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Babylon (2023): bravo Chazelle, ma anche meno la prossima volta

Bipolare. Potrebbe essere questa la parola che leggerete più spesso da qui alla fine del post, perché bipolare è il modo in cui l’uscita di ogni nuovo film di Damien Chazelle viene trattata, a partire dai critici (in particolar modo stranieri) che fino a ieri sembravano portalo in palmo di mano e a dirla tutta, bipolare sono un po’ anche io.

Già perché io ero partito quieto, come un piccolo Fonzie, per NON vedere “Babylon”, anche perché vi stupirebbe che io, proprio io, sarei stato interessato al nuovo film da 189 minuti del regista di La La Land? Non scherziamo. Per una volta potevo fare quello che si butta sul divano a godersi l’ultimo volume di “Hellboy” mentre tutti stanno in fissa dura per che so, la nuova puntata del Grande Fratello VIP o sono in fila per l’ultimo modello di I-Telefono. Ciao ciao, vi saluto con l’altra mano (cit.) tanto tra qualche settimana il film sbarcherà su qualche piattaforma streaming, sarà cliccatissimo per via di Margot Pitt Robbie Brad e resterà nella sezione “Vuoi continuare?” della suddetta piattaforma, perché anche questa volta mi tocca citare chi ha riassunto tutto con poche mirate parole. Su questo gnocco minerale che ruota attorno al sole ci sono due umani in grado di appiccicarti al muro con una “frase maschia”, uno è Clint Eastwood, l’altra l’ho sposata, infatti la Wing-Woman ha riassunto “Babylon” così: «Solo tu puoi guardarti un film così» in cui “tu”, siamo noi, intesi come appassionati di cinema.

Un film per cinefili quindi, gente strana, gente che a volte odia su “Infernet”, altre invece si vanta, con quei due o tre chili di puzza sotto il naso e che s’arrapa all’idea di essere invitati ad una festa da 189 minuti per pochi. Buffi i cinefili, o bipolari fate voi. Come me del resto, che come il meme di Drake al nuovo film del regista di La La Coso preferisco il divano, ma ad un film sul cinema? Allora ci casco. Bipolare. O Pirla, fate voi. Sta di fatto, causa cambi di orari miei e del mio cinema di fiducia, alla fine “Babylon” l’ho visto in sala e sono anche contento di averlo fatto, certo Damien Chazelle classe 1985 è arrivato alla conclusione a cui erano già arrivato i Misfits nel 1986, Hollywood Babilonia, come il libro famoso di Kenneth Anger, solo che lo avevano fatto con molti meno ottoni nella colonna sonora.

Parliamo di un film che meriterebbe una premessa ben più approfondita, perché come accaduto ad un altro titolo bellissimo che parlava di amore per il cinema, e a ben guardare anche altri titoli molto autoriali, la Paramount deve aver pensato: beh noi con Paramount+ accalappiamo il grande pubblico libero di guardarsi Stallone e Star Trek, mentre in sala diamo carta bianca a Chazellone, grande Damiè! Anche se incassi il giusto poi ti copriranno di Oscar a febbraio. Ecco, non proprio.

“Babylon” è sbarcato in uno strambo Paese a forma di scarpa con addosso la lettera scarlatta del flop al botteghino in patria, sesto in fila per Margot Robbie (e anche i prossimi due suoi film, sono a rischio), malamente snobbato dall’Accademy che pare non aver perdonato cosa esattamente? L’essere il film tecnicamente più riuscito di Chazelle? Oppure non avere tutti i colooooooooori e aver parlato dell’elefante (cagone) al centro della stanza? Ovvero che la vecchia Hollywood, quella degli anni ’20, prima dell’introduzione del codice Hays era un posto dove si beveva e pippava un botto?

La riunione della redazione della Bara Volante per decidere la programmazione dei post.

Per “Babylon” sono nell’ammirevole condizione di poter applicare il super poter definitivo, quello che ti rende immortale, il potere del N.M.N.F.U.C (Non Me Ne Frega Un Cazzo), perché l’unico titolo di Chazelle che mi è piaciuto interamente per me è ancora Whiplash. Non mi sono stracciato le vesti per La La Coso, e malgrado mi sia fatto anche due discreti maroni a guardarlo, l’ultimo atto di First Man mi ha preso, mi ha fatto pensare: «Damien, io ti ho capito». Curioso proprio come il film lu-lu-lunare di Chazelle alla sua uscita, in particolare dalla penne stipendiate straniere, sia stato apprezzato, forse perché dopo averlo incensato (troppo? Si troppo) per i suoi colooooooori e i suoi balletti, non potevano proprio ripiegare completamente, cosa che pare abbiano fatto per “Babylon”, che per me è l’anti-First Man.

Nel senso che a parità di tema di base di mio interesse (la corsa alla luna da una parte, la ricostruzione della Hollywood degli anni d’oro dall’altra) i due film hanno un andamento opposto, tanto scorre via bene “Babylon” malgrado il minutaggio pachidermico, quanto arrancava “First Man”, tanto mi ha preso l’ultimo atto del volo spaziale di Chazelle, quanto invece l’ultima ora di “Babylon” il suo terzo atto, mi ha quasi del tutto perso. Ma come al solito invoco Anders Celsius, andiamo per gradi.

Come sarete voi lettori alla fine di questo post (biondi)

“Babylon” è esagerato, pacchiano, urlato, dieci metri sopra le righe e poi per sicurezza lo ripeto, urlato, perché i timpani vengono messi a dura prova da un film dove la regola dei primi cinque minuti iniziali, quelli che determinano l’andamento di una pellicola, è espansa, allargata e in maniera del tutto strabordante estesa fino alla bellezza di trenta minuti, quelli che servono per poter leggere il titolo “BABYLON” sul grande schermo. Ma comunque dopo essere passati quasi indenni da un prologo che prevede un elefante che caga in testa al protagonista (e a noi spettatori), ad una festa matta che fa dire «Ohibò!» a quella di “Eyes Wide Shut”, dove una Margot Robbie dall’acconciatura e dal vestito volutamente anacronistico per l’anno 1926, si schianta con l’auto, ed arriva alla festa urlando, ancora in modalità Harley Quinn facendomi sorgere spontanea la domanda: ma recita anche altri ruoli? Si e le vengono anche bene, ma Arlecchina va per la maggiore e lo dice uno che va matto per il suo Tonya, Harley Quinn sui pattini.

Una volta avrei detto che foto a caso di Margot sarebbero state pubblicità per le ricerche su Google, ma visti gli incassi dei suoi ultimi film, bah!

Una festa così matta apre il film, che Flea, che un tempo leccava camice di flanella per sballarsi nei bagni degli uomini, qui è quello che si occupa delle sicurezza.

«Cosa sei, Mcfly Chazelle, un fifone?»

Sesso, uso improprio delle bottiglie, ogni genere di intrattenimento per adulti si, ma in maniera esagerata, giocosa, quasi genuina, per dei professionisti di Hollywood che possono fare festaccia nera, rischiare la morte come capita al Jack Conrad di Brad Pitt e poi presentarsi splendidi sul set, alle otto zero zero del giorno dopo. A proposito di Pitt, ho temuto di sentirgli ancora dire «Goooorlomi», quasi come il suo personaggio che per Tarantino si, ma quello che interpretava il suo socio Leo DiCaprio.

Passano le decadi, ma gli uomini nei film yankee hanno sempre lo stesso tipo di mutandoni bracaloni.

Il set è un bordello (dis)organizzato in cui fare film è qualcosa di drammatico ed eroico, quasi epico, una corsa contro il tempo per non perdere la luce migliore e le attrici, della “Wild child” come la Nellie LaRoy di Margot Robbie, grezza, volgare, sboccacciata, una che si fotte la statua di ghiaccio alla festa, ma manda in brodo di giuggiole lo stesso i produttori perché è materiale da cinema («É quella che scopa con l’unicorno di ghiaccio. Siamo tutti, entusiasti di lei.»)

Anche se devo essere onesto, in un film pieno di grandi attori, come Pitt? Di più. Max Minghella? Di più! Ethan Suplee ecco lui si, grande Randy! Quello che mi ha stupito più di tutti è stato Diego Calva nei panni di Manuel “Manny” Torres, il punto di vista di noi spettatori, l’espediente classico del novizio che entra in un nuovo mondo e vedendolo per la prima volta, lo scopre insieme al pubblico. Quello che dopo la quinta o sesta ora del film, diventa lui la nuova generazione di produttori, ma ancora legato ad una storia d’amore di anni prima, che è l’andamento scelto dal regista per raccontarci una trama molto “Scorsesiana” (aggettivo che non utilizzo mai alla leggera), di ascesa e caduta dei personaggi, in cui molto funziona ma anche parecchio scricchiola.

Pazzi? Selvaggi? No, pionieri della Hollywood vecchia scuola.

“Babylon” è il quaderno porta foto in cui Damien Chazelle, da buon nerd, dimostra di aver fatto i compiti e utilizzando personaggi fittizi (che somigliano molto ai corrispettivi reali), portando in scena spaccati di quella Hollywood, storielle scabrose, aneddoti, qualche volta presi dalle vere vite delle celebrità, per incollarle sulle paginone del suo librone da 189 minuti, foto e figurine, ritagli e locandine prese da quella Hollywood, al suo massimo prima che il meteorite la colpisse e le facesse fare la fine dei dinosauri.

Il meteorite si chiama “Il cantante di jazz” (1927), il primo film sonoro che ha cambiato tutto e guarda caso, parla di jazz, con Chazelle ormai lo sappiamo è la normalità. Potevi essere figo e famoso, ma con una voce di merda non potevi fare la star nella nuova Hollywood, perché di questo ci parla il regista, della morte della prima incarnazione della Mecca del cinema, per lui un altro film quasi funereo e allo stesso tempo celebrativo sul cinema, che esce in un momento in cui la Hollywood contemporanea sta morendo, o forse è già morta, soppiantata da un’altra New-New Hollywood, che prevede il pubblico diviso tra sale sempre più vuote e film pensati per lo streaming.

Pensi all’algoritmo e di colpo stare dietro all’elefante ti sembra un po’ meno brutto.

La gioia felliniana e anche un po’ barocca (e roccocò) del primo atto del suo film, viene sostituita da attori che si intrufolano in sala, per sentire il pubblico ridere del loro modo buffo di pronunciare le battute e di infinite, snervanti, anche letali sessioni sul set, dove per avere un ciak buono approvato dal sonoro, bisogna rigirar pedantemente la scena, anche la più semplice, diciotto volte, rischiando nel caso migliore una crisi di nervi.

Ed ora io qui lo dico, Chazelle gioca con il pubblico e le sue aspettative, fa volutamente un gran casino e alza palloni a destra e a manca, per tutti quelli disposti ad andare a schiacciarli a canestro, compreso giocarsi Samara Weaving e Margot Robbie nella stessa scena, tanto che ho sospettato che il sottotitolo di “Babylon” fosse una cosa tipo “L’attacco dei cloni”. Anche se la menzione speciale per me va tutta ad Eric Roberts, sta in scena gli stessi minuti di Olivia Wilde, però ruba la scena a tutti ogni volta che compare, forse perché quello con più esperienza quando si parla di carriera di grandi attori un po’ in là lungo il viale del tramonto.

Un bel primo piano per Samara Weavin… Ehm, no!

Difetti? Non la colonna sonora, un’orgia di ottoni, ma nemmeno la messa in scena, inutile dare altra visibilità a recensioni scritte da autori a cui Chazelle ha fregato la merenda (le avete lette tutti), diciamo più che altro che alcuni personaggi di contorno, ma nemmeno così tanto, vengono proprio buttati via, come il trombettista di colore. La sua scena in cui è costretto ad un assurda “Black face” è grottesca e dolorosa in parti uguali, peccato che poi il personaggio sparisca per fin troppo tempo, assurdo, visto che il minutaggio a Chazelle non mancava di certo.

Sapete cosa manca ai film di Chazelle? Un po’ di jazz. Ci starebbe bene.

Il problema di “Babylon” è l’ultimo atto. Come pretendi che io possa affezionarmi a personaggi che per due ore, mi hai mostrato come dei balordi? E poi come, esagerare va bene, andare sopra le righe diventa il modo più funzionale possibile per raccontare un mondo popolato da storie piene di eccessi, ma è lo stesso Chazelle a perdere il senso della misura, incapace di fermarsi quando ha già esagerato abbastanza, un esempio? Nellie LaRoy che prova a fare la brava ragazza ad una delle tante feste del film e finisce per sbroccare male. Quando hai chiesto a Margot Robbie di esagerare, e poi di farlo ancora un po’ di più, serve anche farle recitare l’equivalente della scena di Mr. Creosote dei Monty Python? Eddai su, fai il bravo. Ma come questa, ci sarebbero un sacco di altre scene dove a Chazelle avrebbe fatto comodo un produttore con la testa sulla spalle, capace di dirgli: we ninin, hai già fatto cagare un elefante sul pubblico, ti serve anche il coccodrillo e il tizio mangiatore di topi?

I cooooloriiii… Ah no scusate, l’abitudine.

Il personaggio di Tobey Maguire è emblematico, lui che recitava in una delle tante incarnazioni cinematografiche de “Il grande Gatsby”, qui ci porta nei vari gironi infernali della Hollywood dopo l’apocalisse del meteorite jazz, un posto dove il sesso e gli eccessi non sono più giocosi come ad inizio film, ma violenti, quasi da “snuff movie”. Una roba talmente pacchiana in cui la fase “caduta”, in questa storia di ascesa e successivo schiantarsi faccia a terra dei personaggi, sfoggia tutta l’incapacità di fermarsi una volta ottenuto il risultato di Chazelle, vittima della sua stessa megalomania.

Lamentatevi ancora di Spidey ballerino, forza!

Veder schioppare male i personaggi uno dopo l’altro avrebbe dovuto coinvolgermi invece mi ha perso (l’anti-First Man), anzi ad un certo punto devo dire che concordo con un terzo dei Tre Caballeros con cui mi sono confrontato, forse il regista è stato anche un po’ pavido a non seccare proprio TUTTI i personaggi, lasciando campo libero ad una proliferazione di finali, che qui davvero allunga il brodo, anche se posso comprendere perché l’abbia fatto. Poi per carità! Felicissimo di aver visto non uno ma due omaggi a James Cameron in “Babylon” (conferma che poi è sempre solo una certa tipologia di cinefili a fare distinzioni tra registi “alti” e “bassi”), però anche meno Damien, anche meno.

Dopo “La La Coso” un altro film che termina in una sala cinematografica con un momento emotivo (bene), il protagonista che vede il mondo che conosceva e amava ridotto a commediola leggera, dato in pasto al pubblico, ma anche bene (se non benissimo) il messaggio per cui il cinema, sopravvivrà sempre, potranno morire le varie versioni di Hollywood, ma non la settima arte, quindi ricordatevelo la prossima volta che avrete voglia di sparare a zero sullo streaming e sul nuovo che avanza. Male però che Chazelle perda il senso della misura anche in un film che fa dell’esagerazione la sua cifra stilistica. Esagerare al cinema va bene, esagerare di più ancora meglio, esagerare tantissimo è bello, esagerare troppo reiterando i concetti porta all’effetto per cui poi ti perdi anche gli spettatori come me, quelli armati del potere del N.M.N.F.U.C.

«Gorlami»

Ma forse il problema chiave per “Babylon” è il suo essere un film che io personalmente ho già visto, lo aveva già fatto Tarantino, Kubrick e Spielberg prima di Chazelle, nomi enormi badate bene, ma comunque niente di più provocatorio o di davvero nuovo. Di fatto “Babylon” è “Boogie Nights” (1997) di Paul Thomas Anderson, con la differenza che quello parlava del mondo del porno come se fosse una favola e per certi versi una famiglia (disfunzionale), mentre Chazelle racconta l’età dell’oro di Hollywood come se fosse un porno. Ma poi cade nell’errore banale di invocare la pietà per i suoi protagonisti, incapace di non moralizzare su di loro, salvo poi buttarsi su quel finale in sala, che cerca in parte di salvare capra e cavoli, per un film buono, anche molto, ma non all’altezza delle sue stesse ambizioni. A volte meno è meglio Chazelle, non tanto meno, una puntina, quando stai già vincendo fermati e goditela, invece di voler sempre strafare.

189 minuti e lei comunque, un altro personaggio buttato un po’ troppo via.

Insomma, trovo assurdo che un film così sia stato attaccato dalla critica che un tempo teneva Damien Chazelle in palmo di mano, bipolari? O forse nessuna canzone di “Babylon” verrà utilizzata per la pubblicità dei biscotti con cui si fa colazione come accaduto a “La La Coso”? Un film che ho apprezzato più di testa, più per i suoi intenti e il suo messaggio che di pancia, perché l’ultimo atto sbraga, ma non nel modo giusto per questa storia. Anche se non si merita le critiche che ha raccolto o la gara a lanciargli cacca di elefante addosso. Devo dire che sono comunque contento di averlo visto in sala, dovesse andare male, “Babylon” potrebbe diventare il film definitivo per un gioco alcolico, volete le regole di base? Eccole!

Ogni volta che qualcuno urla si beve.
Ogni volta che Margot Robbie interpreta Harley Quinn si beve.
Ogni volta che Margot Robbie è senza reggiseno si beve.
Ogni volta che Margot Robbie urla, si beve due volte.
Ogni volta che Margot Robbie urla senza reggiseno, si beve tre volte.
Ogni volta che Margot Robbie urla senza reggiseno facendo Harley Quinn, si beve quattro volte.
Ogni volta che Eric Roberts ruba la scena si beve.
Ogni volta che nella colonna sonora senti gli ottoni, bevi.

Ogni volta che nel film qualcuno beve, bevi.

Se avete qualche altro suggerimento, la sezione commenti esiste per questo, in ogni caso, anche se avete il fegato di Nellie LaRoy, con “Babylon” e queste regole, finirete in coma etilico prima di fine primo tempo. Però ci tengo a concludere con un’ultima cassata delle mie: che fine hanno fatto le orde di entusiasti di “La La Land”? A giudicare dagli incassi, la maggior parte di loro ha delegato a me il compito di andare in sala per “Babylon”, siete dei bei brighella eh? Dei brighella bipolari.

Sepolto in precedenza martedì 14 febbraio 2023

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