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Baby Driver (2017): alzate il volume e abbassate il pedale dell’acceleratore

Non so voi, ma ho tre modi che apprezzo più degli altri per sentire la musica, il primo è con le cuffie, possibilmente ad un volume criminale che mi isola dal mondo, roba che se qualcuno per caso mi rivolge la parola, sembra che stia cantando il testo della canzone che hai nelle orecchie. L’altro è in macchina, quando sei coccolato dalle casse intorno a te, non puoi direi di aver sentito per davvero un disco finché non lo hai ascoltato mentre imbocchi una curva tenendo il volante in mano. Sapete dove altro mi piace sentire la musica? Nei film.

Edgar Wright dopo aver mollato per “Divergenze artistiche” la regia di Ant-Man ha annunciato subito che si sarebbe dedicato ad un film intitolato “Baby Driver” come un pezzo di Simon & Garfunkel, personalmente se uno come Wright annuncia qualunque cosa, anche “Farò un film tratto dalla mia colazione mattutina” ha tutta la mia attenzione, perché l’autore della trilogia del cornetto e dell’ottimo “Scott Pilgrim vs. the World” (2010) (sì, ho detto ottimo e non me ne pento) per quanto mi riguarda può fare quello che vuole, infatti “Baby Driver” è l’ennesima prova del suo talento, un altro gran titolo in una filmografia finora impeccabile e un film che rischia di essere ricordato come uno dei più spassosi del 2017, insomma poteva andarci peggio.

Wright ha definito il film un musical con degli inseguimenti, definizione molto azzeccata, ma che secondo me crea delle aspettative diverse dal film finito, perché dal musical Wright prende a prestito, ovviamente, la musica sempre presente e il ritmo, ma quello a ben guardare è sempre stato impeccabile in tutti i suoi film precedenti. La differenza sostanziale è che “Baby Driver” non è un film dove ogni tanto qualcuno si mette a cantare è più che altro un film d’azione estremamente classico (anche dei riferimenti cinematografici a cui decide di rifarsi) in cui la musica è fondamentale.

Tempo di trovare la canzone giusta e poi si parte con il commento!

Più che un musical, quindi, “Baby Driver” è un film sui fanatici di musica come potreste essere voi o io, per tutti quelli che quando sanno di dover affrontare un viaggio in auto, la prima cosa a cui pensano è «Cos’ho nel lettore CD?», “Baby Driver” sembra una grande dedica a tutti quelli che non escono di casa se non hanno le cuffie, a quelli che sanno che per affrontare certe giornate e certi momenti della vita, ci vuole la canzone giusta, un tipo di ossessione simile all’autismo ben incarnata da Baby (Ansel Elgort) in cui mi ci riconosco molto.

Quando dico che i primi cinque minuti di un film sono quelli che ne determinano tutto l’andamento, è proprio a film come “Baby Driver” a cui penso, qui i minuti nello specifico sono circa sei, ma il principio è lo stesso, Baby (B-A-B-Y come nel pezzo di Carla Thomas) è l’autista, quello che aspetta fuori con il motore acceso mentre gli altri entrano, di solito con una maschera di gomma sulla faccia a fare la loro cosa, ah! Per inciso, vorrò eternamente bene ad Edgar Wright anche solo per la gag sulla maschera da Halloween di Mike Myers, avevo già capito dove sarebbe andato a parare, ma ho riso come un cretino lo stesso.


La ricordavo un po’ diversa la maschera di Mike Myers, però.

In quei sei minuti iniziali sulle note di un bluesaccio come “Bellbottoms” Wright ci illude che “Baby Driver” saranno 115 minuti di gente che canta come fa Baby mentre aspetta al volante, facendo tutte quelle mossette che facciamo tutti quando sentiamo un pezzo figo, tipo suonare il piano, la batteria o la “Air Guitar” e non ditemi che non lo fate pure voi perché tanto non vi credo!

Tanto lo so che lo fate anche voi, vi conosco mascherine.

In realtà, “Baby Driver” è un heist movie che inizia con una fuga su una Subaru rossa diretta come il William Friedkin comanda, ok lo so che forse ci sono troppi stacchi di montaggio per i canoni dell’inseguimento stradale, normalmente mi farebbero storcere il naso, ma il risultato finale è incredibile per due ragioni: la prima è che non ci sono “tamarrate” esageramene irrealistiche in questa scena, l’altra è il fatto che il montaggio frenetico è il marchio di fabbrica del regista della Trilogia del Cornetto, se questa di apertura con in macchina il Pazzo (Jamie Foxx) ed Eddie-senza-naso (Flea dei Red Hot Chili Peppers, che quando c’è da sgommare in auto non se ne perde una) è solo la prima di almeno tre o quattro scene di inseguimento e fughe (in auto e a piedi) una diretta meglio dell’altra e tutto con la perfetta musica di sottofondo.

Salve, sono la prima scena del film. Mica male no?

Sì, perché appassionato di film d’azione Edgar Wright lo è sempre stato, è diventato palese al mondo intero quando ha diretto quella bomba assoluta di “Hot Fuzz” (2007) omaggio fatto con il cuore al genere action con gli sbirri, ma era chiaro ancora prima, ve lo ricordate l’episodio di Spaced in cui i protagonisti iniziano a spararsi con le dita? Ecco, “Baby Driver” è forse una delle pellicole più personali di Wright, un film dove si ride, perché l’Inglese è una di quelle persone che di non scherzare proprio non è capace, però il suo lavoro lo prende terribilmente sul serio, motivo per cui “Baby Driver” ha una trama molto convenzionale, ma perfettamente calata nella poetica e nel modo di concepire il cinema di Wright.

Nessuno dei personaggi ambisce ad essere davvero realistico, siamo di fronte ad uno che si presenta come Baby e davanti alle facce incredule fa lo spelling del suo nome. Un mondo leggermente spostato a sinistra rispetto alla nostra realtà (quindi perfetta continuazione di quel manga con attori che era Scott Pilgrim) in cui l’apparenza è realistica, ma tutti i personaggi ricoprono un ruolo posticcio come i nomi che indossano.


Wright impegnato a radunare la banda al gran completo (La banda! cit.).

Kevin Spacey in parti uguali diabolico e paterno è Doc (tenete conto del numero di citazioni), il boss che ha orecchie ovunque, ma anche il mentore di Baby, quello a cui se pesti i piedi rubando l’auto sbagliata ti ritrovi invischiato con un debito (a vita) da cui puoi uscire solamente lavorando per lui. Jon Hamm che è quello che palesemente si diverte più di tutti ad apparire stropicciato è Buddy uno che si vive la storia d’amore romantico con Darling (la bella Eiza González, occhio che presto la vedremo in TUTTI i film) un po’ come Baby vorrebbe viversi la sua con Deborah, un personaggio che in poco tempo passa dall’essere un possibile fratello maggiore per Baby al suo nemico pubblico numero uno.

Uno già lo conoscete, l’altra la vedremo presto ovunque.

Jamie Foxx è uno spettacolo, il suo Pazzo fa il percorso quasi opposto a quello di Buddy, sospetta di Baby, ma ad un certo punto agisce quasi come se fosse la sua coscienza (è l’unico che si mette a canticchiare il pezzo giusto al momento giusto come farebbe baby… Tequila!), il tutto divertendosi come un matto a fare appunto, il pazzo, con una serie di “Frasi maschie” (“Sei ancora vivo? Allora non ci conosciamo”) in cui la migliore è quella su Mastro Lindo che vince a mani basse.

Hai saccheggiato l’armadio di Willy il principe di Bel-Air per caso?

Basta dire che nella parte nel bulletto un po’ tamarro (di nome Griff, state contando le citazioni?) troviamo Jon Bernthal, ma sono i dettagli ossessivi con cui Wright crea il mondo dove si muovono, sgommano e cantano i suoi personaggi a darci la prova schiacciante, i nostri protagonisti fanno benzina con caffè comprato in un posto che si chiama “Octane” e mangiano pizza in ristoranti con nomi da film di Scorsese, il bello di “Baby Driver” è che sono certo nelle prossime visioni, noterò altri livelli di dettaglio come questo, spero che arrivino presto, devo togliermi dalla testa quel “Dinner” ripetuto fin troppe volte dal doppiaggio italiano, ma “Tavola calda” non si dice più nei film?

«Forza andiamo avanti con questo commento, vai vai va…»

Dico sempre che prima di fare un film, bisognerebbe conoscere i classici, “Baby Driver” ha un’ulteriore marcia in più proprio perché Edgar Wright dimostra di essere uno che il cinema lo conosce (molto) e lo ama (molto), quindi ha l’ardire di arrampicarsi lassù dove osano le aquile dei grandi Maestri come Walter Hill e regalarci la sua interpretazione estremamente personale di un classico come “Driver l’imprendibile” (The Driver, 1978), ma lo fa con sincera ammirazione e il giusto livello di deferenza, se Ryan O’Neal era il grande Driver, Wright ci regala il suo Baby Driver.

Ora, siccome è estremamente in voga di questi tempi condividere foto e frasi prese da Twin Peaks, penso che chiunque vi abbia già fatto notare il parallelo tra Deborah e le cameriere della “Tavola calda” (non Dinner) di Twin Peaks, io invece preferisco farvi notare come un regista che maneggia alla perfezione l’arte del montaggio, sia lo stesso che abbia preso una non proprio memorabile come la Lily James vista in “Downton Abbey”, in Cenerentola e in quella menata di PPZ regalandole un ruolo da bella in pericolo che forse è la parte più debole della trama del film, ma è anche quello a cui nome di Lily James verrà associato per il resto della sua carriera fino a nuovo ordine.


«Preferisci cenare in un dinner o in una tavola calda?» , «Bah l’importante è che se magna!»

Il capolavoro di Wright in tal senso è la scelta del protagonista: la natura ha donato ad Ansel Elgort una clamorosa faccia da pirla e il naturale carisma della vostra cassapanca (smontata) acquistata in un popolare negozio di mobili svedese. Un imbarazzante sellerone che (non) ho visto nella saga di Divergent e che (non) ricordo nel remake di “Carrie” (2013), quindi questo vi dice di che razza di magnetismo animale sia dotato ‘sto ragazzo, eppure Wright attorno alla sua quasi totale assenza di espressività gli costruisce attorno un personaggio ideale per guadagnarsi il tifo dello spettatore, un “Rain Man” con la mia e la vostra passione per la musica che dovrebbe far riflettete i fanatici dell’espressività negli attori, sulla vera importanza del numero di facce che uno sa recitare per l’efficacia recitativa, ma anche sul talento di dirigere gli attori di quel genietto di  Edgar Wright.

Tirare fuori un personaggio da un carciofo del genere è una vera impresa.

Wright proprio attorno ai suoi attori mette su una selezione musicale niente affatto scontata e banale, farcita di pezzi con il nome “Baby” nel titolo certo (un paio di esempi? “Baby Let Me Take You (in My Arms)” dei Detroit Emeralds e “When Something Is Wrong With My Baby” di Sam & Dave), ma anche di pezzi non scelti solo per via dell’ambientazione come accadeva nella comunque buonissima colonna sonora di Atomica Bionda, ma nemmeno selezionati per becera associazione di idee e pronti a parte a casaccio in altri titoli meno curati. Certo, non mancano i Queen, a cui Wright aveva già regalato nuova linfa nella favolosa scena di “Don’t stop me now” di “Shaun of the dead” (2004), ma qui fanno da sottofondo ad una delle migliori scene d’azione del film (una delle tante) con un pezzo meno per tutti come “Brighton Rock”, insomma come Baby per un po’ avremmo questi pezzi in cuffia tutti quanti, perché qui sì, alla pari di un musical, associati alle immagini possono aggiungere uno strato aggiuntivo alla storia.

Ma dove “Baby Driver” vince tutto è nel suo abbracciare tanto cinema, oltre al già citato Walter Hill non mancano strizzate d’occhio a “Monster & Co.”, ma mi pare palese che Wright abbia tenuto a mente anche The Blues Brothers di John Landis, toh! Guarda caso un film che univa grande musica (anche black) e inseguimenti in auto.


«…Quando inizio l’ultimo ritornello tu BOOM! Ti schianti fortissimo, tutto chiaro?»

Poi, quando si tratta di girare beh allora Edgar Wright non prende più prigionieri, il montaggio dei suoi film oltre ad essere impeccabile lo trovo addirittura espressivo, basta un fotogramma di un qualunque suoi film per riconoscere il suo stile e, per quanto mi riguarda, questa è una caratteristiche che hanno solo i grandi registi.

Sì, perché tra la fuga di Baby nel centro commerciale (ho detto Blues Brothers vero?), con i colpi di mitra di Jon Hamm che vanno a ritmo di musica e lo scontro finale nel parcheggio coperto, “Baby Driver” è un gran film di fughe più che di veri inseguimenti, di fuga da una realtà in cui il protagonista è intrappolato o dall’acufene che lo tormenta, per altro trovo curioso che proprio in questi giorni, nelle mie di cuffie giri a rotazione l’ultimo disco di Caparezza che, guarda caso, è ispirato al suo problema di acufene. Ah, per altro, ci tengo a sottolinearlo: cuffie nelle orecchie e occhiali da sole neri, lo facevo già PRIMA di aver visto questo film, ora mi sento solo legittimato a continuare.


Beh devo ammettere però che hai un ottimo look.

Voi invece non perdetevi questo film, sarebbe un grosso peccato specialmente se avete un rapporto ossessivo compulsivo con la musica e con il cinema, ma se state leggendo questo blog, probabilmente sì, quindi ringraziamo tutti insieme Edgar Wright che anche questa volta ha centrato in pieno il bersaglio!

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