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Bad Boys (1995): Whatcha gonna do, when they come for you?

Una combinazione letale: l’uscita in sala del terzo capitolo della serie, mescolata alla mia passione per i film con Strambi Sbirri. Secondo voi potevo non dedicare un po’ di spazio a “Bad Boys”?

Ci sono poche cose che mi rispediscono con la memoria indietro nel tempo come la musica, la colonna sonora di “Bad Boys”, ad esempio, arriva dritta da un’epoca in cui la giusta combinazione di canzoni e un videomusicale martellante poteva “vendere” il film al grande pubblico meglio di tante campagne pubblicitarie, una tattica che Will Smith ha imparato bene a sfruttare per i suoi successivi successi.

La colonna sonora di “Bad Boys” è piena di titoli piuttosto clamorosi, fra questi il pezzo degli Inner Circle che ha idealmente dato il titolo al film (lasciatemi l’icona aperta, su questo punto più avanti ci torniamo), quello che per me resterà sempre la sigla di “Cops”, come ho già avuto modo di raccontarvi. Ma se proviamo ad ignorare classici assoluti come “Me against the world” di Tupac Shakur, il pezzo che ha trainato il film è stato sicuramente “Shy Guy” di Diana King che è uno dei primi che si sentono nel film, è la canzone che mi rispedisce all’estate prima dell’uscita del film che negli Stati Uniti ha invaso le sale ad aprile del 1995, noi, invece, abbiamo dovuto aspettare settembre dello stesso anno per vederlo, anche se nei piani originali avrebbe dovuto essere un film abbastanza diverso.

Quante volte l’avete rivista questa inquadratura? Ve lo dico io, in tanti l’hanno imitata.

Sì, perché il gatto e la volpe che ogni tanto tornano a trovarci sulla Bara (Don Simpson e Jerry Bruckheimer) avevano un piano piuttosto preciso per questo film: Beverly Hills Cop era stato un enorme successo, no? Quindi, perché non replicare la formula moltiplicando il numero di poliziotti protagonisti, se un solo Axel Foley è piaciuto così tanto al pubblico, questa volta giochiamocene due di comici, due come Dana Carvey e Jon Lovitz. Ehi! Dana Carvey? L’indimenticato Garth di “Fusi di testa” (1992) e uno dei volti storici del Saturday Night Live, come Lovitz, ma questi due tipi non vi sembrano parecchio… Beh, bianchi?

Sì, perché per nostra fortuna nel 1995 non avevamo il problema di dover distribuire i ruoli in base ad un finto buonismo di facciata che serva a far contenti tutti. Pensate che scemi, erano ancora tempi in cui si sceglievano solo gli attori giusti e con tutto il rispetto per Dana Carvey e Jon Lovitz che avrebbero regalato a tutto un gran tono da commedia, il regista aveva altri piani e il regista era uno dei nomi più maledetti (oppure adorati, lo lascio giudicare a voi) in circolazione ancora oggi ad Hollywood: Michael Bay.

Stupido sexy Flanders Bay (quasi-cit.)

Michele Baia arrivava da una lunga gavetta nei videomusicali (cosa vi dicevo lassù all’inizio?) ed era entrato nelle grazie di Don & Jerry proprio per via del suo talento visivo, per certi versi, una versione più giovane di quello che al momento era il numero uno della scuderia dei due produttori Tony, lo Scott giusto che nei primi anni ’90 stava spiegando al mondo come dovevano essere fatti i capolavori cinematografici.

Quando la sceneggiatura di “Bulletproof Hearts” finisce nelle mani di Michael Bay, al regista esordiente non piace quasi nulla, come dargli torto? Persino il titolo era piuttosto moscio. Nel tentativo di metterci un po’ di brio si parte alla ricerca di un paio di attori azzeccati. Arsenio Hall si è giocato la carta di dare un colpo di coda alla sua carriera, rifiutando il ruolo di Lowrey, decisione di cui il celebre comico si è pentito a vita (storia vera). La scelta per i ruoli di Marcus Burnett e Mike Lowrey è finita su Martin Lawrence e su Will Smith perché entrambi erano piuttosto lanciati con le loro rispettive sit-com televisive, “Martin” e “Willy il principe di Bel-Air” di cui potreste aver visto un paio di puntate in replica nel corso degli anni.

Bad boys, bad boys, whatcha gonna do / whatcha gonna do, when they come for you

Vi ero debitore di un’icona da chiudere, lo faccio subito. Con Lawrence e Smith a bordo il film assume subito quel tocco “black” che ha influenzato lo spirito del film e la sua notevole colonna sonora, il celebre pezzo degli Inner Circle negli Stati Uniti è sinonimo del programma televisivo “Cops”, quindi il suo ritornello scalza con facilità il moscissimo “Bulletproof Hearts”, diventando un tormentone, tanto che persino Smith è arrivato ad auto citarsi in un episodio della sua amatissima serie, nell’episodio 20 della sesta stagione di “The Fresh Prince di Bel-Air” quando a Nicky impediscono di vedere il film “Bad Boys”, Smith risponde: «Bad Boys, huh? What’cha gonna do?»

Marcus Burnett (Martin Lawrence) e Mike Lowrey (Will Smith) sono due amici di lunga data che lavorano come detective per la narcotici di Miami, alle prese con una grossa rogna: la bellezza di 100 milioni non dei soliti fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, ma tutti in eroina della mafia prima sequestrata dalla polizia e poi rubata dalla cassaforte blindata, un sospetto lavoro interno che potrebbe far chiudere l’intero reparto lasciando tanti bravi sbirri a casa senza lavoro, Burnett e Lowrey compresi.

Ehm, questo è il momento in cui leggete i miei diritti?

Il loro unico contatto sembra essere una delle (tante) ex fidanzate di Lowrey, la bella Maxine “Max” Logan (Karen Alexander) che, però, viene uccisa presto dai cattivoni, sotto gli occhi della sua migliore amica, Julie Mott (Téa Leoni) diventa così l’unica testimone, il fatto che voglia parlare solo con Lowrey, mette in moto tutti gli equivoci che terranno banco nel film.

Sì, perché “Bad Boys” si gioca la carta dei classici, modificando, però, un po’ la formula: i poliziotti sono sempre due, ma non opposti per colore di pelle o di età, oppure per il fatto di essere interpretati da un attore drammatico e uno comico. No, Lowrey e Burnett sono intercambiabili se non fosse per il fatto che il primo è uno scapolone ricco di famiglia che cambia più fidanzate che calzini, mentre il secondo un bravo padre di famiglia con la leggera (leggeriiiiiissima!) fissa per l’assenza di sesso casalingo con la bella, ma leggermente isterica moglie. Theresa Randle, di fatto una specialista nel ruolo di “Moglie di…” al cinema è stata sposata con Michael Jordan, con Spawn e con Martin Lawrence. Lascio giudicare a voi la qualità dei mariti, io sono mero testimone dei fatti qui!

Cioè testimone, il mio parere devo anche concederlo altrimenti che ci sto a fare qui, no? Ecco, siamo in tanti a trovare irritante la piega presa dalla carriera di Will Smith che ormai come unico scopo nella vita ha quello di interpretare il bravo padre in tutti i film in cui recita. Di più irritante di questa china paterna di Smith, trovo solo… Beh… Quasi tutta la filmografia di Martin Lawrence, uno che non trovo per niente divertente, appena di allontana dalla saga di “Bad Boys”.

«Arrenditi oppure ti costringerò a rivedere Big Mama»

Eppure, qui i due funzionano, Martin Lawrence alle prese con un personaggio sopra le righe e piuttosto monotematico riesce a non essere quasi mai urticante, mentre Will Smith era ancora nella fase della sua carriera in cui si godeva la vita, quindi funziona nella parte dello sciupafemmine spaccone che cita Michael Jordan quando gioca a basket. Mi rendo conto scrivendolo che probabilmente nel prossimo “Bad Boys for life” presto nelle sale, Smith potrebbe finire per interpretare entrambi i personaggi, ma affrontiamo un problema alla volta, nel 1995 i due erano ancora azzeccati per la parte.

Proprio come il terzo vertice del triangolo dei “buoni” del film, Téa Leoni in una variante ancora più per famiglie dell’infame ruolo (sempre disponibile per le attrici… That’s Hollywood baby!) della “prostituta dal cuore d’oro”, qui stemperato dal fatto che Julie Mott non è nemmeno una prostituta, ma solo una damigella in pericolo con le gambe chilometriche sempre ben in vista. Una parte in cui Téa Leoni riesce quasi a far dimenticare il cortocircuito di cliché del suo ruolo, tirando su un ruolo sensuale da finta svampita, con dei buoni tempi comici.

Non prendo più caffè, voglio solo Téa (ah-ah)

Sì, perché “Bad Boys” per lunghi tratti sembra più una commedia degli equivoci, in cui ogni tanto spunta Joe Pantoliano nel classico ruolo del capo di polizia che urla (e qui, gioca anche male a Basket) per ricordarci che, comunque, questo sarebbe sempre un poliziesco. Dettaglio che si tende a dimenticare per via di qualche lungaggine nel secondo atto, tutte dovuto al modo reiterato di prolungare la stessa gag di scambio di ruoli tra Mike e Marcus. Quindi, per lunghi tratti, più che un “Buddy cop movie” sembra un “Buddy movie” e basta.

Per garantirsi la collaborazione di Julie, Marcuss è costretto ad impersonare lo sciupafemmine Mike, mentre Mike finisce a badare ai figli del compagno, parola azzeccata quando si tratta di sbirri che in questa situazione suona ambigua, anche perché il film le pensa tutte per sottolineare ogni doppio senso. Alcuni momenti, bisogna ammetterlo, sono molto spassosi, come quando Martin Lawrence deve giustificare le foto di Will Smith sul muro e i legittimi sospetti di omosessualità sollevati dalla bella Julie, però alla lunga continuare e menarla con la stessa battuta stanca e per fortuna qui entra in azione Michael Bay.

Il mondo gira tutto intorno agli eroi di Michael Bay.

Per quanto esordiente Bay aveva le idee chiare: considerando la sceneggiatura monnezza, ha incitato in tutti i modi gli attori ad improvvisare quanto più possibile. Il risultato sono tutti i battibecchi più divertenti tra Mike e Marcuss che si punzecchiano costantemente su tutto, dal modo di guidare al modo di giocare a Basket, come battute molto simpatiche tipo quella su “A spasso con Daisy”.

Ma la specialità di Bay è l’azione ed ecco perché la scena iniziale che presenta i personaggi alle prese con un panino sgocciolante, la Porsche immacolata di Mike e un paio di sgherri da arrestare a colpi di astuzia e battutacce, è stata fortemente voluta da Michele Baia che ha richiamato gli attori sul set per girarla e dare più forza allo loro entrata in scena nella pellicola (storia vera). Ma dove “Bad Boys” dà il massimo è sicuramente nel finale, sì, perché il budget notevole, ma non esagerato del film (si parla di circa 20 milioni di fogli verdi con sopra le facce di alcuni ex presidenti passati a miglior vita) non permetteva a Michael Bay di fare proprio tutto quello che desiderava e quello che voleva, era devastare tutto!

Per questo pare che il regista abbia tirato fuori di tasca sui circa 20.000 dollari, per mettere un po’ di vitamine al finale, un trionfo di cura del dettaglio che da solo, è stata l’anticipazione della regia adrenalinica e sincopata che ha reso famoso (oppure famigerato?) il regista. Bay ha costretto gli attrezzisti a fare del super lavoro, prima nelle selezione delle armi usate in scena e poi per organizzare la coreografia di esplosioni durante la sparatoria finale che è un trionfo di gloriosa e caciarona ignoranza cinematografica («Hai dimenticato la carta d’imbarco» BANG!).

«Fai volare questa Bara, ti ho detto di far volare questa dannata Bara!», «Non ha nemmeno le cinture, voi siete matti!»

Se la scena di inseguimento sul camion, con i bidoni di etere lanciati in stile “Donkey Kong” è tiratissima e molto efficace, sembra solo un riscaldamento per la corsa in auto finale tra i protagonisti e il cattivone in fuga (l’azzeccato Tchéky Karyo, forse un po’ troppo sacrificato dalle gag del film), lanciati a velocità folle contro l’unico varco tra le barriere in cemento della pista d’atterraggio. Una scena che non ha perso un grammo della sua forza e che ci ha preparati a tutte le gioie che da lì a poco Michael Bay ci avrebbe regalato.

Insomma, “Bad Boys” è ancora oggi uno degli ultimi rappresentanti di quel cinema pieno di Strambi Sbirri che piace tanto a questa Bara, non proprio l’ultimo, perché per fortuna è arrivato anche un seguito, ma questa è un’altra storia.

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