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Banshee (2013-2016): c’è un nuovo sceriffo in città

Nel folclore Irlandese, le Banshee sono spiriti femminili,
generalmente considerate malefiche, vengono rappresentate con gli occhi
perennemente arrossati dal pianto, che spesso si confonde con il rumore del
vento che in quell’isoletta non manca davvero mai. Insomma è meglio non
mettersi contro una Banshee, figuriamoci poi mettersi contro un’intera
cittadina (immaginaria) della Pennsylvania, che di femminile ha davvero solo il
nome.

Tra il 2013 e il 2016, quasi qualunque canale via cavo
americano aveva in produzione una sua serie, il mercato ormai era esploso e per
rispondere alla sempre crescente richiesta del pubblico, era più semplice ed
economico finanziare una serie nuova, piuttosto che acquistare i diritti per
replicarne uno che il pubblico già conosceva a memoria. Ecco perché Cinemax,
una sorta di canale “fratello” di HBO con palinsesti interamente dedicati al
pubblico maschile, ha pensato bene di affidarsi a David Schickler e Jonathan
Tropper, per lanciare una serie che ha potuto contare su Alan Ball nel ruolo di
produttore esecutivo.

Per convincermi finalmente a vederla mi è servito la
spintarella di un post del Zinefilo e
proprio il nome di Ball, uno che vabbè, ha su una mensola di casa un Oscar per
la miglior sceneggiatura di “American Beauty” (1999), ma che nel tempo ci ha
regalato quella divertente menata di “True Blood”, una sorta di Twilight molto
più satirico, grondante sangue e soprattutto carico di ormoni. Ma soprattutto quella
meraviglia di Six Feet Under, la più
bella serie di cui nessuno parla mai.

Titoli di testa cazzuti ne abbiamo?

Mi sono detto che se a casa Cassidy, la Wing-Woman ed io
siamo riusciti a tritarci sette stagioni di vampiri che a turno cercavano di
sucarsi Sookie Stackhouse, potevamo buttarci anche su questa, per essere una
serie così spudoratamente maschile alla fine è andata piuttosto bene, infatti
abbiamo terminato le quattro stagioni che compongono “Banshee” in un tempo
ridicolmente breve. Colpa della Wing-woman, quando si prende per una serie mi fa fare le nottate.

Istruzioni per l’uso: se amate i personaggi estremamente
sfaccettati e approfonditi, che risolvono le loro dispute seduti ad un tavolo
davanti ad una tazza di tè, “Banshee” potrebbe non fare al caso vostro, io ve lo dico, poi fate voi. Immaginate una spremuta di testosterone e situazioni tipiche di tutti i film d’azione
che avete visto nella vostra vista, su tutto poi aggiungeteci donne nude, scene
di sesso, sparatorie e ammazzamenti brutali, altre donne nude, qualche altra
scena di sesso, una spruzzata di situazioni da film Western e per finire, delle donne nude e un
livello di violenza che sta due o tre spanne sopra la media di quasi qualunque
altra serie abbiate in testa. “Banshee” non si guarda per il “cosa”, quello è
piuttosto banale e stereotipato, “Banshee” si guarda per il “come” e quello ad
essere davvero azzeccato. Ma anche le donne nude hanno il loro peso bisogna dirlo.

Primo minuto del primo episodio, l’unico momento tranquillo della serie. Da qui in poi è tutta una rissa.

La storia è quella di un tizio senza nome, che arriva in una
cittadina violenta e diventa lo sceriffo. Non so voi, ma questo archetipo
narrativo possono raccontarmelo in ogni salsa e a me continuerà a piacere,
anche se la “salsa” di “Banshee” è decisamente piccante. Si perché il
nostro straniero senza nome (lo resterà per tutta la serie, ma ad interpretarlo
è Antony Starr, il Patriota di The Boys)
esce di prigione dopo quindici anni, è finito dentro per alcuni diamanti rubati
alla persona sbagliata, ovvero Mr. Rabbit (Ben Cross) e per proteggere la donna
che ama. Appena uscito dal gabbio il nostro protagonista fa quello che ci si
aspetterebbe: sesso con la prima cameriera sexy che incontra e poi un lungo
piano sequenza fatto di sparatorie, moto rubate e camion che finiscono fuori
strada. Siamo a circa venti minuti dall’inizio del primo episodio e “Banshee”
sfoggia già più azione delle ultime otto serie prodotte da Netflix che avete visto. Se non fosse così, vi devo una birra.

Lucas Hood (o qualunque sia il suo nome) prenderebbe a calci anche Homelander.

Arrivato a Banshee per ritrovare la sua donna, qui la serie
diventa una barzelletta: il nuovo sceriffo viene ucciso al bancone di un bar
dopo circa otto secondi, era alto, biondo e nessuno lo aveva mai visto in
faccia, il nostro protagonista senza nome, con la connivenza del barista, l’ex
pugile Sugar Bates (il mitico Frankie Faison, che diventerà quasi la coscienza
del protagonista, oltre che il principale fornitore di Whisky), deciderà di
prendersi l’identità e la stella diventando così il nuovo sceriffo Lucas Hood. Malgrado la quasi omonimia non diventerà certo il “Robin” che riporterà la
giustizia in città, o per lo meno lo farà sì, ma a modo suo, perché il nuovo
Lucas Hood è insofferente ai regolamenti e profondamente convinto che con le
cattive, si possa ottenere tutto.

“Whisky?”, “Ma sono le dieci del mattino”, “Non in Russia”

Per Banshee forse ci vuole uno così, la cittadina
immaginaria della Pennsylvania è una polveriera a cielo aperto, da una parte ci
sono gli Hamish, proprio come nel bel film di Peter Weir, “Witness – Il
testimone” (1985) che viene apertamente citato, che non vanno per nulla d’accordo
con la tribù di nativi locale, i Kihano capitanati da un gigantesco capo chiamato
Chayton, un omaccione con cresta e tatuaggi che odia gli uomini bianchi e nulla
mi toglie dalla testa, che non sia stato l’ispirazione per il Genny Savastano di
ritorno dal sud America di Gomorra.

“‘Mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost'” (tipico proverbio Kihano)

A proposito di personaggi coloriti, il boss locale di
Banshee e l’ex Hamish in rivolta di nome Kai Proctor (Ulrich Thomsen), un
serpente a sonagli addolcito solo dalla presenza accanto a lui dell’altra
Hamish in fuga dalla comunità, la bella Rebecca Bowman (Lili Simmons). Ma non
pensate che sia finita qui, perché oltre alle fazioni criminali in lotta,
Banshee ha più suprematisti bianchi che ad un raduno di elettori di Trump,
infatti viene da pensare che ogni tanto in questo postaccio, ci sia anche
qualche cittadino normale, anche se probabilmente resta tappato in casa per la
paura di mettere il naso fuori.

Perché con un utilizzo extradiegetico della… se vabbè buonanotte, addio didascalia che nessuno leggerà.

Di sicuro Lucas Hood (o qualunque sia il suo nome) è molto
interessato a riconquistare la moglie del sindaco, che di fatto non è altro che
la donna della sua vita, che si è rifatta una vita e un’identità, ora di fa chiamare
Carrie Hopewell, ad interpretarla è la tostissima Ivana Miličević, non potete
mancarla, è quella che vendeva lingerie a Will Smith in Nemico Pubblico.

“Non vorrei smorzarvi l’entusiasmo ma non è la prima volta che mi puntano numerosi mitra addosso”

“Banshee” non perde tempo in chiacchiere, tutti i personaggi
sembrano cesellati sul modello maschile di personaggio pronto a bere Whisky a
qualunque ora del giorno, perso nei suoi pensieri maschili e pronto a menare le sue mani maschili come qualcuno che era già stato allenato da tana delle tigri prima di imparare
come utilizzare forchetta e coltello. In questa serie ogni personaggio è un’arma
letale in grado di utilizzare ogni fucile o pistola costruita dall’uomo, oppure
di uccidere anche solo a mani nude, in compenso i personaggi femminili non sono da meno.

Si dividono tutte più o meno tra “femme fatale” o generiche
strappone che si aggirano mezze nude per gli episodi, quando non vengono uccise
(spesso in maniera del tutto estemporanea) solo per motivare i personaggi
maschili alimentando il loro tormento interiore e il loro desiderio di
vendetta. Insomma tra maschietti e femminucce, tutti i personaggi sono dei cliché
a cui però diventerà impossibile non affezionarsi.

I duri non guardano le esplosioni (nemmeno quando sono loro a scatenarle, come ama fare Kai Proctor)

Ad esempio Job (Hoon Lee), si carica sulle spalle tutte le
svolte della trama che prevedevano l’utilizzo di un computer: ti serve un’identità
nuova? Ci pensa Job? Devi sbloccare una serratura? Ci pensa Job. Un “Mumbo
Jumbo” informatico vivente non a caso rappresentato dall’unico personaggio
orientale della serie, che però è anche omosessuale, quindi due minoranze in un
colpo solo. Altrove direi che è il modo più pigro per spuntare due categorie
con un solo personaggio, ma in questa serie Job è talmente mitico da
guadagnarsi la simpatia del pubblico. Con il suo stile esagerato e sopra le
righe, ogni sua entrata in scena è una sfilata, nella cittadina di Banshee è
del tutto fuori luogo, ma proprio per il suo aspetto è l’indiscussa regina di
Banshee, anche se Job odia questo posto con tutte le sue forze.

“The library is open” (cit.)

Tutta la serie poi è popolata di personaggi esagerati e
sopra le righe, da Clay Burton (Matthew Rauch) il maggiordomo, spalla e guardia
del corpo di Kai Proctor, uno che sembra la versione bianca e sadica del Brother
Mouzone di “The Wire”, ma non si può non citare il laidissimo Albino, un
energumeno particolarmente degenerato che rende la vita carceraria del futuro
Lucas Hood un inferno. Compare solo in un episodio ma è talmente malvagio, da
motivare quanto basta il nostro protagonista, se per il resto della serie lo
vedremo resistere a colpi mortali, pestando tutti come un fabbro, è perché se è
sopravvissuto ad uno come l’Albino, tutto sommato gli altri potrebbero essere
quasi una passeggiata. Ho detto quasi eh?

Si perché di fatto l’uomo che impareremo a conoscere come
James Hood (anche se non si chiama così), è un’icona di resistenza umana. Non
ho idea di quale sia il suo vero nome, anche se potrebbe venire fuori dall’anagramma
delle parole “Mai una gioia”. Si perché, spogliato di tutto, “Banshee” è la
storia di un uomo che ha amato intensamente la sua donna, per poi perderla per
quindici anni, e aver attraversato un inferno carcerario solo per ritrovarla
con la nuova identità di Carrie, tra le braccia di un altro uomo.

Anche se bisogna dire che Hood ha saputo consolarsi.

La loro storia tragica anima tutta la serie e i personaggi,
in nome di quell’amore durato pochissimo e finito con una rapina andata nel
modo peggiore, il nostro protagonista è pronto a sopportare qualunque cosa. Certo nel frattempo si consola con tre quarti della popolazione femminile di “Banshee”,
ma questo non cambia la natura di un personaggio che è stato felice dieci
minuti nella sua vita, e da allora non ha mai smesso di sanguinare, prendere
botte, dare pugni e uscire dalla risse a testa alta. Perché proprio i momenti d’azione
sono la parte migliore di “Banshee”, il famoso “come” a cui facevo riferimento
lassù.

Che siano lunghi piani sequenza di lotta, oppure sparatorie, ogni
episodio di “Banshee” ha almeno un momento d’azione girato come il Dio del
cinema Action (che io immagino con le sembianze di Arnold Schwarzenegger)
comanda. Ognuna di esse è ben studiata, ben coreografata e molto ben eseguita,
se le trame possono essere spesso riscaldate, l’azione in “Banshee” è di
primissima qualità, basta dire che un intero episodio (1×08) vede Ivana
Miličević fare a botte con un personaggio di cui non vi rivelerò l’identità per
non rovinarvi la visione, ma l’episodio è davvero tutto così, ogni colpo
mortale fa cominciare un flashback e ogni flashback serve a dare motivazione
alla lotta dei due personaggi.

A Banshee ogni posto è buono per menarsi, figuriamoci al pub.

La sparatoria gigante con tanto di colpi di Bazooka che
conclude la prima stagione è una meraviglia per gli appassionati dell’azione, ma più gli scontri tra personaggi sono sentiti, più risulteranno sporchi,
violenti e coreografati alla grande. “Banshee” è una serie (e una città) basata
sulla violenza senza tirar mai via la mano, ci sono episodi dove personaggi si
menano senza nemmeno averne troppe motivazioni, come fanno Clay e la bella
nativa americana Nola (in realtà la cubana Odette Annable), si pestano e si
massacrano di botte nell’episodio 3×03 e lo spettacolo è davvero garantito!

Provate a sfotterlo per il farfallino, vi sfido.

L’azione in “Banshee” è talmente curata che persino quando
una ragazza, mena uno grosso tre volte più di lei, mai viene da sospettare che
sia qualcosa di improbabile, il problema a lungo termine diventa la ripetibilità
di questo giochetto, infatti la quarta stagione a mio avviso non regge il passo
con quelle precedenti.

La trama di Banshee termina con lo scontro con Mr. Rabbit,
dopo questo punto di non ritorno i personaggi hanno praticamente concluso il loro arco narrativo. La terza stagione grazie al gigantesco indiano Chayton fa ancora in tempo a
giocarsi un episodio vagamente ispirato a Distretto13, prima di rendersi conto di aver strizzato i personaggi come limoni. La
quarta stagione infatti ha il fiato corto fin dai primi episodi, certo si gioca
una complessa rapina ai danni dei militari che resta una scena piuttosto
notevole, ma la struttura ormai risulta logora quindi l’ultima stagione è
quella che mette in chiaro che “Banshee” resta una gran cavalcata, ma destinata a
finire presto.

La posa classica degli eroi della Bara Volante.

Si perché non so se lo avete notato, ormai a Casa Cassidy è
una regola per quando si decide di affrontare una nuova serie tv: le scene di
sesso di solito sono tutte nei primissimi episodi, una trappola per gonzi che
serve ad accalappiare lo spettatore. Ecco “Banshee” è una serie dove le scene
di sesso continuano per almeno tre stagioni, superando questo pruriginoso banco
di prova. Guarda caso la qualità della serie cala quando le scene di sesso
iniziano a latitare, ovvero nell’ultima stagione. Insomma, mentre qui a Casa
Cassidy tentiamo di dare un nome a questo teorema, sappiate che “Banshee” è
fatta di tutta un’altra pasta rispetto a qualunque altra serie tv.

Sarà anche grossolana nelle trame e spudoratamente orientata
ad un pubblico maschile, ma di serie più cazzute di così, nel panorama d’azione
occidentale, difficilmente le troverete. Si arriva a Banshee per la sua fama e
si resta per lo spettacolo che viene garantito, provare per credere.

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