Lo ammetto un po’ mi dispiace essere già arrivato all’ultimo capitolo di questa rassegna dedicata alla saga di Arma Letale, mi stavo abituando al mio appuntamento settimanale con Martin e Roger, ma sono ancora contento di aver finalmente rivisto questo “Arma Letale 4” che tra tutti i film della saga, è quello che ho visto di meno, fisiologico, anche perché con i primi tre ho veramente esagerato con il numero di visioni.
Ricordo di averlo visto (e mi pare pure doveroso) alla sua uscita nel 1998, il capitolo che si è fatto attendere più a lungo di tutti, visto che è arrivato ben sei anni dopo il suo predecessore. Di questo film ricordo sempre la scena iniziale con Roger che fa l’imitazione dell’anatra in mutande (ehm…), la presenza di Jet Li nel cast e il mega inseguimento in auto, ma lo ammetto candidamente: ho visto il film una manciata di volte ed è anche il meno efficace di tutta la tetralogia, così faccio vedere che uso anche le parole difficili ogni tanto.
L’idea di far scontrare Roger e Martin contro una banda di Americani filo-nazisti, viene scartata perché dopo i razzisti del Sudafrica del secondo film, ma soprattutto dopo “Dead Bang – A colpo sicuro” (1989) di John Frankenheimer, ormai il tema era fin troppo abusato, quindi restando in linea con gli altri capitoli, la minaccia anche questa volta è scelta dai temi sociali più caldi, motivo per cui questa volta Riggs e Murtaugh dovranno vedersela con la Triade cinese, impegnata a far sbarcare clandestini dalla Cina, da utilizzare come schiavi per i loro loschi affari.
La sceneggiatura viene rimaneggiata da varie mani, ma l’ultima parola su tutto spetta al regista Richard Donner che, ancora più del film precedente, ci dà dentro con abbondanti dosi di ironia e questo è forse il motivo per cui per quanto mi riguarda “Arma Letale 4” è il film più debole di tutta la saga. I primi tre capitoli, hanno sempre messo su un piatto della bilancia la commedia e sull’altro l’azione, trovando sempre il giusto equilibrio qui, invece, la parte commedia ha il sopravvento, non che sia un grosso problema, ma Shane Black che aveva abbandonato la barca al secondo film, ci aveva visto giusto, anche questa volta.
Dopo 9 anni dal primo mitico film, non si può nemmeno più tanto cavalcare l’idea della coppia composta da uno sbirro giovane e scapestrato e da un altro “Troppo vecchio per queste stronzate”, perché Mel Gibson non è che ringiovanisca, quindi anche per Riggs arriva il momento di fare i conti con Padre Tempo e magari mettere la testa a posto, o almeno provarci.
La scena di apertura è memorabile come la ricordavo nel suo essere esagerata (ma proprio appena appena), non ho mai capito perché un tizio in tuta corazzata dovrebbe seminare il panico senza apparenti ragioni armato di mitra, lanciafiamme e Walkman (ah! Il 1998, altri tempi!) nelle orecchie, ma tra una sparatoria, un’esplosione e Roger che fa l’imitazione dell’anatra, arrivano le rivelazioni, Lorna Cole (Renè Russo) e Rianne Murtaugh (Traci Wolfe) sono entrambe in dolce attesa, quindi Martin e Roger stanno per diventare rispettivamente, papà e nonno, auguri ragazzi!
La trama si complica perché Rianne, con timore della reazione di gelosia paterna, ha tenuto segreta l’identità del padre del bambino che altri non è che il nuovo arrivato nel distretto (e nella serie), il giovane detective Lee Lee Butters interpretato da Chris Rock e ve lo dico fuori dai denti: io ho dei seri problemi con l’umorismo di Chris Rock.
Nel senso che per pochi minuti alla volta, lo trovo anche simpatico, poi, però alla lunga il suo modo strillato di snocciolare battute mi diventa urticante, a me, non a Richard Donner, che deve aver pensato che avere Chris Rock e Joe Pesci nei panni del logorroico Leo “Okay-okay-okay” Getz doveva essere il massimo dello spasso, motivo per cui i siparietti tra i due abbondano e, per quanto possa essere divertente vedere Rock fare l’imitazione del telefono di sua nonna, dopo un po’ mi viene voglia di fare come Riggs e di mettermi le cuffie in testa per non sentirli.
Motivo per i cui nei primi quarantacinque minuti di “Arma Letale 4”, succede davvero poco o nulla e i centoventisette minuti di questo capitolo (il più lungo di tutta la saga), in certi passaggi si sentono tutti, ma tra casini famigliari e riflessioni sul tempo che passa (uno spasso vedere Riggs unirsi al coro dell’amico «Non siamo troppo vecchi per questa vita!»), per fortuna c’è anche un caso da risolvere e qui arriva il bello. A bordo della barca di Roger, la “Codice 7” (il codice con cui alla radio i poliziotti annunciano che sono in pausa pranzo), i due sbirri, Leo e uno squalo (!), s’imbattono in una nave che trasporta clandestini cinesi.
La novità della sparatoria che segue è il fatto che Riggs ha aggiunto un mirino laser alla sua Beretta Parabellum che gli permette di stendere gli avversari anche con colpi di rimbalzo degni di un giocatore di biliardo, Roger di suo, invece, in quanto nero, si erge a liberatore degli schiavi, nascondendo a casa la famiglia Hong, che diventa l’occasione per trattare (un po’ superficialmente bisogna dirlo) i temi sociali tanto cari a questa saga, ma anche un espediente per portare avanti la trama.
Perché dove ci sono clandestini cinesi, ci sono cattivissimi Boss come “Zio” Benny Chan (Kim Chan), ma soprattutto non può mancare un letale sgherro esperto di arti marziali, ovvero Wah Sing Ku che altri non è che l’esordio in un film americano del grande Jet Li e qui è obbligatoria una piccola parentesi sul grande attore marziale.
Bisogna anche dire che malgrado sia un film del 1998, ha tutto l’aspetto di un film degli anni ’80, il che è coerente con l’età anagrafica del suo regista e le riflessioni sul tempo che passa dei due protagonisti, evidentemente il produttore, la leggenda Joel Silver, doveva aver nasato che per quanto la saga di “Arma Letale” avesse rivoluzionato per sempre il panorama dei film d’azione moderni, era anche arrivata al capolinea, il vecchio Joel evidentemente stava già cercando ad Oriente qualcosa da dare in pasto al pubblico americano, non credo sia un caso se solo l’anno dopo, fu proprio lui a produrre Matrix, perdendo la testa per le idee degli allora fratelli (oggi sorelle) Wachowski, che proprio dai film orientali hanno pescato tantissime trovate per il loro esordio alla regia.
Ma prima dei Wachowski, Silver aveva già messo gli occhi su Jet Li, il suo piano a lungo termine era quello di sdoganare in Occidente il grande marzialista, ma non puoi proprio arrivare dal niente e sperare che Hollywood ti apra le sue porte, ci sono dei passaggi obbligati, tipo esordire in una saga famosa, magari con una particina da cattivo, sfiga! Jet Li nei suoi film girati in patria è SEMPRE stato l’eroe e, inoltre, non è MAI morto, nemmeno quando nel 1994 in “Fist of Legend” ha ereditato il ruolo che era di Bruce Lee nel remake di “Dalla Cina con furore” (1972) e immagino che sappiate come terminava quel film.
Insomma, io non so come sia andata veramente, ma Joel Silver deve aver messo sul tavolo un sacco di argomenti molto interessanti (coff COFF! Dollaroni! Coff! Coff!) perché alla fine Jet Li ha accettato non solo di fare il cattivo, ma anche di morire nel film, peccato che il suo piano di conquista del Paese della torta di mele non è andato proprio benissimo, “Romeo deve morire” (2000) è stato un flop, mentre “The One” (2001) era semplicemente inguardabile, se volete approfondire l’argomento, qui trovate tutto con dovizia di dettagli.
Se non altro, sul set Jet Li ha dimostrato tutto il suo valore, pare che Richard Donner ad un certo punto gli abbia dovuto dire: “Senti un po’ figliolo, belle tutte quelle tue mosse e mossette, però ecco, se riuscissi a farle un pochino più piano, no perché sei più veloce dell’otturatore della macchina da presa, non riesco a riprenderti” (Storia vera!)
Resta memorabile la scena in cui con un velocissimo colpo di mano, Wah Sing Ku smonta il carrello della Beretta di Riggs, ma anche il finale non è male, per la prima volta in tutta la saga, persino Murtaugh è costretto ad intervenire in prima persona nel corpo a corpo finale che caratterizza tutti i film della serie, il suo contributo è quello d’infilare una spranga di ferro nella milza di Jet Li, probabilmente al grido di “Ti devo una spranga, ce l’ho nella panza”, ma magari questa parte nel doppiaggio del film potrebbe mancare.
Avere Jet Li nel film è un valore aggiunto e non solo una parte del “Piano quinquennale” di Joel Silver, Martin Riggs si è guadagnato l’etichetta di “Arma Letale” proprio grazie alla sua conoscenza delle arti marziali, quindi finalmente può scontrarsi con qualcuno che in questa disciplina è un vero portento, motivo per cui la sparatoria in casa Murtaugh, in cui tutti spianano le pistole in faccia a tutti, risulta così dinamica, malgrado tutti i protagonisti (Jet Li escluso), non fossero proprio più di primo pelo e qui ci sta la citazione alla “Frase maschia” di Jet Li: «Ad Hong Kong, saresti già morto»
Anche se spesso soffocata da troppi siparietti comici con Chris Rock e Joe Pesci, proprio l’azione non manca nemmeno in questo quarto capitolo, rivedendo il film mi sono reso conto che l’inseguimento a piedi (in bicicletta per Roger) inizia nello stesso centro commerciale di Los Angeles, in cui Jake Scully pedinava la ragazza oggetto della sua ossessione in “Omicidio a luci rosse” di Brian De Palma (1984), chissà se è ancora in piedi quel posto? Il cinefilo in me non potrebbe mai andare a fare la spesa in un posto del genere senza restare inebetito, anche più del solito.
La parte migliore resta l’inseguimento in autostrada, anche a distanza di anni mi chiedo, come possa essere venuto in mente agli sceneggiatori e a Richard Donner, di pensare davvero ad auto che entrano ed escono dai palazzi (passano per le finestra), una rissa in una casa (sì! Però montata su ruote in corsa sull’autostrada) e Riggs che fa il surfista dell’asfalto usando un tavolino di legno avvolto nel cellophane, se non bastasse che la scena di suo è già mitica, la frase di Roger che legge l’adesivo sul camion (“Se leggete questo cartello siete troppo vicini”) è la ciliegina sulla torta («Più vicini di così si muore»).
Come sempre, la coppia Mel Gibson e Danny Glover fa scintille, io capisco anche perché “Arma Letale 4” sia così sbilanciato verso la commedia, dopo tutto questo tempo, Martin e Roger sono due di famiglia e i due attori così affiatati che anche se stanno sulla barca a prendere per il culo Leo, tutto sommato ci si diverte lo stesso, certo ci sono degli scivoloni, tipo il monologo di Leo sul ranocchio, non funziona bene come momento drammatico che dovrebbe motivare i personaggi e fomentare il pubblico.
Però rivedendo a breve distanza uno dall’altro tutti i film della serie, bisogna dire che anche grazie al fatto che cast e regista non sono mai cambiato, la saga di “Arma Letale” mantiene una sua notevole coerenza interna sia a livello narrativo (ad esempio i Riggs hanno due cani, Billy, ma anche il Rottweiler visto nel terzo film), che a livello visivo, ci sono davvero poche saghe cinematografiche storiche che possono vantare lo stesso primato e qui m’immagino Riggs e Murtaugh che guardano le altre icone cinematografiche come loro ridacchiando a scambiandosi il cinque.
Mel Gibson ha più volte dichiarato di non essere interessato a tornare a vestire i panni di Martin Riggs, il solito Max Landis, da anni va in giro dicendo che lui un soggetto per “Arma Letale 5” lo ha già pronto. Max, benedetto figliolo, fai il bravo per favore, ok? Alla fine va bene così e molto probabilmente quel vecchio volpone di Richard Donner lo aveva già capito, il finale di “Arma Letale 4” è una celebrazione, caramellosa quanto volete, ma fatta con lo spirito da ultimo giorno di scuola, infatti i titoli di coda sono un collage di foto di tutti quelli che hanno lavorato al film, con tanto di “Why can’t we be friends” di sottofondo, ecco, forse anche qualcosa in più che “Caramelloso”.
Ah! Mi hanno riferito che da poco ha esordito anche una serie tv ispirata a questa saga, non mi sono nemmeno scomodato di vedere il pilot, perché sono certo che non avrei fatto altro che passare il tempo a guardare i nuovi Riggs e Murtaugh, come loro due guardano Lee Butters in questo film. Alla fine con “Arma Letale” ci siamo cresciuti in tanti, i protagonisti sono due di famiglia e mi rendo conto di diventare geloso e protettivo, come Roger con Rianne, con le cose a cui sono legato.
Siamo o siamo stati tutti ribelli, zazzeroni e spericolati come Riggs e si spera di arrivare ad accettare il tempo che passa invecchiando come Murtaugh, ma la verità e la costante è una e pure molto semplice: non saremo mai troppo vecchi per queste stronzate!
Sepolto in precedenza giovedì 23 marzo 2017
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