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Aquaman (2019): con Wan e Momoa ce la spassiamo in fondo al maaaaar!

Mi sbaglio, oppure tutti i film della Distinta Concorrenza, meglio noti come DC Extended Universe, oppure come Worlds of DC o come diamine hanno deciso di farsi chiamare questa settimana, partono tutti con la stessa pubblicitaria premessa? Che suona più o meno come “Il miglior film dai tempi del Cavaliere Oscuro”.

Ora, io ho già i miei bei problemi e molti dei quali con il citato film di Nolan, ma siamo sicuri che non sia una costante gara a fare meno peggio della volta precedente? Perché sì, “Aquaman” che naviga tranquillo oltre gli ottocento i novecento milioni di ex presidenti spirati stampati su carta verde, è il maggior incasso della Distinta Concorrenza e questo è un fatto innegabile.

Lo trovo anche un film più riuscito di Wonder Woman che fino all’altro ieri era “Il miglior film dai tempi del Cavaliere Oscuro” titolare e oggi pare già dimenticato. Riconosco anche agli amici della Distinta Concorrenza di essersi impegnati per provare a cancellare dagli occhi e dalla mente degli spettatori quell’incidente stradale in galleria noto come Justice League e motivato da una brezza di insano ottimismo (lo so, non mi si addice molto) devo dire che “Aquaman” è la conferma di quello che mi era già piuttosto chiaro: quando il pupazzo James Wan ha la possibilità di esagerare, tenendosi ben alla lontana dal genere horror, dimostra di avere dei numeri, è fondamentalmente un gran caciarone, ma sa il fatto suo, devo concederglielo.

Il Pupazzo WAN cerca di capire se con il grandangolo può inquadrare tutti i pettorali di Momoa.

Visto che quella brezza ancora soffia, fatemi aggiungere questo prima che il vento in questo post cambi direzione: se c’è un personaggio della Distinta Concorrenza che trovo appena meno scemo di Lanterna Verde (su cui Garth Ennis ha già scritto tutto quello che si poteva dire) è proprio Aquaman. Ammetto candidamente di aver letto poco del personaggio, qualcosa della gestione di Geoff Johns e per tornare indietro all’alba dell’umanità (gli anni ’90) la run di storie scritte da uno dei miei preferiti di sempre, Peter David, in cui il personaggio era capellone è con un look più cazzuto che immagino sia stato tenuto in considerazione per questo adattamento, almeno per via del suo protagonista.

Bisogna dire, però, che il personaggio non è dei più facili da portare al cinema, per assurdo presso il grande pubblico, è più celebre per le frecciatine stoccate da serie come “The big bang theory” che per il fumetto originale che a conoscere per davvero, vi assicuro, sono meno di quelli che sentite millantare conoscenze enciclopediche in giro, tra i quali non mi ci metto affatto, perché lo ammetto senza problemi: non ci trovo niente di intrigante in un re Altantideo che parla con i molluschi e dirige l’orchestra mentre la carpa suona l’arpa, la platessa il basso, alla tromba il pesce rompo e il luccio è il re del blues. Penso che possa funzionare più che altro come comprimario, un po’ come Namor il Sub-Mariner fa alla Marvel ed ora parliamo dell’elefante la balena in mezzo alla stanza.

Ed ora un po’ di foto a caso di Momoa per le lettrici! (Ha fatto fare i soldi alla Distinta Concorrenza, tanto vale sfruttarlo)

Per decenni la Marvel e la DC si sono combattute a distanza a colpi di personaggi tra loro molto simili, Capitan America è nato nel 1941? La Distinta Concorrenza ha risposto nel 1978 con Commander Steel. Penso che tutti sappiano che Moonknight è la risposta Marveliana a Batman, oppure che Deadpool è nato nel 1991 quasi come una parodia di Deathstroke (1980). Ma l’elenco è infinito, Freccia Verde e Occhio di Falco, Flash e Quicksilver, Catwoman e la Gatta Nera si potrebbe andare avanti per ora, fino ad arrivare ad Aquaman nato nel 1941, due anni dopo l’esordio di Namor il Sub-Mariner.

Questa corsa agli armamenti si è tradotta nel tempo in una gara ad accaparrarsi tutti gli attori più in voga per gli adattamenti cinematografici e, parliamoci chiaro, dopo il suo Khal Drogo in Giocotrono, pochi attori sono più popolari (specialmente presso l’altra metà del cielo) di Jason Momoa. Dopo aver visto “Aquaman” non posso che confermare quello che avevo pensato ai tempi dell’annuncio dell’attore di origini hawaiiane per il ruolo del nuotatore della Distinta Concorrenza: lo hanno messo sotto contratto per scippare alla Marvel il loro Namor.

Sul serio, a quale di questi due somiglia Momoa secondo voi?

Basta guardarlo per capire che, anche esteticamente, Momoa è molto più somigliante a Namor che ad Arthur Curry, inoltre Namor era il re ribelle e arrogante che faceva perdere la testa alla bionda Sue Storm, la Donna Invisibile, rischiando seriamente di spezzare in due i Fantastici Quattro come il Dottor Destino non è mai riuscito a fare e, contando i trascorsi di Khal Drogo con la Khaleesi, volete dirmi che le mie teorie cospirazioniste da nerd non sono un minimo valide?

Trovo incredibile che la stessa casa di produzione sia riuscita ad azzeccare in pieno il casting per Wonder Woman e mancare il colpo così tanto per Aquaman, bruciandosi la possibilità di avere Jason Momoa nei panni dell’unico vero personaggio della Distinta Concorrenza che sarebbe stato giusto per lui: Lobo.

Ora ho capito per cosa sta DC: Dannati Casting.

Muscoli, birra a fiumi, parolacce censurate, mentre la Marvel sforna seguiti di Deadpool come se non ci fosse un domani, era questa l’occasione per portare l’ultimo czarniano al cinema, invece niente, eppure è abbastanza chiaro che se “Aquaman” ha portato a casa tutti quei bigliettoni verdi, non lo ha certo fatto perché è il supereroe preferito di tutti, ma perché, al momento, ogni film tratto da fumetto (anche il peggiore) incassa, al resto ci ha pensato il fatto che una pellicola che concede a Momoa di sfoggiare gli addominali per 143 minuti, dettaglio che piace alle spettatrici paganti.

James Wan mette la sua firma ad un lavoro che ha tutti i pregi e i difetti del suo cinema, la voglia di esagerare del Pupazzo UAN lo porta ad andare in fissa con le inquadrature che ruotano attorno ai personaggi (sarebbe un gioco alcolico ideale, ogni volta che Wan fa piroettare la macchina da presa si beve), ma questo si traduce anche in quel finale, una battagliona caciarona che è l’apice del romanzo di formazione che porta Arthur Curry metà umano e metà Atlantideo a diventare il re della città sommersa.

A James Cameron piace questo elemento (inteso come l’acqua)

Un gran bordello finale esteticamente bellissimo, anche grazie agli effetti speciali della IL&M in grande spolvero, la città di Atlantite raggiungibile solo da un ponte d’accesso, popolata di balene, delfini, squali (che per altro ruggiscono come leoni, non chiedetevi il perché) cavalcati con la sella, ma anche piccoli sommergibili che sembrano astronavi, è qualcosa che sembra uscito da un sogno (bagnato) di James Cameron e con la stima che ho per Jimmy, non cito il Canadese con leggerezza, quindi dal punto di vista dell’ambientazione, il Pupazzo UAN porta a casa il risultato, ma resta il fatto che “Aquaman” resta una discreta tragedia dalla durata eccessiva e che per la maggior parte della sua durata mi ha annoiato e basta.

Lo avevo già dichiarato scrivendo di Wonder Woman, ma guardando “Aquaman” ho avuto la stessa sensazione amplificata per gli interminabili 143 minuti della durata: tutti questi film della Distinta Concorrenza sembrano vecchi, sanno di già visto, sono pellicole che avrebbero potuto andare bene se fossero uscite cinque o sei anni fa. Ci rendiamo conto che questo film termina con la voce narrante del protagonista che tutto tronfio dice: «Io sono Aquaman!» che sì, è lo stesso finale dello Spider-Man di Sam Raimi che, però, è uscito nel 2002, quando il pubblico doveva ancora imparare a conoscere tutti questi super matti in calzamaglia.

E i fan di “The Big Bang Theory”… MUTI!

Da spettatore con una molto poco approfondita conoscenza del personaggio avrei voluto affezionarmi e tifare per lui, ma per la maggior parte del tempo il mio neurone (perché chiamarlo cervello sarebbe eccessivo) continuava a mandarmi dejà vù di altri film. La nobiltà del personaggio, il suo essere un energumeno belloccio alla ricerca di un’arma per catalizzare il suo potere (il magico tridente del papà della sirenetta Ariel, o del re di Altantide, una cosa così non so), il fatto che viva in una isolata e meravigliosa città a cui si può accedere passando solo da un ponte (che non si chiama Bifrost, ma è la stessa cosa) e il suo scontro con un fratello malvagio (Patrick Wilson, attore feticcio di James Wan, per altro più somigliante all’Arthur Curry fumettistico rispetto a Jason Momoa)… Per tutto il tempo mi sembrava di stare guardando il “Thor” di Kenneth Branagh, con effetti speciali migliorati e un pelo in più di ironia. Ho la sensazione che la Distinta Concorrenza abbia voluto giocare sul velluto, dando al pubblico una “Origin story” che più classica di così non poteva essere, anche perché il film di Branagh è del 2011.

«Quello è Odino?», «Ma non era il papà della Sirenetta?»

Mentre la Marvel spazza via metà del parco dei suoi personaggi con uno schiocco di dita, oppure moltiplica il numero di Spider-Man, pescando a piene mani dal multiverso (a breve su queste Bare, state pronti, perché sarò scatenato), la Distinta Concorrenza porta in scena le origini di un personaggio che sanno di pesce marcio vecchio perché basate su dinamiche tra personaggi viste e straviste.

Gli opposti che si attraggono, con la principessa Mera interpretata da una Ambra Sentito finalmente libera dal maledetto Johnny Depp, ma con della stoppa color camion dei pompieri in testa che la fa sembrare una brutta copia della Sirenetta Ariel (il tutto mentre al cinema trovate ancora “Ralph Spacca Internet” anche lui in arrivo a breve su queste Bare). Oppure, il mentore che insegna cose, per altro, interpretato dal Goblin di Raimi, Willem Dafoe.

Sha la la la la la la / Il ragazzo è troppo timido / coraggio baciala! (Cit.)

Il film non fa che procedere per passaggi di trama visti e stravisti, persino il mistero della scomparsa della madre di Aquaman (che, per altro, torna in scena travestita come l’uomo pesce di Del Toro, no… Ma sul serio!? Sembra uscita da un film di Minoru Kawasaki) mi ha fatto pensare alla ricerca di Michelle Pfeiffer in Ant-Man 2, un titolo a cui paragonerei questo film per qualità generale, senza stare a scomodare Nolan che sta bene dove sta.

Ti piace quello che vedi? Vuol dire che sei un lettore del fumetto originale. Per tutti gli altri, i Nerd sono scappati dalla gabbie, ripeto, i Nerd sono in libertà!

Uno degli enormi problemi di “Aquaman” resta, cavolo io non la voglio usare quella parola, perché poi sembra sempre che sto citando un certo film di Nanni Moretti, per altro, ambientato in acqua… Ora che ci penso, perché ecco, questo film corre sul filo sottile del Kitsch (“ma che parole usi? Le parole sono importanti!” Cit.), sì, perché mi sta benissimo che essendo ambientato quasi tutto sotto sotto il mare (cit.) i personaggi debbano fluttuare costantemente, ma il movimento dei loro capelli in molti momenti è peggiore di come lo realizzava Terry Gilliam in Tideland, ma per lo meno lui aveva la scusa di un budget infinitesimale.

Sono incredibilmente felice di vedere Dolph Lundgren di nuovo in un film ad alto budget e non vedo l’ora di rivederlo presto in “Creed II”, però qui copre un ruolo che non richiede il suo mito, per altro recitando sotto un toupet rossiccio che ondeggia tutto il tempo sopra la sua capoccia, in molti momenti sospetto, realizzato in CGI, un gatto morto inguardabile per cui spero almeno, Dolph sia stato profumatamente pagato, per portersi pagare gli amari Italiani che tanto ama a fine di ogni pasto.

«Sono diventato famoso con i capelli a spazzola, anche pel di carota, sono sempre un mito»

I momenti in cui il buon gusto (e di conseguenza la credibilità del film) finisce nella fossa delle Marianne sono tanti. Bisogna, ad esempio, digerire l’idea che Jason Momoa sia il figlio di Nicole Kidman e di Jake la Furia che non è un cantante rap cicciotto, ma Temuera Morrison il protagonista di “Once Were Warriors” (1994), che qui nel prologo del film sono impegnati a fare la parte di papà e mamma Aquaman.

«A me nemmeno piacciono i Club Dogo!»

Nicoletta Ragazzino ferita, spunta dalle spume e viene trovata dal vecchio Jake, sembra l’inizio di “Splash – Una sirena a Manhattan” (1984) lo so, però i due s’innamorano, sfornano un piccolo Momoa e anni dopo gli sveglissimi soldati dell’esercito di Atlantite emergono dalle acque per riprendersi la loro regina che le ha provate tutte per nascondersi da loro, infatti si è sposata e ha figliato con il primo umano incontrato sul bagnasciuga e non so se è più scema lei che è rimasta (almeno nove mesi, sempre che le Atlantidee siano fatte più o meno come le umane) sulla spiaggia, oppure i soldati che ci hanno messo lo stesso tempo per trovarla senza che lei nemmeno ci provasse ad andarsene… Ma fuggire sull’Himalaya, brutto?

«Ma perché voi uomini non volete chiedere mai indicazioni?», «La so la strada, tranquilla»…

Inoltre, non so se mi faccia venire più i brividi vedere una come Nicole Kidman impegnata a fare a botte come se la sua filmografia non avesse mai previsto altro, oppure vederla completamente imbalsamata dal botox, equivalente dell’aver preso a scalpellate il volto di un’opera d’arte. Depressione.

Nicoletta, ma una telefonata al tuo ex Tommaso Missile per farsi consigliare un chirurgo decente, brutto?

Se non bastasse tutto questo, aggiungete il fatto che per tutto il tempo, la storia continua a esporre il fianco a paragoni infelici con altri film acquatici ben più riusciti di questo. Ok, Momoa può anche fare battute sul fatto che le balene abbiano funzionato con Pinocchio, ma resta il fatto che per chiamarle parla con loro e nella mia testa Momoa diventa di colpo la Dory di “Alla ricerca di Nemo” (2003) che parlava il “Balenese”. Che cacchio! Almeno Jason Statham non si è nascosto dietro un dito quando ha citato apertamente la pesciolina smemorata! Sul fatto che, ad un certo punto, Momoa tenti di citare Conan il Barbaro invece (non bastava l’orrido remake? No vero?), preferisco non dire nulla, perché già sto smuovendo i mari con questo commento, non vorrei smuovere anche le montagne e risvegliare l’ira di Crom!

…«La so la strada! Stai tranquilla diceva lui!», «Non è colpa mia se lo sceneggiatore ha mandato due personaggi anfibi nel deserto!»

Sul serio, potrei andare avanti così per ore, perché i momenti involontariamente comici del film si sprecano e quando vorrebbe esserlo sul serio, Jason Momoa non tiene il passo. La scenetta nel deserto con lui e Amber Heard che sembrano marito e moglie persi durante la loro vacanza a Sharm el sheik, dimostra che quando è ora di recitare davvero, Momoa è fermo al palo, quindi da lui James Wan può tirare fuori giusto delle pose ed ecco perché per tutto il tempo Aquaman guarda verso la macchina da presa ammiccante, come a voler far saltare le coronarie alle sue spettatrici. Da questo punto di vista, lui e il Pupazzo WAN, hanno ben chiaro quale sia il motivo di interesse di buona parte del pubblico e ci danno dentro con le scene tipo “Badedas Noir” con Momoa che esce dall’acqua, entra nell’acqua, spunta da una cascata e come sempre, bello bello in modo assurdo, perché Zoolander ci ha insegnato delle grandi verità.

Quando Momoa fa la Magnum, una donna nel mondo rompe le acque.

Dove funziona davvero Jason Momoa? Nell’unica gag che mi ha fatto ridere sul serio del film, perché è proprio pensata per prendere in giro i clichè in cui tutto il film, inciampa più e più volte nel corso della sua durata, ovvero quando i tipi loschi avvicinano Arthur Curry al bar, in quella che ti aspetti sarà l’ennesima rissa al rallentatore (lascito della precedente gestione Zack Snyder) e invece diventa un selfie e una gara di bevute.

Cosa vi dicevo? Lobo dovevate fargli fare, altro che “Il Sirenetto” qui, per quello andatevi a rivedere i vecchi episodi di “Baywatch” in cui faceva il bagnino (storia vera). Capisco benissimo che il fascino del rude ricercato piaccia, ma al pari di Jennifer Lawrence, Momoa mi sembra più autentico nelle Gif su internet, quando beve birra e lancia asce, piuttosto che quando gli viene chiesto di recitare davvero. Proprio per questo, al netto di un po’ di CGI per cambiargli il colore degli occhi (che non manca nemmeno qui) sono sicuro che la Distinta Concorrenza si pentirà di averlo mandato “Sotto sotto il mare” e non a caccia di taglie con il giubbotto di pelle di Lobo.

Quando imparerò a commentare i film scrivendo “Bella la fotografia”, quando!?

Anche perché, parliamoci chiaro: quando tra cinque anni gli effetti speciali in CGI di questo film risulteranno già vecchi, cosa resterà di questo film? Siccome, come annunciato, il vento è cambiato in questo post, vi lascio con il pensiero che mi ha attanagliato alla gola a metà della visione del film: non riesco a non pensare a come potrebbe risultare un film così tra vent’anni e a quanto sembreremo scemi noi spettatori dell’anno 2019, al pubblico del futuro. Sembreremo tutti cretini come il granchio Sebastian che cerca di convincere Ariel a restare con una canzone, ve lo dico io.

In fondo al mar, in
fondo al mar
Se la sardina fa una
moina a Momoa c’è da impazzir
Che c’è di bello poi
lassù
La banda della DC vale
di più
Anche James Wan sa
improvvisare in fondo al maaaaar!


«Cassidy smettila, stai cominciando a sembrare il granchio Sebastian»
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