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Arizona Junior (1987): my name is Nick Cage

Saranno anche “Il regista a due teste” ma i fratelli Coen sono un unicum (come l’amaro) tale da riuscire a farsi apprezzare anche dai cinefili refrattari all’umorismo, storia vera. Nel senso di benvenuti al nuovo capitolo della rubrica… Coen, storia vera!

Dopo il loro fulminante e apprezzatissimo esordio alla regia con Blood Simple, un noir texano fortemente ispirato alle opere di Dashiel Hammett, i fratelli Coen scelgono di spostarsi geograficamente ma restando ancora nella “periferia” americana da cui in fondo, arrivano anche loro essendo figli dello stato del Minnesota. Dalle atmosfere notturne in cui è il buio a tenere al sicuro i protagonisti, si passa al pieno sole del sud-ovest degli Stati Uniti con la precisa intenzione di sottolineare il lato più grottesco dei personaggi, il risultato sembra il frutto di una notte d’amore tra i romanzi di William Faulkner e i cartoni animati di Walter Lantz o di Chuck Jones.

Trovo incredibile, sul serio, incredibile, il modo in cui molte penne stipendiate siano riuscite negli anni a scrivere di “Raising Arizona” (titolo da noi tradotto forse con Mel Brooks in testa) facendo, nei casi migliori, riferimenti alla Shaky cam resa celebre da Sam Raimi in Evil Dead, ma senza mai citare il legame palese, quello con I due criminali più pazzi del mondo, che è il punto di unione perfetto tra i tre fratelli Coen, solo che uno di loro di cognome fa Raimi. Ci sono due film in cui i tre sembrano armoniosamente essersi scambiati di posto, “Raising Arizona” è il più raimiano film dei Coen e “Soldi sporchi” (1998) il più coeniano de buon Sam, ma tutto questo non sarebbe stato possibile sembra le prove Generali di Crimewave, di cui hanno beneficiato tutti.

Non solo sono con la giacca pesante nel deserto, ma sono anche vestiti uguali.

Spike Lee, l’uomo che ha più volte sottolineato come al cinema, nessuno uccida la gente in maniera più dolorosa dei fratelli Coen, il regista di New York ha inserito il loro “Raising Arizona” tra i film essenziali che ogni aspirante regista dovrebbe conoscere a memoria in una lista da lui redatta. Se arrivare da Blood simple a questo film (senza passare da Crimewave) può sembrare come passare dal giorno alla notte è solo perché “Arizona Junior” è un titolo fondamentale, non solo nel tratteggiare tutta la commedia nera che i Coen sforneranno più avanti nel resto della loro filmografia (e di questa rubrica), ma anche nel riuscire ad affogare in un grosso film/cartone animato, riflessioni e piccole pennellate di una malinconia che ogni volta mi colpisce, per tutte questa ragioni ho pochi dubbi… Classido!

Se il tuo obbiettivo è dipingere una grottesca satira sull’avidità umana e sulle storture della nostra società, hai bisogno di qualcuno in grado di trasformarsi per 94 minuti in un cartone animato vivente, quell’uomo non poteva che essere Nicolas Cage, che stava uscendo dall’ombra del suo ingombrante zio e si era messo sulla mappa geografica con un piccolo ruolo, ma reso folle dalla sua interpretazione proprio in “Peggy Sue si è sposata” (1986) e che sarebbe esploso con “Stregata dalla luna” (1987), anche se a detta dello stesso Master Cage, tra i cinque ruoli più importanti della sua carriera, non ha inserito il celebre film di Norman Jewison, ma l’altra sua prova del 1987, proprio “Arizona Junior” (storia vera).

Nick, pronto a tornare in scena sulla Bara?

Il risultato è una sinfonia perfetta che come la sua folle colonna sonora, mescola motivetti country-western a Beethoven e Stravinskij, che musicalmente parlando è un po’ come far suonare in armonia il caos calmo dei fratelli Coen e un esagitato cronico come Master Cage. Infatti dal set arrivano storia riguardo ad un Nicola Gabbia tracimante di idee e suggerimenti, tutti silenziosamente ed educatamente ascoltati e ignorati dai Coen, in un film dove Cage pur recitando dieci metri sopra le righe, in una prova da cartone animato umanoide, risulta comunque perfettamente controllato, in linea con il tono del film e a ben guardare, nemmeno quello più scoppiato della coppia, perché quel ruolo tocca di diritto ad Holly Hunter.

Ed improvvisamente Cage non è il più matto del lotto.

Parliamo di un personaggio che riesce a spiccare accanto ad un Nick Cage che oltre al tatuaggio sfoggia la prima capigliatura pazza fatta sfoggiare ai loro protagonisti dai Coen (diventerà quasi un’abitudine), in questo caso, ispirata a Woody Woodpecker, da noi più noto come Picchio Pacchio, che si scompiglia in maniera direttamente proporzionale al livello di stress del protagonista (storia vera). Eppure molto più matta del H.I. McDunnough solo sua moglie Edwina detta Ed, un ruolo scritto dai Coen proprio per Holly Hunter che fino a quel momento era apparsa di sfuggita in The Burning e che passava spesso a trovare gli amici, in quella sorta di comune di figli dei fiori che era l’appartamento dove vivevano i Coen, Sam Raimi e ovviamente Frances McDormand, sembra nella zona delle operazioni.

Non fare quella faccia Frances, il sabato lo puoi avere libero, ma il venerdì ti voglio qui sulla Bara.

La storia ruota intorno al ladro di polli Herbert I. “Hi” McDunnough che si innamora della poliziotta Edwina “Ed”, malgrado il loro amore i figli non arrivano e visti i precedenti penali di Hi, l’adozione è fuori discussione, la beffa del destino? Loro due spiantati non riescono ad avere figli mentre il ricchissimo venditore di mobili, perennemente in televisione Nathan Arizona (Trey Wilson) ha appena avuto cinque bambini, che se ne fa di cinque bambini? Prendiamone uno noi! Ed ecco qua, un rapimento dopo entrare in scena il piccolo Junior, così abbiamo spiegato trama e titolo in un colpo solo.

Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Sono quelli che ne determinano tutto l’andamento e quello che io vi ho appena raccontato a parole, i Coen lo fanno con una scena d’apertura micidiale, Hi che finisce sistematicamente in prigione, forse anche solo per quei due secondi di scatto della foto segnaletica con cui può parlare con Ed, questa scena non solo mette in chiaro il tono sopra le righe da cartone animato di tutto il film, ma nulla mi toglie dalla testa che solo il prologo di questo film, possa considerarsi il padre nobile di… My name is Earl!

A voler essere complottisti, il numero è lo stesso (al contrario)

Avete presente quel tipo di soggetto che fa una bastardata dopo l’altra e a un certo punto si meraviglia che la sua vita fa schifo? Bene, tra baffo, capello, camice strane, foto segnaletiche e microcriminalità, sono piuttosto cerco che Greg Garcia sia stato un altro di quelli che si è abbeverato alla fonte del secondo film dei Coen, un film che si muove su due piani, da una parte la grottesca satira alla società capitalista, dall’altra un retrogusto quasi malinconico che dona a tutto il film una sfumatura in più.

Questo mix perfetto tra screwball comedy e noir, porta in scena tutta la grammatica cinematografica dei Coen, grazie a grandangoli deformanti, profondità di campo, l’uso della voce narrante e una perfetta fotografia firmata dal fidato Barry Sonnenfeld, con momenti d’azione in cui lo schermo e i personaggi diventano tutti parte di un gigantesco cartone animato. A contribuire in larga misura anche tutto quello che i due fratellini hanno pescato dal cinema del loro terzo gemello Sam Raimi, le inquadrature vertiginose, lo spassosissimo inseguimento a metà film che procede per accumulo (di cani da guardia e pannolini) ma anche le entrate in scena dell’apocalittico motociclista infernale, talmente grosso che si chiama Smalls (il mitico Randall “Tex” Cobb) che sfruttano la shaky cam resa celebre da Evil Dead. In certi momenti, bisogna soffermarsi e pensare: «ehi Sam! Lascia la regia ai tuoi fratelli».

Cowboys Motorcyclists from Hell

Eppure la satira molto ben marcata ci riporta alla realtà dei fatti, questo film è coeniano al 100% perché è un lungo sfottò ai tick della società capitalista, i poveri, i proletari, non hanno prole, i ricchi invece sfornano bambini in quantità, nuovi e futuri consumatori, figli di uno che non riesce a smettere di fare pubblicità al suo negozio di mobili, nemmeno quando deve fare l’appello davanti ai giornalisti perché i rapitori gli restituiscano il figlio.

Essere un padre di famiglia non è per nulla stressante.

Il tentativo di restare persone povere ma a loro modo corrette (fedina penale permettendo) fa a cazzotti, sul naso, letteralmente (con il personaggio di Sam McMurray), con la volontà di salire la scala sociale e i consigli della coppia piccolo borghese e molto ipocrita, il cui altro 50% è ovviamente incarnato da Frances McDormand, che sarò ospite fissa per molti venerdì quei alla Bara, che qui interpreta colei che ricorda ai protagonisti che ora che hanno un figlio, servono vaccinazioni e un libretto bancario, una nuova vita, un nuovo futuro consumatore.

Quale altra coppia nel film cerca la stabilità, che ovviamente passa attraverso il malloppo? I due svitati criminali, letteralmente partoriti dalla terra, visto che spuntano e poi rientrano dal buco da cui sono usciti, ovvero i fratelli Snoats impersonati da John Goodman e William Forsythe, che altro non sono che la prima (seconda, dopo Crimewave) bozza di coppie di criminali che popoleranno tutto il cinema dei Coen, oltre ad un bel gancio con il cinema Western (la scelta di avere Forsythe) e l’entrata in scena in questi venerdì della Bara di un altro pretoriano che ritroveremo spesso, ovviamente mi riferisco a Goodman.

John, considerati precettato anche tu per un bel po’ di venerdì.

Quello che amo di “Arizona Junior” è essenzialmente… Tutto. Mi piace la sua follia, il fatto che sia il perfetto ruolo per Nick Cage accoppiato ad una che riesce a risultare ancora più matta e fuori controllo di lui, ci sono grandi momenti di divertente azione tra inseguimenti e combattimenti con il motociclista, che per altro viene tratteggiato come il primo grande portatore della Morte del cinema dei Coen, grazie ad inizi più o meno grandi, quasi l’altra faccia della medaglia di H.I. McDunnough (tatuaggio compreso), perché uno degli elementi che amo di più di questo grande e folle film è il modo in cui i personaggi, da monodimensionali come ci si potrebbe aspettare dai personaggi di un grosso cartone animato, guadagnino uno spessore e una profondità inattesa.

Raimi? Chuck Jones? No, i fratelli Coen!

Il vanesio Nathan Arizona, che per sua stessa ammissione non sarà una volpe, ma capisce il dramma di Hi ed Ed, oppure il sicario cattivo, che messo sulle loro tracce potrebbe essere un riflesso del protagonista e anche i due fratelli Snoats quando realizzano l’andazzo, ritornano con le pive nel sacco nella prigione che forse, è un posto meno folle del mondo fuori, il finale poi è dolce amaro, catartico nella sua capacità di lasciarti con dei grossi dubbi.

Il sogno di Hi sembra la versione con immagini del monologo finale di Tommy Lee Jones, un’idea di felicità in questa società che per istinto il personaggio non può che paragonare all’unico modello che conosce, quello che ci è stato imposto, Disney Land. Eppure quell’Idilio liberatorio, viene interrotto dal risveglio di Hi, che potrebbe aver visto il futuro (come vedeva l’arrivo del motociclista infernale) oppure potrebbe essere una sua illusione, un po’ come tutta la società capitalista che in un attimo PUFF! Potrebbe crollare, mica male per una cosetta con Nick Cage pettinato come Woody Woodpecker, no?

L’interpretazione dei sogni, che poi è proprio quello che sto facendo.

Costato pochissimo, amato moltissimo da critica e pubblico, “Arizona Junior” incassò parecchie volte il budget speso piazzandosi per anni al primo posto dei titoli dei fratelli Coen più remunerativi di sempre, ad oggi è ancora un culto che ha influenzato la cultura popolare più di quello che potremmo immaginare, gli vorrò sempre bene perché resta coeniano al 100% e anche per essere il padre nobile di My name is Earl. Ma se pensate che questo sia un punto di arrivo vi sbagliate, siamo al cospetto di uno dei primi titoli di culto dei Coen, ma la rubrica sta solo scaldando i motori, la prossima settimana ne vedremo ancora delle belle, tra sette giorni qui, storia vera. Nell’attesa, passate a leggere il parere sul film di oggi dalle pagine di Vengono fuori dalle fottute pareti.

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