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Arma Letale (1987): non sarò mai troppo vecchio per queste stronzate

L’ottavo giorno Shane Black creò il buddy Cop movie e vide che era cosa buona, poi rivolse lo sguardo all’Onnipotente e disse “Vedi? E’ così che si fa Capo”. E dopo questo inizio in cui ho deciso di toccarla piano, vi do il mio benvenuto alla rubrica… Back in Black!

“Arma”, “Letale”, due parole che a distanza ravvicinata compongono uno di quei titoli che TUTTI conoscono, anche le persone che il film non lo hanno mai visto (esisteranno davvero?), un classico di formazione personale, una pietra miliare che ha rivoluzionato il genere, indiavolato nel ritmo e nei dialoghi, da queste parti i film così hanno un nome e un logo rosso.

Il primo a credere nel talento di Shane Black è stata quella vecchia volpe di Joel Silver, fin dai tempi di Scuola di Mostri, Black era già sotto l’ala protettiva del mitico produttore che, per tenerlo sott’occhio, se lo portò (come bagaglio a mano), fino nella giungla Messicana dove stava producendo una cosina intitolata Predator, motivo per cui dietro gli occhialoni del soldato Hawkins, anche se Shane per il personaggio avrebbe voluto degli occhiali “tecnici” più professionali, in tutta risposta McTiernan gli disse: “Zitto, ti becchi gli occhiali da Sandro Mondaini, perché sei lo sfigato racconta barzellette che muore male” (Storia vera).

Ma cosa stava scrivendo Black di così importante da guadagnarsi una marcatura a uomo da parte di Silver? Niente, solo il suo esordio come sceneggiatore per una grossa Major, la Warner Bros che aveva messo Black perfettamente a suo agio, dicendogli: “Senti un po’ caro ragazzo, qui ci sono 250.000 ex presidenti defunti stampati su carta verde, in cambio di questi riesci mica a scriverci un filmetto? Sai, vorremmo devastare i botteghini del pianeta, oh ma tranquillo, hai tempo due mesi, senza pressioni, eh?”.

Prima di ridere per come si vestiva Shane, continuate a leggere.

Shane Black tra un viaggio in Messico e l’altro, consegnò puntualmente la sceneggiatura completa, un plico di fogli che con ben poche modifiche, è diventato “Arma Letale”. Quello che prima è diventato uno dei dieci film più visti del 1987 e poi è finito nell’Olimpo del cinema senza passare dal via. Ah! Ho dimenticato di dirvi che nel 1987, Shane Black aveva 26 anni.

Cosa facevo io a 26 anni? E voi? Calma, però, prima di sentirci tutti delle cacchette di cane, tenete a mente che la prima prima bozza di “Arma Letale”, Shane l’aveva buttata giù due anni prima, all’età di 24 anni. Ah, sì, certo, ora mi sento davvero molto meglio, la mia autostima ringrazia.

No no fermi! Che fate! Non prendete decisioni avventate!

Fin dal suo esordio, Black dimostra una chiarezza d’intenti e tematiche ricorrenti lungo tutta la sua carriera, che sarebbe risultata impressionante se messa su carta da uno con il doppio dei suoi anni, figuriamoci da un 26enne, che venuto su con i gialli polizieschi di Raymond Chandler, ha saputo adattare temi e personaggi della narrativa hard boiled di Dashiell Hammett, ai film d’azione anni ’80.

Nel film, Shane ha riversato dentro le lezioni imparate consumandosi gli occhi sui film di John Milius e di Walter Hill, Riggs e Murtaugh sono i Nick Nolte ed Eddie Murphy di “48 Ore” (1982) in una versione aggiornata e ancora più matta, talmente riusciti da superare in popolarità anche i modelli originali.

«Ma chi sarebbero, quei due che fanno anche loro un film a Natale

Il tutto con un tempismo e una consapevolezza dei gusti del pubblico da vero futurista, Black aveva già capito che per gli eroi d’azione il vento stava cambiando, Commando (sempre prodotto da Joel Silver) aveva un super uomo come protagonista, già armato d’ironia, ma è stato “Arma Letale” il film che ha cambiato lo “Shaneario” per sempre, non più eroi dai fisici statuari, ma protagonisti tormentati, con il dopo sbornia e sulle labbra una battutaccia e una sigaretta, l’anno dopo la definitiva consacrazione
della nuova era fu il primo Die Hard, ma la rivoluzione era già cominciata.

Oltre ad avere lo stesso produttore (il solito Silver), Trappola di Cristallo e “Arma Letale” hanno rischiato di avere anche lo stesso protagonista, Bruce Willis era in lizza per il ruolo di Riggs, anche se Shane Black avrebbe voluto qualcuno dai toni più drammatici, come William Hurt (storia vera), a mettere tutti d’accordo fu l’Australiano naturalizzato Americano Mel Gibson che, grazie a Mad Max 3, era il nome più bollente in circolazione, avere lui nei panni di quella bomba ad orologeria di Martin Riggs, equivale a riparare una perdita di gas utilizzando uno Zippo. Boom!

No Mel, non sei pazzo, diciamo che sei molto convincente nel ruolo ecco.

Il tutto viene affidato alle mani capaci di Richard Donner che, a quel punto della carriera, aveva già diretto dieci dei vostri film della vita, Il presagio, Superman, Ladyhawke, I Goonies, roba da niente proprio. Donner con la sicurezza di chi le ha già viste tutte, capisce che la roba scritta da Shane Black è maledettamente buona, ma contribuisce a migliorarla smussando qualche angolo. Ad esempio, fa sparire una rissa al bar tra Riggs e due buzzurri e uno scontro tra il personaggio e un cecchino (chissà a che film stava pensando Shane Black…), convinto che non serva ribadire due volte quanto sia tosto e folle il personaggio, quindi, chiede una nuova scena d’esordio, Shane fa ripartire le rotelle dentro quel suo capoccione e sforna la scena della compravendita della cocaina, quella con gli alberi di Natale che, a mio avviso, è ancora oggi una delle entrate in scena dell’eroe più esilaranti ed esaltanti di sempre. In un attimo si passa dalle risate e la faccia da schiaffi di Riggs (”Il distintivo è vero, io sono uno sbirro vero e questa è una pistola vera!”), alla sua totale non curanza per la morte, con Donner che rende ancora omaggio ai suoi amati Three Stooges e Gibson che caccia fuori gli occhi dalla testa, con quello sguardo da pazzo furioso che solo lui riesce a rendere così minaccioso e credibile. Per altro, uno dei tre spacciatori è Blackie Dammett, nome d’arte di John Michael Kiedis, papà di un ragazzo di nome Anthony Kiedis, magari lo conoscente, canta in un gruppo che si chiama tipo, peperoncini rossi piccanti, un nome strambo così (storia vera).

«Ti darei un calcio nella palle da renderti sterile, ma la musica di tuo figlio mi piace, quindi oggi sei fortunato»

La trama, in fondo, è sempre quella della strana coppia che si ritrova “Insieme per forza” citando un altro titolo piuttosto famoso, ma i due protagonisti sono talmente agli antipodi da risultare perfetti. Da una parte abbiamo il Sergente Roger Murtaugh (Danny “Brakko” Glover), 50 anni, nero, una casa piena di figli, un bagno sempre occupato, una moglie che non sa cucinare e i piani per la sua imminente pensione. Uno della vecchia scuola, revolver Smith & Wesson, adesivo “End apartheid” sul frigorifero (dettaglio utile per il secondo capitolo, prossimamente su questi schermi), una lunga carriera senza mai un graffio e una frase pronta all’uso, quella che lo ha reso celebre e che, causa logorio di Padre Tempo, mi ritroverò sempre più spesso a citare nella mia vita: Sono troppo vecchio per queste stronzate.

«Alto là! Sono troppo vecchio per leggerti i diritti, fermo o sparo!»

Cosa può capitare di peggio ad uno così, di avere come nuovo compagno il sergente Martin Riggs (Mel Gibson)? 30 anni, bianco con la zazzera, la Beretta 9mm Parabellum, il Tai-Chi e le mosse di Jiu jitsu brasiliano (ti dovremmo registrare sotto la voce “Arma letale cit.) e una lievissima propensione al suicidio, possibilmente una bella morte in servizio, per dimenticare la moglie morta, ma per non venir meno ai doveri da sbirro: Tu non lo fai per avere l’infermità mentale… Tu sei matto davvero. Qualcuno mi fermi altrimenti vi elenco tutte le battute a memoria!

«Sparagli Riggs, altrimenti questo ci ripete tutto il film a memoria!»

“Arma Letale” è uno di quei film che viene voglia di raccontare tutto, perché ogni sua scena è più mitica della successiva, sapete quanto io sia fissato con i primi cinque minuti dei film. Ecco, fare meglio di quelli iniziali di “Lethal Weapon” è quasi impossibile. Titoli di testa che promettono battaglia e in sottofondo “Jingle Bell’s rock”, perché nei film di Shane Black è SEMPRE Natale. Non c’è tempo di pensare agli addobbi che la bionda tutta fatta e poco vestita della prima scena si lancia nel vuoto dal piano attico, con la macchina da presa di Donner che la segue per tutta la caduta, questo è l’inizio di “Arma Letale”, ma tranquilli, poi migliora.

Da qui in poi è tutto in discesa (chiedere ad Amanda Hunsaker per conferma)

Il Natale, i ragazzini (Volete beccare Dixie! Volete beccare Dixie! cit.), il protagonista stropicciato, la coppia male assortita che fa amicizia al volo malgrado le evidente differenze e dei dialoghi che filano via alla grande (“Guido io, va bene?”, “Eh, no! Tu sei un maniaco suicida, ti ricordi? Guido io”), in questo film ci sono già tutti i pilastri del cinema di Shane Black, in 110 minuti che sembrano la metà per come filano via ci trovate un film che ogni volta m’incolla allo schermo, mi fa ridere e mi esalta, basta dire che l’altro giorno, mentre me lo rivedevo, la mia wing-woman ha centrato (come sempre) il punto: Sei lì tutto concentrato, sembra la prima volta che vedi questo film. Santa donna!

Anche perché se per caso fai l’errore di starnutire, ti perdi un’altra gran scena, che faccio ve le elenco tutte? Riggs vestito da Dylan Dog che soccorre l’aspirante suicida a suo modo? (Geronimo!!) Il cameo di Ed O’Ross? Oppure i dentoni letali di quel mito di Gary Busey che non ha paura di scottarsi con l’accendino? Vi devo raccontare della faccia butterata dell’amico della figlia di Roger? Quelle non sono fossette è vaiolo, si vede la luce dentro… Qualcuno mi fermi!

«Sig. Joshua? Se Cassidy cita un’altra frase del film la autorizzo ad ucciderlo»

Devo fare una doverosa menzione speciale allo colonna sonora del film, un tripudio di sassofoni gettati dentro a sbuffo dal leggendario Michael Kamen. Forse alle musiche del film manca un vero e proprio “Main Theme”, ma in collaborazione con Eric Clapton (scusate se è poco!), i due compensando con una traccia che amo molto, la bellissima The Weapon, una roba che sa di guidare di notte su strade bagnate dalla pioggia, un pezzo che riassume l’atmosfera del film, ma che sta in piedi sulle sue gambe anche ascoltato in cuffia, provare per credere.

Esplosione immotivata di metà post, così, tanto per tenervi svegli.

Shane Black ha un’intuizione geniale (un’altra!), ovvero rendere Roger e Martin opposti, ma in fondo legati da un passato comune: entrambi sono reduci del Vietnam e, come dimostra Roger con Hunsaker (il grande Tom Atkins), ha una certa propensione a dare fiducia a chi gli salva la vita. Motivo per cui malgrado prima veda Riggs come una condanna a morte, quando il ragazzo gli salva la vita se lo porta a casa a cenare con la famiglia, con i Murtaugh che sembrano la versione nera della famiglia Cunningham e Riggs che fa il Fonzie della situazione.

Può sembrare una leggerezza della trama che i due facciano amicizia presto, ma non lo è affatto,
perché Riggs e Murtaugh insieme rappresentano tutta la gamma dell’evoluzione maschile: il Riggs di Gibson è la forza adolescenziale, caotica che tende alla depressione e all’auto distruzione, senza nessuna cura per regole e imposizioni se non quelle personali. Danny Glover, invece, è un totem con il quale è impossibile non immedesimarsi, perché, di fatto, è come tutti noi maschietti siamo destinati a diventare: vecchi borbottanti e si spera un po’ più saggi, con il desiderio di avere i propri cari tutti vicini, ma anche quel cazzo di bagno libero una volta ogni tanto.


Scordati la tranquillità in bagno quando metti su famiglia.

Viene naturale tifare per il giovane Riggs perché i ribelli piacciono a tutti, ma la verità è che la prima volta che guardi “Arma Letale” in vita tua vorresti essere come Martin e con il passare del tempo capisci che ci sarebbe quasi da metterci la firma per arrivare come Roger, Shane Black lo aveva già capito e messo su carta in questo modo, ecco, ora sì che la nostra autostima può precipitare sotto la suola della scarpe.

All’inizio non vogliono collaborare, ma non hanno scelta (“…E quindi siamo fottuti tutti e due!”), poi finiscono a confrontarsi e in fondo a conoscersi, in questo la scena del poligono che introduce la rotazione del collo di Roger (mossa che ho fatto prima di tirare tutti i tiri liberi della mia “carriera” di giocatore di basket, storia vera) e lo “Smile” disegnato da Riggs è un duello generazionale perfetto.

«Vediamo, questa riesci a farla su WhatsApp?»

Ma nel finale la missione di uno diventa quella dell’altro, il passato militare dei due mette e rischio il futuro (la figlia di Roger), infatti il film e il duo, cambiano di passo (“Finito?”, “Non ho neanche cominciato”), quando Hunsaker passa a miglior vita, morendo con il cartoccio di Eggnog (bevanda Natalizia tipo il nostro zabaione) in mano, in una scena che omaggia “Va’ e uccidi” di Frankenheimer.

Per una volta anche il doppiaggio del film aiuta a farci capire a che punto è l’amicizia dei due protagonisti, a parte il fatto che l’edizione italiana è piena di parole che nei film moderni non si sentono più, tipo “Schicce”, riferito alle pastiglie usate da Amanda Hunsaker, oppure “Pittato”, in riferimento al tatuaggio dei berretti verdi. Ma la curiosità è l’utilizzo delle espressioni colorite tipo “Froci” che si sentono in abbondanza, spesso in coppia con “Negri”, roba che pare che il doppiaggio lo abbia curato Matteo Salvini.

«A me, per molto meno mi hanno cacciato da Hollywood lo sai?»
«Il mio socio ha ragione, certe parole non si dicono»

Da notare che Roger ad inizio film usa ben poche parolacce, come ogni buon padre di famiglia dovrebbe fare, nel finale, invece, quando lo fanno incazzare sul serio rapendo sua figlia Rianne, anche lui apre la diga e inizia a dare a tutti dei “Froci” ed è chiaro anche il modo in cui utilizza il dispregiativo, non per omofobia, ma per sfottere e sminuire il “machismo” degli avversari.

Proprio il finale è una bomba assoluta, ogni volta m’incanto a guardare la scena nel deserto, in cui Richard Donner muove la macchina da presa intorno a Murtaugh solo in piedi, come l’ultimo pistolero del West, ma dove ogni volta vado veramente già di testa, è la scena della tortura, dove compare il mitico Endo, ovvero i baffoni del grande Al Leong, una vita da cattivaccio nei film d’azione, senza mai nemmeno una linea di dialogo pronunciata in carriera!

«Ho come l’impressione che quel coso non serva a pulirsi le orecchie»

Ma il momento in cui Shane Black mi manda completamente giù di testa, più che lo scontro finale nel cortile di casa Murtaugh tra Mel Gibson e Gary Busey (“togliere quella merda dal mio prato”) è l’entrata in scena Riggs che, con enorme senso del dramma, sfonda la porta proprio sulle parole del Gen. Peter McAllister: Non ci sono più eroi in questo mondo. Il momento in cui ho deciso che a Mel Gibson bavrei potuto perdonare (quasi) tutto.

Il singolo momento in cui vado più fuori di melone di Riggs.

Anche perché proprio in questo film Gibson recita per la storia, Franco Zeffirelli vedendo la sua intensità durante la scena del suicidio, lo volle per la sua versione dell’Amleto (storia vera), tra Martin Riggs, Mad Max e le infelici uscite fermato in stato di ebrezza al volante, sarebbe fin troppo facile dire che Gibson forse non stava recitando, ma intanto nella storia del cinema ci devi prima entrare e lui e Danny Glover, proprio con i loro personaggi, lo hanno fatto dalla porta principale, non una volta sola, ma ben quattro, per gli altri tre capitoli ci vediamo da queste parti a breve, fate i bravi e nel frattempo: buon Natale a tutti, anche se non è Dicembre.

Ok, nessuno si diverte a disfare l’albero di Natale, ma non vi pare di esagerare?

Cari cattivi, qui non c’è nessuno tranne noi poliziotti. Ci dispiace. Firmato i buoni.

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