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Basket Case (1982): dalla cesta con furore (auguri Belial!)

Ho atteso pazientemente l’occasione per portare un po’ del
cinema di Frank Henenlotter su questa Bara, francamente non avrei potuto
cominciare meglio, non solo perché “Basket Case” è stato il suo film d’esordio,
ma perché possiamo festeggiare i suoi primi quarant’anni, ma prima un po’ di
musica così, tanto per cominciare la festa.

Nel 1982 l’epoca d’oro del cinema horror americano era agli
esordi, gli unici film che trovavano facilmente fondi e distribuzione erano
quelli pronti a portare in scena sbudellamenti, mostri, morti e tette senza
tirar via la mano, ma questa storia non prevedeva certo tappeti rossi per chi
volesse scrivere, dirigere e produrre Horror, il mercato era pronto ma i primi
– passatemi il termine un po’ forte – pionieri del genere, spesso lavoravano in
ristrettezze, anzi meno, quel cinema povero che o hai tanto talento e idee,
oppure sei destinato ad essere spernacchiato vita natural durante, considerando
i soldi disponibili e i risultati ottenuti, Frank Henenlotter ha sempre avuto
più talento che fondi.

Un regista che probabilmente verrà ricordato per sempre come un guru delle
commedie horror, ma è chiaro che Frank Henenlotter abbia votato la sua carriera
e la sua filmografia ai B-Movie, film ricordati solo dagli appassionati di
horror come voi e me, quelli senza ritorno, eppure il cinema di Henenlotter ha
sempre avuto più sostanza di quello che i suoi mostroni di gomma lasciassero
intendere, me ne sbatto del giudizio dei critici con la pipa e gli occhiali,
solo ad un’occhiata distratta i suoi film potevano passare solo per semplici
B-Movie Horror.

Non fare il timido Belial, vieni fuori è il tuo compleanno.

Certo lo erano, proprio come “Basket Case”, basta dire che
ad un certo punto il protagonista Duane Bradley (Kevin VanHentenryck… Salute!)
ragazzino di provincia arrivato nella grande e tentacolare città nemmeno fosse
Renato Pozzetto (ma con una cesta in braccio), entra nello squallido motel
destinato a diventare la sua casa, con un pugno di fogli verdi con sopra facce
di ex presidenti spirati in mano, beh stando alle affermazioni del regista,
quello era più o meno tutto il budget disponibile per girare “Basket Case”
(storia vera).

Un film in 16mm con un mostro orrendo e allo stesso tempo
adorabile, tutto animato a passo uno, con la plastilina come si faceva ai
vecchi tempi, dove gli attori nei casi migliori, avevano recitato in qualche
recita scolastica e molti di loro, dopo questo film non sarebbero apparsi
nemmeno in quelle. Un film quasi tutto girato senza permessi, dove in qualche
caso qualcuno ha dovuto girare nudo di notte, nel gelo di New York, per poi
sentirsi dire che il finale presente nella sceneggiatura originale, doveva
essere modificato in corsa perché ooops! Sono finiti i soldi (storia vera).

L’unico caso in cui è il contenuto della cesta da picnic a mangiarsi te.

Se poi come me, vi piace leggere il contenuto dei titoli di
coda dei film, sappiate che non ne esistono di più farlocchi di quelli di
“Basket Case”, visto che Henenlotter per non dover ripetere sempre gli stessi
quattro nomi dei suoi pochi collaboratori, cominciò ad inventarsene per i
crediti del film, quindi più delle metà sono tutti immaginari, roba degna di
Nino Bixio e Ajeje Brazorf e questo più di tutti, secondo me resta l’aneddoto
di produzione che inquadra il film meglio di tutti.

Quando giri in queste condizioni, o sei qualcuno con
qualcosa da raccontare oppure vai sotto bevendo dall’idrante e Frank
Henenlotter in questo suo B-Movie, ha saputo infilare dentro quintali di
squallore e decadenza urbana, ma anche temi forti come la solitudine,
l’impotenza, i complicati rapporti con l’altro sesso (e il sesso in generale),
ora io non vorrei per forza far incazzare i cinefili con la pipa e gli occhiali
(ma anche sì, se necessario), ma per quello che mi riguarda l’unico altro film
Newyorkese, in grado di parlare così bene lo squallore e di solitudini maschili
per me resta “Taxi Driver” (1976), se vi sembra lesa maestà paragonare un classico
di zio Martin Scorsese ad un B-Movie di Frank Henenlotter, concedetemi qualche
minuto del vostro tempo, proverò almeno a costruirmi delle attenuanti
generiche.

“Auguri Belial!”, “Festaaaaaaaaaaaaaaaa!”

La storia è più che semplice, Duane Bradley arriva in città
con tutta l’ingenuità dei ragazzi di provincia e una grossa cesta in braccio,
che al suo interno contiene il suo fratello siamese (no, non come i mici degli
Aristogatti) di nome Belial, un mostriciattolo che per tutto il tempo del film
fa principalmente due cose: urlare e uccidere.

Grazie ad un Flashback, Henenlotter ci racconta di come il
padre di Duane attraverso un’operazione clandestina organizzata in casa, abbia
cercato di separare il figlio sano da quel “grumo di carne” (come lo definisce
ben poco amorevolmente), personalmente trovo geniale il modo in cui Belial
prima della separazione, fosse rappresentato con la pelle un pochino più rosea,
tipica di quando ancora sei parte di un sistema circolatorio funzionante, salvo
poi diventare un po’ più grigio e smorto del colorito, una volta separato,
quasi morto ma ancora qui, perché Belial, in qualche modo sopravvive e come
tutti gli esseri che subiscono un torto, cova vendetta e poi… Si vendica.

Le morti in “Basket Case” sono tante, violente e
gustosamente splatter, il dottore ucciso in casa sua nel prologo del film ma
ancora di più il padre, oppure la memorabile morte dell’odiosa veterinaria,
punita da Belial a colpi di bisturi piantati in faccia, divertimento garantito
per tutti gli appassionati di Horror ma ammettiamolo, anche una gioia per gli
occhi ogni volta che Belial, striscia fuori dalla sua cesta un fotogramma alla
volta, a colpi di stop motion la tecnica di cui per quello che mi riguarda, è
fatto il cinema del tipo migliore.

“Ho appena rivalutato la cesta, qui mi sento uno dei Ghoulies”

Eppure “Basket Case” è molto più di orgoglioso intrattenimento
di serie B al suo meglio, senza mai sbattere in faccia al pubblico i famigerati
“TEMI IMPORTANTI” (scritti così, perché sono importanti), Frank Henenlotter ci
regala una disgustosa storia ambientata nel mondo degli ultimi degli ultimi, se
hai un oscuro segreto che nutri a colpi di hamburger e wurstel che porti in
giro dentro una cesta, i peggiori quartieri di una grande città sono il posto
migliore per essere ignorato, eppure nella pancia del suo film Henenlotter ha temi come la solitudine oppure la difficoltà tutta maschile
di approcciarsi all’altro sesso, lo fa con la leggerezza di chi sta dirigendo
un B-Movie, senza soldi e senza permessi, quindi senza rompere i maroni agli
spettatori sottolineando i passaggi chiave con il pennarellone a punta grossa,
perché semplicemente lui aveva un film da cercare di portare alla fine, il che
viste le condizioni proibitive era già una grossa gatta da pelare.

Ma “Basket Case” dentro quella cesta riesce a parlare in
scioltezza (ma non in modo stupido) di temi più profondi, ad esempio
l’impossibilità determinata da un problema fisico, di avere una sana e
normalissima reazione (anche sessuale) con una ragazza, Duane è ad una
fidanzata dalla felicità, pare averla trovata in Susan (Terri Susan Smith),
bella, solare, formosa, piena di vita e di senso dell’umorismo (quando imita al
telefono il rumore della macchina da scrivere rotta, mi fa sempre ridere), tra
di loro l’anomalia, il mostro, l’ostacolo fisico che impedisce a Duane di
essere come tutti gli altri, visto che siamo in un B-Movie con le creature
animate a passo uno e non in un film drammatico, questo elemento è Belial, che
come Duane vorremmo odiare per i suoi atti di terrorismo alla vita del
fratello, ma non possiamo farlo perché come si può odiare Belial dove aver
conosciuto la sua storia? Sarà anche un mostro con gli occhi rossi che
scatenano anche il giusto livello di ilarità, ma è davvero peggio di molti dei
personaggi che popolano il film?

La scena più divertente (se non siete la veterinaria)

Questo elemento quasi da “Body horror” con occhi rossi e
urla, diventa la metafora non urlata ma suggerita con grande grazia da Henenlotter,
il suo Travis Bickle si chiama Duane, non ha una pistola a scatto nascosta
nella manica ma un mostro pronto a saltar fuori da una cesta, entrami i personaggi
però sono due sociopatici per cui i rispettivi film ci fanno patteggiare,
perfetti per portare al cinema solitudini maschili e isolamento, usando gli
strumenti del cinema, certo a due livelli diversi perché quello di Scorsese sta
leggermente più in alto (poco eh?) rispetto ad un B-Movie di Henenlotter, ma lo
squallore con cui i due registi ci fanno fare i conti è lo stesso.

Diventa chiaro anche nella scena più controversa del film,
quella che ha creato più di un problema a Henenlotter, perché girandola una
fetta della sua troupe si sentiva così a disagio da lasciare il set, ma come
abbiamo visto, il regista non poteva proprio contare su un numero infinito di
collaboratori.

La scena più sconvolgente (se siete umani)

La grottesca scena di sesso con Sharon degenera molto presto
in altro, si passa da poppe in primo piano a qualcosa di estremamente
fastidioso, disturbante come può essere solo il sesso quando diventa violenza,
a Henenlotter basta sangue finto, le urla disperate del suo protagonista e
il movimento suggerito dal corpo (se così possiamo chiamarlo) di Belial per
farci capire cosa sta accadendo, abbiamo visto al cinema scene di violenza
sessuale ben più esplicite di questa, eppure a memoria mia poche risultano più
fastidiose di questa, l’apice drammatico di un film che è a tutti gli effetti
un B-Movie, ma per chi ha propensione con la materia e una certa attitudine a
trovare la qualità anche nei prodotti più grezzi, mette in chiaro come il
cinema di Henenlotter avesse una marcia in più, forse dettata anche dalle
ristrettezze quelle che puoi aggirare solo se hai del vero talento.

Forse anche per questo “Basket Case 2” (1990) e “Basket Case
3: The Progeny” (1991), anche se girati con qualche soldino in più, non hanno
lasciato il segno quanto il primo capitolo, vediamo come andrà magari porterò
anche gli altri due capitoli su questa Bara, per ora ci tenevo molto a
festeggiare i primi quarant’anni di questo titolo di culto, quindi tanti auguri
al film di Frank Henenlotter, a Duane e soprattutto a Belial, non voglio di
certo farlo arrabbiare.

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