunciato questo “Apostle”
prodotto da Netflix, una cosetta in costume su un pazzo culto religioso. Che fai
non lo guardi? Se non possiamo fidarci di Gareth Evans di chi possiamo fidarci? Dài!
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“Posso avere un alleluia per il nostro fratello Gareth?” , “Alleluia!”. |
Come si fa a passare da l’action con Indonesiani votati alla
morte ad un horror in costume? I segni c’erano, perché tra un “The Raid” e l’altro,
nel 2013 Gareth Evans ha co-diretto insieme a Timo Tjahjanto, il segmento “Safe
haven” nel film “V/H/S/2”, la cosa migliore di tre film della serie “V/H/S”,
senza ombra di dubbio.
un culto guidato da un santone, solo che tutto degenerava in azione a rotta di
collo, sangue senza tirar via la mano e un ritmo che ti faceva venire il
fiatone anche se eri seduto comodo in poltrona a guardare il film. Quindi, Evans,
bisogna dirlo, sta in fissa con i film d’azione e i culti religiosi, il
problema è che “Apostolo” non somiglia alla versione estesa di “Safe haven”,
anzi lascia intuire che forse tutta la follia contenuta in quel corto, era più
farina del sacco di Timo Tjahjanto che del regista galllese, considerando che il
suo “The night comes for us” sta per arrivare, prossimamente su queste Bare,
non è nemmeno così difficile giungere a questa conclusione.
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Ditemi che nel sacco è nascosto Yayan Ruhian, vi prego. |
Nel 1905 un uomo di nome Thomas Richardson, fatto a forma di
Dan Stevens (il biondo di Legion),
viene spedito come Jena Plissken su una sperduta isola della Gran Bretagna, con
il compito di salvare la sorella rapita da un bizzarro culto religioso guidato
da un carismatico leader, il Profeta Malcolm che ha la barba e lo sguardo da
pazzo di Michael Sheen. Insomma, parliamoci chiaro: il cast è interessante ed
io considero “The Wicker Man” (1973) oltre che uno dei più grandi capolavori della
storia dell’horror che siano mai stati diretti, uno degli apici dell’Inglesicità
nel mondo (secondo voi ho inventato una parola? Bah, facciamo finta che esista).
Evidentemente, Evans ha voluto riprendere i contatti con la nativa Albione e
cimentarsi nella sua personale versione di un classico, il che, lo ammetto, mi
può anche stare molto bene.
iniziare a guardarlo solo con l’intenzione di godersi un Horror in costume con
il tizio di Legion.
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“La prossima volta, mandate Iko Uwais a salvarla, lui ha esperienza con questo tipo di cose”. |
Sì, perché i pareri su “Apostle” parlano di una violenza
inaudita che il più delle volte, però, è suggerita più che mostrata, ci sono
croci arroventate, coltelli utilizzati in modo libertino e una grosso cavatappi
che viene utilizzato per cavare tutto, tranne che i tappi, però quasi sempre l’atto
non viene mostrato e spesso nemmeno le conseguenze di esso, il che è assurdo,
perché è la negazione di quanto Evans aveva fatto con “The Raid”, ovvero mostrare
i colpi, controllando gli spazi in maniera ottima per
disattesa dal resto del film, ma mi viene da pensare che questo accada in
maniera piuttosto casuale, perché il viaggio di Dan Stevens con cuccioli di
mucca sacrificati malamente per il volere della Dea, lascia davvero intendere
che il ragazzo (e sua sorella) si siano ficcati in un nido di vespe da cui sarà
davvero un bordello uscire.
affida il ruolo del predicatore pazzo, quello carismatico in grado di guidare
le masse e lui non si limita ad interpretarlo strabuzzando gli occhi e
agitando le mani, ma riesce davvero a costruirci attorno un personaggio
sfaccettato che va oltre i monologhi e i sermoni apocalittici. Ecco, peccato
che poi “Apostolo” non sia tutto pesche e crema, anzi, ha anche svariati
problemi.
il filo di ognuna di esse, lui sì, per noi spettatori, invece, è molto più
complicato seguirlo e in certi momenti (per i miei gusti anche troppi momenti)
viene voglia di poter avere il suo numero di telefono per chiamarlo e dirgli: “Gareth?
Ciao Cassidy, senti puoi andare avanti con questa scena? Ho capito il concetto
di al cavaliere Dan Stevens non gli devi caga’ er cazzo! Però devi per forza
mostrarmi un tizio che fa rotolare un bicchiere sul tavolo per tipo dieci
minuti?”.
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“Preferisci un altro dialogo di dieci minuti o ti taglio la gola?” , “Taglia taglia, soffro di meno”. |
Ecco, Dan Stevens, il suo personaggio non è il “Bobby” bacchettone
per cui si provava comunque empatia di “The Wicker Man”, diciamo che per facce
da pazzo somiglia un po’ più alla versione del suo remake, ovvero quel
capolavoro (per ragioni opposte all’originale, ma lo amo, una volta vorrei
scriverne) di “Il prescelto” (2006), con questo non voglio dire che Stevens
arrivi a fare le facce di Nicolas Cage (su questo gnocco minerale che ruota
attorno al Sole, nessun bipede può spingersi dove può volare solo Nicola
Gabbia), ma la sua prova esagerata lo fa sembrare davvero un matto, uno talmente
disperato da potercela anche fare a sopravvivere ad una missione così, a patto
di diventare ancora più matto.
Ed ecco perchè mi sono venuti dei mini colpi apoplettici a vedere le scene d’azione che mordono il freno in questo modo, evidentemente il non poter mostrare la conseguenza del colpo è un’imposizione di Netflix, per passare il visto censura, ma resta il fatto che in troppi momenti “Apostolo” sembra avere il freno a mano tirato. Tra dialoghi lunghi e tante sottotrame, ci sono anche momenti molto efficaci (la vecchia nutrita e il viaggetto sotterraneo di Dan Stevens, ad esempio), ma quando finisci per guardare l’orologio così tante volte, potrebbero risultare davvero troppo poco.
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Forse la scena migliore del film, ma che fatica arrivarci. |
Di positivo c’è che, ad un certo punto, mi è parso
piuttosto chiaro che Gareth Evans abbia deciso di far saltare per aria tutte le
premesse, possibilmente usando il tritolo. Sì, perché Michael Sheen che sembra
il cattivo predestinato, alla fine si rivela solo parte della vicenda e Dan
Stevens inizia a menare le mani e ad usare tutto quello che trova intorno a sé
per cercare di portare a casa la pelle, ma quando accade potrebbe essere ormai
troppo tardi per convincere buona parte del pubblico.
sono un paio di momenti in cui non mancano i virtuosismi nel muovere la
macchina da presa, eppure “Apostolo” sembra il fratello in costume e con
secchiate di sangue di The Endless,
piuttosto che un “Safe haven” di 130 minuti, insomma ci ho trovato nel buono,
ma se dovessi dirvi che mi è piaciuto dovrei mentirvi.
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Lucy Boynton invece è promossa, possiamo averla tipo in tutti i film? |
Anche se sono piuttosto certo che chi inizierà a guardarlo
riuscendo, meglio di quanto abbia fatto io, a togliersi “The Raid” dalla testa
e dagli occhi, potrebbe apprezzarlo, la qualità è comunque molto più alta della
media del vostro film Netflix, però niente, a me tutto questo mordere il freno,
suggerire piuttosto che mostrare, anche quando chiaramente il film decide di
dare un calcio agli stilemi abbandonando la strada sicura di “The Wicker Man”,
mi ha lasciato abbastanza insoddisfatto.
voglio nemmeno pensare al dettaglio per cui forse senza un cast e una troupe
che lavora in un Paese dove ormai è chiaro, non esistono regole di sicurezza
sul set, Gareth Evans sia uno un pelo più bravo della media, ma non il genietto
capace con un solo film di rivoluzionare tutto il cinema action. No, no, no, mi
rifiuto di abiurare la mia fede, voglio che “Apostolo” resti un apostrofo (o un
apostolo?) rosso sangue, tra le parole “Ti” e “Meno” pronunciate possibilmente
in Indonesiano, grazie.