Cosa avete fatto negli ultimi tredici anni? Siete andati a letto presto? Avete visto buoni film o fatto buone letture? Vi siete ubriacati? Innamorati? Avete giocato a basket, messo al mondo bambini? Qualcuno di voi ha odiato su “Infernet” (lo so, io vi vedo), uno in particolare è stato su Pandora, il suo nome lo sapete, James Cameron. Ah, nessuno “Spoiler”, leggete tranquilli.
Jimmy: time is on my side (yes it is)
Tredici anni sono tanti per un solo seguito di Avatar? Probabilmente, ma chi sono io per dirlo, me lo immagino Cameron impegnato ad ignorare le chiamate della Fox che per tutto questo tempo, da lui voleva una data di uscita, magari uno straccio di trailer e poi, continuare a fare lo stesso con i dirigenti della Disney, diventati nel frattempo i suoi nuovi capi: «Ah sì, siete la Disney? E un bel chissenefrega non ce lo mettiamo? Sloggiate ho da fare»
Ho sempre ritenuto la testardaggine un valore e la voglia di fare il proprio lavoro per bene una virtù, tredici anni forse sono un po’ tanti per sfornare un film solo, anche uno molto bello come “Avatar – La via dell’acqua”, ma per un film da 192 minuti, seguito a breve distanza da un altro seguito già girato, uno in post produzione e uno annunciato, che dovrebbe arrivare se il folle piano aziendale di Jimmy dovesse essere premiato dal botteghino, beh allora forse non sono così tanti.
Anche perché il lavoro duro, la cura, l’ossessione per il dettaglio di “Avatar – The Way of Water” ti colpisce e ti riempie lo sguardo ben più del 3D, per altro ottimo, per nulla fastidioso, tanto da creare dipendenza, diventando parte dell’esperienza del godersi questo spettacolare film sullo schermo più grosso a vostra disposizione, possibilmente con un audio da terremoto. Ma fosse tutto qua questo tanto atteso e chiacchierato seguito, Cameron si prende il suo tempo per raccontare, forse anche più del necessario nel secondo atto, ma anche qui, tutto lavoro e cura che paga dividenti nel coinvolgente finale. Quindi se l’idea di un film di 192 minuti vi spaventa, sappiate che percepiti sono più o meno la metà e poi beh, paura al bando, Jimmy al comando, oppure… He’s Back! Questa erano tredici anni che me la tenevo nel taschino.
L’arte del capitolo numero due
La battuta facile è che “Avatar – The Way of Water” sia il terzo miglior seguito mai diretto da Cameron, sapete già quali sono gli altri due. Ma di fatto è anche il migliore dei seguiti possibili, quello che tiene conto degli anni passati e li utilizza come spunto per far cominciare una storia che come Cameron ci ha abituati, tiene conto degli effetti del capitolo precedente.
“Avatar 2” è nettamente diviso in tre atti, il primo è quasi una “coda strumentale” del film del 2009, quasi un lungo prologo con cui possiamo riabituare gli occhi allo spettacolo di Pandora per ritrovare Jake Sully (Sam Worthington) e Neytiri (Zoe Saldana), che si sono goduti la pace figliando come conigli. Tra figli biologici e adottivi, hanno messo su una bella squadra di basket composta dal prediletto figlio maggiore Neteyam (Jamie Flatters), il mezzano combina guai Lo’ak (Britain Dalton) e la piccolina puccettosa Tuk (Trinity Bliss). Dalla panchina invece partono l’interessante personaggio di Spike (Jack Champion) il buon selvaggio, il neonato umano lasciato indietro dalla ritirata della sua specie, perché troppo piccolo per le crio capsule e cresciuto come un Na’vi, anche se il suo vero padre biologico e il cattivissimo colonnello Miles Quaritch, giusto per mettere un po’ di pepe al melò organizzato da Cameron.
Se il nostro Jimmy poi, ha bisogno di un personaggio speciale, quello deve essere femminile per forza e se con il volto di Sigourney Weaver meglio. Mettendo in chiaro le potenzialità della “Performance capture” avanzata di Avatar, una delle predilette di questa Bara torna nel ruolo dell’adolescente Kiri, nata dal corpo Avatar della dott.sa Grace Augustine, rimasta misteriosamente incinta. In quanto generata da una “immacolata concezione” (e qui ci sono degli echi ai John Connor che furono) risulta in contatto più degli altri con Eywa, oltre ad essere la solita adolescente che non ha ancora trovato il suo posto nel mondo. Tutta roba che immagino, farà storcere il naso al pubblico abituato ad avere tutte le risposte subito, strategia di cui Cameron se ne frega, visto che l’arco narrativo di alcuni personaggi si svilupperà nei prossimi capitoli, quindi Sigourney Weaver avrà da fare fino al 2030, anche se per fortuna le nuove leve in casa Sully sono personaggi che funzionano bene, alla moda di Top Gun – Maverick non si tifa solo per le vecchie glorie.
La pace termina con il ritorno degli umani, dopo aver preso le scoppole nel primo film, questa volta vogliono Pandora a tutti i costi visto che la Terra è ormai morente, per questo a comandarli hanno messo Edie Falco nei panni del generale Ardmore, d’altra parte Carmela era già il vero Boss della famiglia Soprano, quindi non vedo errori.
La nuova strategia ben più aggressiva? In linea con la politica di Cameron e con la regola aurea dei seguiti: uguale al primo ma di più! Se nel primo capitolo avevamo un solo Marines dentro ad un corpo Avatar, qui ne abbiamo un intero plotone, ovviamente capitanato dal redivivo colonello Miles Quaritch in versione spilungone blu, gettare via l’azzeccatissimo cattivo interpretato da Stephen Lang sarebbe stato un crimine. Anche perché attraverso il cattivone, “Avatar – The Way of Water” mette in chiaro ancora una volta la sua natura, il Western di James Cameron.
Avatar – la via del Western revisionista
Più che creare una realtà aliena che risulti per davvero “altra”, già con il primo capitolo Jimmy aveva messo in chiaro il suo interesse nel traslare caratteristiche dei popoli nativi e delle dinamiche da Western revisionista sui suoi personaggi. Il plotone di Quaritch sembra un gruppo di “Buffalo Soldier” che sfruttano Spike come guida indigena e traduttore. Mentre l’invasione umana degli Stati Uniti di Pandora da parte dei colonizzatori continua, i soldati hanno il compito di beccare l’obbiettivo chiave, Geronimo Jakesully, per anni nascosto sulle montagne e impegnato a guidare la resistenza viene costretto ad una scelta da capo, scomparire, vivere per combattere un altro giorno e mettere in salvo la sua famiglia («I Sully restano uniti»), quindi via, si vola tutti a sud, per chiedere ospitalità al clan della barriera corallina Metkayin, dei Na’Vi subbaqqui, non a caso color verde acqua, con la metaforica coda più grossa per nuotare e con atteggiamenti e tatuaggi molto Maori, ma considerando il loro rapporto di simbiosi con i cetacei marini chiamati tulkun, sembrano un po’ i nativi con i bisonti, ed è qui che comincia il secondo atto del film, quello dove potrebbe sembrare che la Disney si sia infiltrata nel piano di lavorazione di Jimmy, anche se non è così, parliamone!
Avatar 2: È Pocahontas! È Free Willy! No è Lilo & stitch!
Lo so che non aspettavate altro odiatori da “Infernet” infiltrati come i soldati di Quaritch che non siete altro, questo è il capitolo che vi stava più a cuore. Anche se vorrei ben capirlo cosa intendono lor signori per “trama troppo semplice”, perché ci sarebbero mille mila film con “trame semplici” che funzionano alla grande, ma immergiamoci nella questione.
Il secondo atto del film si prende tutto il suo tempo per mostrare i Sully impegnati ad imparare usi, costumi e tecniche di nuoto e respirazione di Metkayina, mentre Quaritch impara in parallelo a fare il Na’Vi. Qui tutti i principali interessi di Jimmy convergono, tecnologia e amore per immersioni e fauna marina vengono sfoggiate con una joy de vivre talmente sincera da coinvolgere nello spettacolo visivo. Che le dinamiche sia quelle classiche di un Western revisionista è chiarissimo, così com’è chiaro che “Avatar 2” abbia a cuore il tema della FAMIGLIA come il 90% dei film americani contemporanei, perché se volete l’innovazione da Cameron, non è nelle trame volutamente classiche che dovrete cercarla, “Avatar 2” ha troppi soldi in ballo e Jimmy, 50% regista e 50% produttore lo sa bene.
La diciamo tutta? Tra ambientazione Maori, l’importanza della famiglia e tutti questi alieni blu, si sente molto Ohana nell’aria, manca solo la musica di Elvis e poi una certa dose di “Lilo & stitch” (2002) l’abbiamo.In compenso, siccome a James Cameron stavano a cuore gli oceani prima che fosse una moda, ci vuole anche il tulkun reietto con cui Lo’ak, il figlio casinista, stringe amicizia. Insomma, avete passato una vita a dire che Avatar era Pocahontas? Benissimo, James Cameron se ne sbatte il cazzo e ci butta dentro anche un po’ di “Free Willy”, perché lui è Cameron e voi no, tiè!
Eppure bisogna essere lucidi, siamo ancora di fronte al Jimmy 50% regista e 50% produttore che basa la sua storia dall’enorme impatto visivo, su dinamiche di trama sicure, ma se siete tra quelli che temevano le ingerenze Disneiane nel suo lavoro, vi dico solo questo: braccia mozzate in bella vista, fori d’uscita delle pallottole, una caccia alla balena – dopo averci fatto affezionare al bestione marino – che ti strappa via il cuore del petto e non solo per quanto risulti visivamente impeccabile ma soprattutto, tenetevi forte, uno dei pochi personaggi in un film del 2022 che muore e RESTA MORTO. Avete presente i film contemporanei dove non muore più nessuno? “Avatar – La via dell’acqua” non è uno di quelli, alla faccia di Topolino.
Restando sempre lucidi nell’analisi, non è che il tema della famiglia sia estraneo alla poetica di Cameron, i Sully sono a tutti gli effetti per il canadese quello che per Lucas hanno rappresentato gli Skywalker, ma a ben guardarli tutti i personaggi sono piccole e piccoli Newt, con gli adulti intorno, alle prese con la loro personale idea di genitorialità, Ellen Ripley ci era già passata. Quindi la parte mèlo è forte (come lo era in Titanic) ma si fa strada in maniera naturale, anche tra le difese del pubblico, esplodendo in tutta la sua potenza nell’ultimo, grandioso, atto del film. Perché si vero, messa in scena perfetta e trama semplice (come stanno scrivendo TUTTI senza aggiungere altro), ma “Avatar 2” è più di una bella scatola e basta, Cameron ci crede un sacco nel suo messaggio ecologista, che può piacere o meno in base al vostro livello di cinismo, ma sa come raccontarlo in maniera coinvolgente e a mio avviso anche emotiva. Per questo spero riuscirà a terminare (ah-ah) il suo sogno matto di portarci a zonzo per Pandora, per tutti e cinque i film in programma e con quel senso della meraviglia e dello spettacolo – perché montaggio e regia sono confezionati ad arte – che al cinema sono rimasti nelle mani di ben pochi grandi registi, un piccolo club di cui Cameron qui dimostra di fare ancora parte, malgrado i dubbi di tanto pubblico paventati durante gli ultimi tredici anni d’attesa.
Spettacolo visivo e comparto tecnico che lèvati, ma lèvati proprio (forma e sostanza, cuore e cervello e quelle robe lì)
Mi ha colpito rivedere Avatar e scoprire che in realtà si tratta di un film del 2022, con effetti speciali di gran lunga migliori di quelli di tutta la concorrenza. “Avatar – The Way of Water” invece viene dal futuro. Per l’interazione (ulteriormente migliorata) tra attori in carne ed ossa e quelli in digitale, viene da credere che Jimmy abbia davvero dei Na’Vi a libro paga che recitano per lui, le texture sono superlative, l’effetto dell’acqua è spaventosamente bello per uno come me che nemmeno sa nuotare. Tutto quel muovere la macchina da presa sopra o sotto il pelo dell’acqua è roba da documentario più che da film d’intrattenimento come punto di vista, il 3D non è una scusa per mostrare frecce puntate in faccia al pubblico, ma è semplicemente fuori scala, viene utilizzato per immergersi (letteralmente!) in questo mondo sotto sotto il mare (cit.), con tutta la maestria registica di uno che per le immagini, ha un occhio bionico come Cameron. Nel film ci sono boh, venti momenti di regia e montaggio che fanno sembrare tutti i colleghi del canadese dei dilettanti, roba che terrà botta non solo per la qualità degli effetti speciali, ma anche rivista a casa senza il 3D, perché se un film è girato bene, sopravvive alla prova del tempo. Che comunque è tutto dalla parte di Jimmy, come si diceva lassù.
Il rischio con un film come “Avatar – La via dell’acqua” è perdersi a descrivere i movimenti di macchina superlativi di Cameron, voglio fare un solo esempio delle ottime intenzioni di Jimmy, che qui sfrutta il massimo della tecnologia possibile, per rifare nel suo film una di quelle scene che da sempre rappresenta il massimo dell’ottimo cinema d’intrattenimento, l’inseguimento dell’Orca a Bruce e sapete che io non scomodo mai Lo Squalo a caso.
Jimmy ci porta su una baleniera, un po’ perché ‘sta in fissa dura con le robe sottomarine e se ama fare pornografia dei mezzi militari, figuriamoci di quelli della marina. La scena è in parti uguali esaltante per cura dei dettagli e per maestria, ma è anche un momento spaccacuore con cui Cameron può ribadire la sua critica (scritta con il pennarello ma sentita) a colonialismo e allo sfruttamento, visto che la povera tulkun viene uccisa per dell’olio di balena usato in campo cosmetico e la sua carcassa abbandonata come i bisonti di beh, Balla coi lupi, perché tanto anche “Avatar 2” non si discosta dai classici e non me ne potrebbe fregare di meno, visto che il risultato finale è dannatamente riuscito. Perché a questo punto della storia come spettatore, ti senti pronto a rinunciare alla tua specie (come farebbe il combattuto Spider) per unirti alle fila dei Na’Vi anche subito. A questo punto Jimmy avrebbe già vinto tutto, ma siccome è Cameron arriva l’ultimo atto del film e qui davvero, il superiore magistero tecnico del canadese fa impallidire tutta la concorrenza.
Avatar 2 – Scontro finale
L’ultimo atto di “Avatar – The Way of Water” è una roba da mal di testa, non per via del 3D anzi, nessun problema con quello, visto che è parte integrante dello spettacolo, ma più che altro per il numero di dettagli. Ci sono tanti personaggi che si muovono attraverso una fila di sequenze tanto lunga da sembrare una sola, eppure come spettatore nemmeno per un momento non hai chiaro dove si trovino, quale sia la distanza tra di loro, in un controllo di tempi e spazi che è frutto di talento visivo e preparazione maniacale. Non solo la scena è piena di azione, esplosioni, sparatorie in cui il 3D rende i colpi schivati più che scie di luce oltre la testa dei personaggi, ma soprattutto Cameron riesce a dosare il pathos al meglio. La storia dei personaggi e le loro dinamiche, vengono portati avanti a colpi d’azione, come bisognerebbe sempre fare nei grandi film di questo genere, il risultato è una battaglia finale che fa sembrare quella già notevole di Avatar un film girato in un tinello, perché non vuoi metterci dentro anche l’affondamento di una nave? La corsa contro il tempo è una caratteristica dei film di Cameron e se non c’è una bomba atomica che sta per esplodere, allora ci deve essere l’acqua che sale pericolosamente.
Ad un certo punto della visione ero sopraffatto dal quantitativo di lavoro svolto per girare queste sequenze e dal numero di dettagli con cui Cameron riempie occhi e schermo. Cosa ci sarà stato scritto sulla sceneggiatura? Neytiri si arrampica per cercare l’uscita mentre la nave si ribalta? Ok, però il risultato finale è vedere il personaggio di Zoe Saldana (che ha pochi momenti ma da applauso, specialmente quando Going Berserk nel finale, solo come una mamma può fare) che si muove come un gattone blu aggrappandosi alle sedie avvitate a terra, che ribaltate di novanta gradi causa ribaltamento della nave, diventano appigli solidi da utilizzare. Anche per questo tipo di dettagli, sui titoli di coda, mi sono ritrovato a pensare che quella poltrona, non ero pronto a mollarla, come un politico insomma. Mi sentivo prontissimo a rivedere il film una seconda volta, subito, alla faccia dei 192 minuti. Poi hanno minacciato di staccarmi dalla poltrona con gli idranti e qui ho capito perché si intitola “La via dell’acqua”, ma questa è un’altra storia.
Conclusioni: posso avere Avatar 3 tipo… adesso? Grazie!
Non posso sapere se questo film guadagnerà i due miliardi senza i quali, sarà in automatico una delusione, visto il quantitativo di ex presidenti defunti stampati su carta verde spesi per realizzato, che si vedono tutti eh? Usati al meglio fino all’ultimo centesimo. Non so quanti Oscar vincerà o se permetterà a Cameron di stare su Pandora fino al quinto, già annunciato film. Sono certo di una cosa sola, anzi due, la prima è che dopo “Avatar – La via dell’acqua” sembra già tutto vecchio, quel modo di sfornare i film con lo stampino su cui si son adagiate le serie cinematografiche moderne, oppure guardare qualunque altro film ad alto budget, senza, non dico questi effetti speciali venuti dal futuro, ma quella cura per dettagli, tempi, spazi e caricatori che vengono sostituiti (altra rarità!), farà provare la stessa malinconia per Pandora che fino ad ora, provava solo Jake Sully.
Io non so se hanno ragione quelli là che gufano sperando nel flop o se hanno ragione questi qua, che di un film così parlano solo di quanto sia spettacolare visivamente e poco altro. Come in un pezzo a tema che mi piace tanto, non credo a quelli là, né credo a questi qua, credo che il cinema di James Cameron abbia come suo elemento naturale l’acqua, sono certo che perdersi un film così, vuol dire lasciar scorrere via una grande occasione per passare 192 avvolti nel caldo abbraccio del grande cinema. Quindi anche se la Disney o Cameron non mi danno un centesimo, io il suggerimento gratuito di non perdere l’occasione per immergervi, ve lo lascio qui lo stesso, be water my friend, be water (cit.)
Il nostro pianeta è coperto dal 70% di acqua, noi siamo fatti al 70% di acqua, il restatane 30% che sarà? Alcuni metri di intestino, quelle due caramelle gommose che ho mangiato mentre scrivevo questo post e il bisogno di storie che il cinema, quello proprio coinvolgete sa raccontare, quindi non so cosa riserverà il futuro a questo film o alla settima arte in genere, solo di un’altra cosa sono certo, una delle mie poche monumentali certezze, si riassume con tre parole, un nome e un cognome: mai scommettere contro James Cameron.
Vi ricordo lo speciale di questa Bara dedicato a quel canadese testardo.
Sepolto in precedenza lunedì 19 dicembre 2022
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