Pocahontas, Dune, Aida degli alberi, Balla coi Lupi, Pocahontas, Hayao Miyazaki, Dune, Pocahontas, Il mago di Oz, i Puffi, Greta Thunberg che per altro ha le trecce, come Pocahontas. Poi bisogna aggiungere Pocahontas e per finire Pocahontas. Li ho detti tutti? Ah già, Pocahontas! Bene, dovremmo esserci sfogati, ora possiamo iniziare seriamente a parlare del film di oggi.
Tanto lo so che Pocahontas tornerà nei commenti qui sotto e soprattutto in quelli su “Infernet”, dove basta che qualcuno legga il nome di James Cameron o veda uno di quei nasoni blu per iniziare a scapocciare, ci sta, impossibile diventare “Il re del mondo” senza una buona dose di ammiratori e detrattori in parti uguali. Se poi in carriera hai mandato a segno il primo e il terzo più grande incasso della storia del cinema, vivi con un mirino in mezzo agli occhi, anche se credo che a Cameron di tutto questo non freghi veramente un’infiocchettatissima.
Come si fa a parlare di “Avatar” nel 2022? Dopo tredici anni di gente che ripete (non per forza a torto) che questo film, pensate un po’, è Pocahontas? Una missione che è allo stesso tempo molto facile ma anche molto complicata, perché per certi versi questo post potrà piacere molto a chi in casa ha una foto di Cameron appesa sopra il bersaglio per le freccette, ma forse nel 2022 è davvero più semplice scrivere di questo film. Invoco Anders Celsius, andiamo per gradi.
Il re (del mondo) ed io
Non mi sono mai nascosto dietro ad un albero di Pandora, se amo il cinema lo devo essenzialmente ai primi tre registi in ordine che mi hanno appassionato con i loro film, uno ci ha lasciati (Leone), l’altro ci ha artisticamente lasciati (Dante), l’ultimo è James Cameron.
Per assurdo con i suoi film in alto nella classifica dei maggiori incassi ho un rapporto bizzarro, i titoli di Cameron che sentirò sempre miei saranno eternamente Terminator, Terminator 2, Aliens – Scontro finale e The Abyss, ovvero quelli in cui Jimmy ragionava ancora da regista più che da regista/produttore e anche quelli davvero geniali della sua filmografia, cavolo! Persino quella bombetta di True Lies l’ho visto più volte dei film per cui è tanto odiato. Titanic l’ho visto una sola volta in vita mia e ho un post a testimoniarlo. “Avatar” invece andai a vederlo prima all’Avatar-Day, cinque minuti di anteprima gratuita, organizzata in concomitanza con il festival di Venezia (quindi sarà stato settembre) e poi in sala, a gennaio del 2010 quando sbarcò anche in uno strambo Paese a forma di occhiali 3D scarpa. Apprezzai molto sia l’anteprima che l’intrattenimento, però da allora non ho mai sentito l’esigenza di rivederlo, convinto che senza uno schermo gigante, un impianto sonoro da terremoto e la dimensione aggiuntiva garantita dagli occhi, avrebbe avuto poco senso (storia vera) ed ora, un po’ di storia!
Pocahontas Avatar: la genesi
Poco prima di imbarcarsi sul Titanic, Cameron mostrò la prima bozza di sceneggiatura di “Avatar” al produttore Jon Landau, era il 1995 (toh! Anno di uscita di “Pocahontas”) ma la tecnologia non era ancora così avanzata da poter permettere al canadese di realizzare un film a cui teneva molto, che sarebbe stato la somma di tutta la sua poetica, due affermazioni impossibili da smentire, visto che Cameron ha speso tredici anni della sua vita (e di quella dei suoi tanti collaboratori) per portare avanti il sogno matto, prima di questo film e poi dei ventidue o ventre seguiti in programma. Qualcuno si dedica al blu di Twitter, altri a quello dei Na’vi, con il sospetto che sia una costosa crisi di mezza età in entrambi i casi.
Sapete com’è andata con Titanic, benino in linea di massima, anche se ci sono stati due grossi sacrifici da fare per diventare il re del mondo, il primo uccidere simbolicamente il Cameron regista (quello davvero geniale) in favore del Cameron regista e produttore, con una mano sul cuore e una sul portafoglio. L’altra morte illustre purtroppo, “Alita – l’angelo della battaglia”, il titolo che sarebbe stato l’anello di congiunzione perfetto nella filmografia di Jimmy, ma invece ora è parte di quella di Robert Rodriguez.
La tecnologia per Cameron è sempre stata alla stregua della citazione celebre di Arthur C. Clarke, indistinguibile dalla magia, nel suo caso del cinema, i suoi personaggi e i loro corpi sono sempre stati in equilibrio tra “ciccia” e metallo: in in Aliens – Scontro finale Ripley si avvaleva ad un paio di braccia meccaniche (quelle gialle del power loader) per trionfare, in Terminator 2 bisognava allearsi con una macchina per sconfiggerne un’altra più avanzata e in Titanic Jimmy ricorreva al massimo della tecnologia disponibile, per creare un grande spettacolo di cinema, mentre in Strange Days, l’ultimo film che Jimmy ha scritto, ma non diretto prima di questo “Alita” e appunto “Avatar”, le parti di ricambio degli umani erano i ricordi, innestati direttamente nella mente.
La “Pinocchia” (non Pocahontas, Pinocchia) Alita passava da un corpo robotico ad uno da battaglia Berserker. Il passo successivo dell’evoluzione Cameroniana (o Camerunense? Boh!) dei suoi personaggi? Vederli uscire dal loro corpo (avendo molta paura, come cantavano gli Elii) per zompare dentro ai corpi Avatar. Insomma potete criticare tutto a Cameron, sport che è stato praticato negli ultimi tredici anni, ma non che manchi della coerenza nel suo cinema, cavolo! Tutti i suoi film iniziano con la lettera “A” oppure con la “T” che cazzo gli vuoi dire a uno così? Forse che è rimasto fin troppo legato alla sua poetica? Ecco, parliamone.
Avatar – il gioco alcolico parte 1: tana per Jimmy!
Armatevi dell’alcolico che più preferite e fatevene un sorso ogni volta che in “Avatar” compare una cosa alla James Cameron: Marines cazzuti dentro a power loader meccanici come in Aliens (due bevute!), la multinazionale cattiva che vuole sfruttare gli alieni, rappresentata dal Burke di turno qui fatto a forma di Giovanni Ribisi (almeno quattro bevute). L’eletto e la predisposizione naturale a stare dalla parte delle cameriere e dei colletti blu di questo mondo come in Terminator.
Sigourney Weaver che quando ha accettato di tornare a lavorare con Cameron, il nome del suo personaggio è stato modificato, perché in originale la dottoressa si chiama Grace Shipley, ma fare Ripley e Shipley sarebbe stato troppo (storia vera).
Poi cosa vogliamo metterci ancora, Michelle Rodriguez che ambisce (senza successo) al ruolo di Vasquez 2.0? Oppure il protagonista spavaldo e senza paura, ultimo degli ultimi come Leo DiCaprio? L’elenco sarebbe lunghissimo, a voler fare un gioco alcolico così, dopo un’ora di “Avatar” sprofondereste in un coma etilico tanto serio dai cui potreste risvegliarvi forse, in tempo per l’uscita di “Avatar 5”.
Avatar – il gioco alcolico parte 1: … É Pocahontas!
Armati dello stesso alcolico, se ancora riuscite a berlo dopo essere quasi morti con la prima parte di questo gioco alcolico, bevete ogni volta che notate quando il film somiglia a “Pocahontas” (una cosa originalissima che non è mai stata detta su “Avatar”) oppure a Balla coi lupi, con il soldato bianco e buono, che impara e insegna ai nativi e finisce per guidarli e per innamorarsi della “Alzata con pugno” di turno. Basta dire che in entrambi i film ci recita Wes Studi!
I temi ecologisti Hayao Miyazaki che se li fa lui avete tutti gli occhi a forma di cuore, se invece li racconta ‘sto bastardo di Cameron è un ipocrita perché è ricco, come se non avesse passato anni sotto sotto il mare (cit.) avendo a cuore il destino degli oceani, come testimoniato nel documentario “Aliens of the Deep” (2005). Anche se vogliamo dirla proprio tutta? Invece di citare quella cazzo di Pocahontas, vogliamo fare le citazioni giuste? Un pianeta da cui viene estratto il Melange (o Spezia, che in “Avatar” si chiama Unobtainium), un giovanotto che non sa nulla e che impara dai nativi, diventando il loro Muad’dib come? Cavalcando il più grosso degli animali fallici in circolazione, in Dune era un verme, in “Avatar” un uccello, perché tanto il principio è sempre quello di Rocco Siffredi: chi lo ha più grosso se la comanda.
La tecnologia e gli effetti speciali
Siamo arrivati al nodo gordiano, per anni “Avatar” è stato giustamente ma frettolosamente etichettato come una trama già vista e si, begli gli effetti speciali. Affermazione che vince ogni anno il premio G.A.C. (Grazie Al Cazzo) dal 2009, perché la sensazione generale è che “Avatar” sia poco di più che un grosso film d’animazione in 3D, ben fatto eh? Ma se un film costa 237 milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, come minimo deve esserlo. Il problema è che per Titanic, ci hanno sfrangiato le palle con la storia d’amore, che poi è uno dei motivi per cui il film sta al terzo posto dei più grossi incassi della storia, dopo essere stato il primo per decenni. Mentre la “difesa” di “Avatar” è sempre stata basata sui freddi numeri, che dicono molto ma interessano a pochi, perché Cameron predica ai convertiti.
Tu puoi spiegare che “Avatar” ha fatto fare un salto in avanti alla tecnica della “Performance capture”, che non si riassume con Andy Serkis con i sensori per il MOCAP in faccia, ma è basata 50% sulla prova dell’attore, sui suoi movimenti, ed ecco perché Cameron ha fatto allenare tutti come pazzi, a partire da Sam Worthington che si è beccato l’allenamento con il fratello di Jimmy, ovvero John David Cameron, professione istruttore dei Marines (storia vera). Puoi anche parlare delle tre nuove macchine da presa create da Cameron e dalla sua squadra per gestire il 3D e per poter girare tutto in “nativo”, con Jimmy che aggirandosi per il set con la sua “Virtual camera” (una sorta di console portatile) poteva vedere attraverso lo schermo il girato quasi completo, prima dei ritocchi foto realistici della Weta, il tutto in presa diretta, come calarsi direttamente dentro Pandora in una specie di realtà aumentata. Tutta roba passata quasi inosservata perché tanto, “Avatar” è Pocahontas no? Bisogna passare al prossimo titolo in uscita con la frase fatta più frettolosa possibile, per non restare indietro sulle mode di “Infernet”.
Rivedere Avatar nel 2022: «Io ti vedo!»
Nel 2009 il 3D nativo del film regalava ad “Avatar” una marcia aggiuntiva, quando Jake nella foresta pluviale di Pandora fugge dai predatori, non era come vedere il classico machete di Jason lanciato in faccia al pubblico, aggiungeva davvero un valore all’esperienza di guardare quel film in sala. Io che sono un fautore della ripetibilità dei film (facile sembrare belli e spettacolari su uno schermo IMAX, prova a farlo sulla tv di casa), non ho mai avuto voglia di rivederlo questo film e ho sbagliato. Perché “Avatar” anche rivisto a casa su Disney+ non solo è molto spettacolare, “Avatar” a livello estetico e di effetti speciali, rifila ancora due o tre piste a tutta la roba uscita negli ultimi dieci anni, basata sugli effetti speciali. Vedere per credere (o ricredersi).
Sfido chiunque a riguardare un film della Marvel tra sei o sette anni senza alzare un sopracciglio per gli effetti speciali oppure usiamo un esempio concreto, la battagliona con gli olifanti dell’amatissimo (anche da me) Il ritorno del Re ha l’equivalente delle rughe in CGI. “Avatar” no e non lo avrei mai detto, ma basta rivederlo per avere una prova concreta, gli effetti visivi sono freschi come un cetriolo, dai volti dei Na’Vi al fumo che sollevano gli elicotteri quando atterrano, durante la distruzione dell’albero-casa si vedono le schegge di legno, oppure la pigmentazione differente sulla punte della zampe di quella sorta di “iene” notturne che aggrediscono Jake, basta avere gli occhi per notarlo questo, infatti proprio su quelli Cameron si concentra.
Avatar: prima o poi tutti i registi fanno un film sullo sguardo…
… Quello di Cameron è “Avatar” che iniziava mettendosi gli occhiali 3D sul naso nel 2009 o con il primo piano sull’occhio di Sam Worthington nella prima scena, e finisce in maniera circolare, dopo il suo percorso dell’eroe con “Jakesully” rinato nel suo corpo blu, che apre di nuovo gli occhi. L’unico momento in cui capisci per davvero che “Avatar” non è un film del 2022 ma uno del 2009 è quando parte “I see you” di Leona Lewis, un pezzo che non è mai diventato (per fortuna) un “My heart will go on 2.0” perché la Lewis ha avuto una carriera peggiore di quella di Worthington e perché ogni tanto, le pensate di James Cameron (più produttore che regista) si fermano, dove quella da regista e basta invece superano la prova del tempo.
La prima parte del film è tutta caratterizzata da carrelli molto classici e da una fotografia tendente al grigio-ferro delle macchine, perfetta a rendere l’immobilismo del protagonista bloccato sulla sua sedia a rotelle e circondato da Marines. Un doppio, il gemello sopravvissuto chiamato in sostituzione, per non sprecare i milioni spesi per il corpo Avatar nell’incubatrice, ultimo degli ultimi, un personaggio spezzato tra gli umani che rinasce dentro un nuovo corpo, ora lo capite quanto era importante Alita nella filmografia di Jimmy? La scena della corsa di Jake è bellissima, alla faccia di chi sostiene che sia un film con poche emozioni. Questo povero Cristo non poteva più camminare e ovviamente quanto torna a farlo cosa fa? Corre, come faceva Jimmy sui set secondo Corman, lo fa in un mondo che come quello di Oz è a colori (infatti il colonnello Quaritch accoglierà le truppe con una citazione a tema), forse anche troppo sparati, perché Pandora è quello che Cameron ha visto quando pilotava sottomarini in “Alien from the deep”, un fondale oceanica sulla terra, pieno di fluorescenze e cavalli che sembrano cavallucci marini. Ecco, poi capisco che tutto questo passi un po’ inosservato o in secondo piano, se i locali li chiami con poca fantasia Na’Vi, una contrazione che suona proprio come nativi.
Però rivedendo il film ho capito perché non sono mai stato negativo nei confronti di “Avatar”, parliamoci fuori dai denti, dopo che hai fatto digerire al pubblico l’idea di uno che zompa dentro un corpo Avatar, non puoi dargli una storia che sia troppo complicata, non arrivi ad incassare 2.922.917.914 di dollari se non hai una storia più che classica, una sotto trama romantica, un cattivo talmente malvagio che da solo fa il 50% del film, menzione d’onore per Stephen Lang, sugli scudi, dopo una carriera da gregario. Tutto questo è il modo di pensare più da produttore che da regista di Cameron, che è stato bravissimo a “vendere” il suo sogno matto a tutti quelli che al cinema non ci sarebbero andati mai, non tanto a chi il suo cinema lo conosce bene, anche se “Avatar” è una somma, un bignami che ha dentro tanta roba alla Cameron ma anche qualcosa che al cinema mi piace sempre ritrovare, l’avventura.
Non solo Cameron è molto bravo a creare un mondo così pericoloso dove se non sei un Marines super cazzuto (e nemmeno basta) o un Na’Vi alto tre mesi con le ossa in carbonio, probabilmente morirai male in tempo tre secondi, ma tiene così tanto al suo messaggio ecologista che ti ammorba con il fatto che se pesti una felce su Pandora offendi Eywa e tutto il creato. Ci riesce così bene che poi, utilizza il suo cattivo ultra stereotipato per vendere al pubblico generalista il suo messaggio ecologista e anti colonialista scritto con il pennarellone a punta grossa (se non proprio con il pennello cinghiale), come? Facendovi vedere quei fottuti bastardi che distruggono l’albero-casa, scena spaccatutto visivamente da applausi, in grado di far sentire in colpa anche chi faceva già la raccolta differenziata alle elementari.
C’è un passaggio chiave in “Avatar”, che per me dice tanto della posizione di Cameron in merito, ovvero quando Jake dice: «Ero un guerriero che ha sognato di poter portare la pace, ma prima o poi ti devi svegliare». Cameron le sue contraddizione se le vive molto bene, non solo perché è ricco da potersi permettere la sua flotta privata di sommergibili (storia vera), ma più che altro a quel messaggio ci crede. Jimmy è consapevole di essere il primo dei capitalisti che sta spendendo un capitale per fare un film idealmente contro il capitale, ma è il suo intento. Se andare al cinema, vuol dire stupore, immergersi in mondi immaginari e lasciarsi trasportare dall’avventura, “Avatar” fa questo, ritorna idealmente ai temi di uno dei romanzi chiave della fantascienza come “Dune”, per fornire uno spettacolo, intrattenimento al suo meglio, infatti più che per i messaggi, “Avatar” coinvolge perché i personaggi archetipici quanto volete, funzionano.
Un difetto vero di sceneggiatura? Io una scena dove Michelle Rodriguez, viene chiamata a rapporto da Stephen Lang dopo il suo rifiuto a bombardare l’albero-casa l’avrei messa. Avrebbe dato spessore al cambio di casacca della sua Trudy, ma un dialogo con due attori in carne ed ossa su un set, era troppo facile da girare, Cameron forse si annoiava.
Avatar un film del 2009 2022: il suo lascito
Se un film si valuta anche dalle critiche in grado di generare, allora “Avatar” si merita di stare lassù tra i più grandi incassi di sempre. La gran campagna pubblicitaria messa su è la vera astuzia di questo nuovo Cameron 50% regista e 50% produttore, che amo decisamente meno di quando era 100% regista e sfornava The Abyss. Però è innegabile che tredici anni fa Jimmy ha visto il futuro del cinema, nei suoi film ci sono sempre state donne forti, in “Avatar” ne abbiamo tre, anticipando una tendenza che è diventata la normalità (o quasi) nel 2022. L’inclusività? Cameron ha affidato i ruoli dei Na’Vi ad attori di colore o nativi americani (da Zoe Saldana e Wes Studi, passando per CCH Pounder) e nessuno si è mai accorto di nulla. Oggi forse lo accuserebbero di razzismo o di buonismo, ma in ogni caso ci era già arrivato, così come ai temi ambientalisti che ogni venerdì molti ragazzi giovani portano in piazza, tutto questo, su una trama classica, semplicissima (e che sa di già visto e di Pocahontas), unita ad effetti speciali che non sono invecchiati di un giorno, alla faccia di tanti altri blockbuster. Tutta roba che mette in chiaro che “Avatar” non è un film del 2009 ma uno del 2022, più coinvolgente e più curato della media del vostro film ad alto budget americano targato 2022, solo che è uscito in sala tredici anni fa.
Bisogna dire che a livello di impatto sulla cultura popolare, Titanic ha fatto molto di più, ironico per un film come “Avatar” basato sulla costruzione di un mondo, però siccome non sono uno di quei blogger che pretende di avere le risposte (al massimo posso stuzzicarvi delle domande nella testa), l’idea che mi sono fatto io sul perché la strada segnata da Cameron con questo film, non sia stata seguita da nessuno è questa: ok il 3D è una cazzata pensato per scucirvi soldi, come sostiene giustamente il Maestro John Carpenter. Ma perché non molti hanno soldi, voglia e tempo per produrre un film da 237 milioni di dollari, iniziato a girare nel 2007 dopo anni di pre produzione e uscito solo nel 2009.
Molti hanno pensato che era meglio riconvertire i loro film in 3D senza che questa tecnica avesse un vero senso narrativo, se non chiedervi una maggiorazione sul biglietto. Non è un caso se solo qualche grande Maestro del cinema abbia sfornato film in 3D con una logica (Scorsese o il solito Dante), gli altri come la multinazionale di “Avatar” hanno provato ad arraffare e basta. Perché ci va dedizione, tempo, soldi, talenti, fatica e sudore per fare un film che arriva al primo posto degli incassi (due volte, visto che ha contro sorpassato Endgame) e che rivisto oggi, sembra un film contemporaneo e non vecchio di tredici anni. Molto più facile lavorare a tirar via senza pensare al futuro.
L’avventura che vuole essere solo ottimo intrattenimento di “Avatar” forse ha la colpa di essere questo, un film del 2022, ovvero di un’annata in cui il cinema per tutti è diventato omologato, quindi diventa un pregio o un difetto aver anticipato il futuro? Io risposte non ne ho, al massimo posso fare la cronaca dei fatti, consapevole di una cosa: Jimmy Cameron come Marty McFly ci pensa sempre al futuro, ed ora vedremo se il suo sogno matto di altri seguiti di “Avatar”, dopo quello introduttivo in stile Balla coi lupi (o Pocahontas!), magari ambientati uno in ogni elemento (acqua, aria, terra e fuoco… vediamo se ci azzecco), sarà davvero un altro sguardo sul cinema del futuro oppure un bluff.
In ogni caso con i film o con i bluff si fa la stessa cosa, si vanno a vedere, ed ora che il piano di James Cameron, iniziato nel 2009 mi è più chiaro nel 2022 posso dirlo: io ti vedo, Jimmy! Con voi Bariste e Baristi e con “Avatar 2” invece, ci vediamo qui tra qualche giorno.
Ultima prima di vedere la sezione commenti andare a fuoco come l’albero-casa: questo era l’ultimo film che mancava su queste pagine, di uno degli eroi di questa Bara. Tutti gli altri se vi va, li trovate nell’ala della gloria della Bara dedicata al canadese.
Sepolto in precedenza lunedì 12 dicembre 2022
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