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Batman (1989): danzi mai col Diavolo nel pallido plenilunio?

Ci siamo arrampicati sui palazzi di New York, siamo stati a Metropolis, ma questa è Gotham City, non puoi sopravvivere a meno che tu non sia… Nanananananana…Batman!

Quello che non si ricorda mai di questo film è il suo essere la storia d’origini di un super criminale. Proprio da qui comincio, dalla storia di origini di un tipaccio, facile che voi mi abbiate già sentito raccontarla, se così fosse portate un po’ di pazienza per la doverosa replica. Per tutti gli altri, invece, sappiate che le storie di origini si perdono nelle nebbie del tempo dei ricordi e di dove sono cresciuto io, un posto più spettrale di Gotham ad Halloween, parte di questa storia è frutto di qualche aggiunta creativa del vostro amichevole Cassidy di quartiere, ma la morale resta inalterata nel tempo.

1989. Ho sei anni, i miei mi portano al cinema, non a vedere Zorro e no, non vengono uccisi in un vincolo in un tripudio di perle che rotolano a terra. Ma uscito dalla sala il piccolo Cassidy ha i pugni in tasca, il muso lungo, forse da anche un calcetto ad un sasso, la posa di chi non è contento, insomma. «Cos’hai piccolo Cassidy? Non ti è piaciuto il film?», risposta del futuro sociopatico: «No, il film è bello… Però alla fine il Joker muore, uffa!» (storia vera). E fu così madames e monsieurs che è nata la mia insana passione per i cattivi, ancora oggi spesso, mi ritrovo a fare il tifo per loro.

La mia idea di finale triste.

Quest’anno saranno trent’anni da allora, dire che ci sono cresciuto con questo film sarebbe ampiamente riduttivo, ai tempi fu un successo commerciale esagerato, il primo vero film di supereroi dai tempi del Superman di Richard Donner. A trent’anni dalla sua uscita è un ricordo comune considerato intoccabile, ma forse per le ragioni sbagliate, un classico, uno dei miei classici, un Classido! No, sul serio, questo non posso non averlo tra i Classidy!

La storia produttiva penso che sia arcinota, ma a grandi linee è andata più o meno così: i produttori Michael E. Uslan e Benjamin Melniker nell’aprile del 1979 riescono ad acquistare dalla DC Comics i diritti di sfruttamento di Batman, li portano via quasi come ad una svendita, perché la popolarità dell’uomo pipistrello era in caduta libera, gli anni ’70 fumettistici del personaggio sono ricordati come un disastro. Il piano di Uslan, ex scrittore di fumetti, è di riportare Batman alle tenebre a cui appartiene, ma la sua nobile missione si scontra con una realtà in cui il personaggio è identificato giusto da Adam West che balla e il Robin di Burt Ward con il suo repellente per squali, nella vecchia serie televisiva, quella tutta colorata con i “BANG!” e gli “SLAM!” in bella vista. Infatti, il massimo a cui poteva aspirare Batman era un film comico, con Chevy Chase con le orecchie a punta e John Candy nei panni del Pinguino progetto che, per fortuna (oppure purtroppo, fate voi), non ha mai visto la luce… Fiuuuu!

«Se voglio un film decente, toccherà dirigermelo da solo con la mia Bat-Macchina da presa»

Nel novembre del 1979, arrivano anche i produttori Jon Peters e Peter Guber che affidano a Tom Mankiewicz, autore della primissima bozza del Superman di Donner. Mankiewicz completa la sceneggiatura intitolata “The Batman” nel 1983, ci mette dentro il Joker, Robin e per il 1985 si parla di William Holden nel ruolo di Batman e alla regia qualcuno come Ivan Reitman, oppure Joe Dante che, però, rifiuta perché ammette candidamente di essere più interessato al personaggio del Joker, che avrebbe fatto volentieri interpretare al “mio” John Lithgow (storia vera).

La scelta per il regista alla fine ricade su un ragazzotto dai capelli strambi che fino a quel momento aveva diretto solo quella cosina su commissione “Pee-wee’s Big Adventure” in cui si intravedeva (poco) la sua fissa per le robe oscure e contorte, Tim Burton diventa ufficialmente il regista di Batman nel 1986 e a quel punto il mondo esplode.

Gli unici che possono appollaiarsi sopra i Gargoyle sono i piccioni e Tim Burton.

Sì, perché il 1986 è l’anno zero dei supereroi americani, Frank Miller ha appena restituito gli attributi a Batman con il monumentale Il ritorno del Cavaliere Oscuro dando, di fatto, ragione a Michael E. Uslan e Benjamin Melniker che immagino saranno andati in giro a sventolare copie del fumetto di Miller sotto il naso di tutti quelli che non hanno creduto in loro, al grido di: «Sai chi ti saluta tantissimo?? Sto Batman!».

Tim Burton, dal canto suo, ha le idee chiarissime, dei supereroi non gliene può fregare una beneamata, lui il fumetto non lo ha mai nemmeno letto in vita sua, quindi dopo Donner, un altro regista getta alle ortiche buona parte del lavoro di Mankiewicz e affida tutto ai suoi fedelissimi, Warren Skaaren (quello di “Beetlejuice” 1988) e Sam Hamm che finirà a lavorare alla Distinta Concorrenza scrivendo proprio storie di Batman.

Fun fact: La “chimica Axis” è in realtà uno dei set riciclati da Aliens – scontro finale (storia vera)

Burton e Hamm sono convinti che raccontare per filo e per segno l’origine di Batman sia poco efficace, quindi tutto il passato del personaggio è raccontato tramite alcuni flashback, l’unico che procede in avanti è il Joker e qui l’ispirazione arriva da un’altra pietra miliare del fumetto uscita nel 1988, Batman – The Killing Joke di Alan Moore. Così facendo e ignari di tutto, stavano creando due sociopatici, uno con i capelli verdi sullo schermo, uno dietro lo schermo, quello che state leggendo in questo momento.

Ora ci vorrebbe anche qualcuno di credibile da mettere sotto il mantello e la maschera di Batman, vengono fatti i nomi di tutti quelli che possano risultare credibili nei panni di un nerboruto miliardario e anche un po’ di destra, per non dire proprio Fascio visti i modi gentili. I soliti Stallone e Schwarzenegger vengono depennati subito, alla produzione piacciono Harrison Ford, Kevin Costner, ma Tim Burton ha le idee chiare: Michael Keaton o niente.

Michael Keaton, nella parte delle reazioni alla nomina di Michael Keaton.

Uslan sbraga malamente, ma come Keaton?! Quello fa le commedie! Perché Keaton!? La risposta è facile, a Tim Burton della parte supereroica della vicenda non frega nulla, lui è attirato dai due avversari, due scherzi della natura, facce della stessa medaglia, divisi tra il giorno e la notte. Poi un giorno capirò cos’è successo a bambino a Tim Burton da ritenersi il massimo cantore dei “Freaks” al cinema, nemmeno lo avessero portato a vedere “Batman” quando aveva sei anni!

Michael Keaton sarebbe stato un Joker perfetto, lo ha dimostrato anche di recente, ma, ammettiamolo, aveva già dato con “Beetlejuice”, quando nel film parlano di un pipistrello di un metro e ottanta che si aggira per Gotham terrorizzando i criminali, secondo me hanno regalato anche qualche centimetro a Keaton che, però, alla fine è perfetto per l’uso che Burton vuole fare del personaggio. Il problema è che il progetto ancora non ingrana, almeno finché Jack Nicholson non dimostra interesse per la parte del Joker. Boom!

«Mi gioco il Jolly»

Il suo coinvolgimento trasforma “Batman” in un titolo di punta, facendo anche passare inosservato il dettaglio che Harvey Dent sia diventato improvvisamente nero (dettaglio di cui non ho mai sentito nessun fanatico di fumetti lamentarsi come farebbero oggi) perché ad interpretarlo è Lando Calrissian, anche noto come Billy Dee Williams. Nicholson, però, gigioneggia, vuol seguire l’esempio di Marlon Brando in Superman e farsi pagare un’esagerazione, allora la Warner bros. minaccia di affidare il ruolo al povero Robin Williams che cade nella finta con tutte le scarpe e offeso per essere stato usato come esca, rifiuterà ogni contratto con la Warner per decenni (storia vera).

«Whitewashing? non c’è nessun signor Whitewashing qui, provate a richiamare nel 2019»

Nicholson a quel punto si fa pagare con tanti biglietti verdi, con sopra non la sua faccia, non ancora almeno, ma quelle di tanti presidenti defunti, però sei milioni di dollari non bastano, Jack chiede e ottiene una percentuale ridicolmente alta sugli incassi (esagerati!) del film, diventando di colpo l’attore più pagato per una singola interpretazione. Volete sapere la mia? Tutti meritati, fino all’ultimo centesimo.

Spiegatelo a lui che i soldi non comprano la felicità, non vi sembra felice?

Poco prima dell’uscita del film, il pianeta diventa una polveriera, esplode la “Batmania” e a contribuirvi ci pensa anche Prince che, non pago di aver scippato la possibilità di firmare la colonna sonora al suo storico rivale di sempre (Michael Jackson) mette il carico da novanta e sforna un intero disco, in cui alcuni pezzi si prendono il loro posto nella pellicola (tipo il clamoroso “Partyman”), ma a trasformare il mondo, in un pianeta di ballerini degni delle mossette di Adam West al grido di «Get the funk up!» ci pensa la sua Batdance, dimostrazione che quando è ora di fare le cose in grande, tutti gli altri sono divette isteriche, lui è Prince.

«Non ci sono neri nel Minnesota?», «No Prince è in tour a Gotham City» (quasi-cit.)

Tim Burton non era ancora il megalomane tutto preso da se stesso e dai suoi riccioli, l’arredatore d’interni che è diventato oggi, era ancora un autore con una discreta propensione ai momenti visionari, come la scena «Signori miei, acculturiamoci!» nel museo, ad esempio. Il suo mettere ancora la storia davanti al suo ego fa sì che “Batman” sia tutto sommato molto canonico nel procedere, impreziosito da un paio di intuizioni ottime, la prima senza ombra di dubbio la colonna sonora del fidato Danny Elfman, il compositore che meglio di tutti ha saputo mettere in musica i supereroi al cinema, il tema principale di “Batman” è talmente iconico, da essere stato ripreso identico per la leggendaria “Batman: The Animated Series” quella creata da Bruce Timm. Noi ci siamo puppati Cristina D’avena corre, corre e Batman Batman! Loro Danny Elfman, ci abbiamo perso credetemi.

Abbiamo fatto l’Italia Gotham City. Ora si tratta di fare gli italiani Batman.

L’altra trovata azzeccata è Gotham City, non puoi raccontare Batman senza la sua città, ogni regista che si cimenta con il personaggio dovrà sempre dedicare il massimo rispetto alla città dell’Uomo Pipistrello, Burton se la gioca al meglio, con dei fondali quasi teatrali, quasi delle proiezioni della mente distorta dei due protagonisti Batman e Joker. Questo contribuisce a rendere il film sospeso nel tempo, sembra come avrebbero immaginato gli anni ’80 alcuni disegnatori degli anni ’30, un posto che rende più accettabile tutto, anche il fatto che la maschera di Batman sia tre taglie più grande della faccia di Keaton, ad esempio.

«Non è un po’ troppo grande quella maschera?», «Sono dimagrito, ora veste larga»

Su questo scenario così posticcio, si muove un personaggio di cui non sappiamo nulla, perché si veste da pipistrello? Perché proprio un pipistrello? Batman esordisce al cinema, ma di fatto è un personaggio in media res, tutti già parlano del pipistrello che terrorizza i criminali, anzi, per fortuna, Michael Keaton, scegliendo di abbassare la voce di un tono, ha improvvisato la mitica risposta «I’m Batman» alla risposta del ladruncolo all’inizio, altrimenti non avremmo avuto nemmeno quell’inizio così figo e una presentazione ufficiale per il personaggio, la battuta nel copione era «I am the night» (storia vera).

Una risposta che va bene per ogni domanda (quante volte avete imitato la voce bassa di Keaton? Quante!?)

Il giornalista Alexander Knox, interpretato da un volenteroso Robert Wuhl, prima di sparire quasi completamente dal film, viene usato per far fare bella figura a Michael Keaton anche nei panni di Bruce Wayne e ad introdurre la Vicki Vale di Kim Basinger che, oltre ad essere bellissima, è la bionda perfetta, quella che vorrebbero portarsi tutti all’altare, persino Alfred Pennyworth (Michael Gough) la fa accedere alla Bat-caverna senza problemi, in una scena che ha fatto tanto arrabbiare i lettori di Batman. Dai, non fate come Keaton che abbassa il tono della voce per risultare più figo, io lo so che avreste voluto tutti dire ad una così «Stretta a me» e poi fiuuuuuu! Volere via appesi a qualcuno dei fantastici Bat-Gadget.

Gli uomini pipistrello preferiscono le bionde.

Perché Batman è questo in questa pellicola: un personaggio fatto e finito di cui vediamo solo i lati fighi, la corazza anti proiettile con gli addominali scolpiti perfetta contro criminali armati (e per superare tranquilli la prova costume senza diete) e il mantello di pelle per dare al personaggio un aspetto più aggressivo, oppure la Bat-mobile ancora la più bella mai vista al cinema, così riuscita che dopo questo film, nel fumetto hanno dovuto dare importanza a quello che per il crociato di Gotham era solo un mezzo di trasporto abbastanza anonimo, ma anche quello che ha fatto sì che ancora oggi, ogni tanto, quando premo il pulsante della chiusura centralizzata delle portiere, mi avvicino le chiavi alla bocca e dico «Scudi» (storia vera).

Best. Batmobile. EVAH!!

No, “Batman” non è la storia delle origini di Batman, al massimo è quella delle origini del Joker, tanti, quasi tutti, per via dell’enorme affetto per questo film, lo ricordano come uno dei migliori film sull’uomo pipistrello di sempre, quando, in realtà, resta uno dei suoi adattamenti meno fedeli se analizzato scelta per scelta, ma più riuscito nella capacità di cogliere lo spirito dei personaggi.

Nel fumetto il nome del Joker non è mai stato pronunciato, la confusione sul suo passato e sulle sue origini sono parte del fascino del personaggio e, di certo, non è l’uomo che ha ucciso i coniugi Wayne in un vicolo creando Batman, Tim Burton tradendo il materiale originale, ha trovato in qualche modo il modo di farlo funzionare alla grande, gli basta una scena per creare il vero protagonista del film, un momento quasi horror, quello in cui Jack Nicholson di spalle, chiede al dottore tedesco lo specchio per vedere la sua nuova faccia, una scena talmente potente da diventare iconica, parodiata ovunque (anche nei Simpson giusto per dirne una), il momento esatto in cui la psiche di Jack Napier va in pezzi e libera quello che era già presente sotto, il Joker.

Solo Darkman ha scalzato questa scena dal mio personalissimo cartellino degli “sbendaggi” più tragici e paurosi.

Jack Nicholson è da sempre uno dei miei attori preferiti, ma ancora oggi il modo in cui si è preso “Batman” sulla spalle, trasformandolo nel suo spettacolo personale e allo stesso tempo, in un classico per un’enorme fetta di pubblico, resta uno dei più clamorosi casi di strapotenza artistica. Una forza della natura che neanche il pesante trucco che, di fatto, lo costringeva a recitare con la metà del suo viso da pazzo, ha saputo frenare in alcun modo quel fiume in piena di facce e faccette, una più buffa, sinistra, comica ed allucinata dell’altra.

«Ze te ne defi andare, va con un zorrizo!» (tutto ve lo posso recitare, tutto).

Dire che Nicholson sia dotato di un’enorme teatralità è quasi riduttivo, quella teatralità è tutta al servizio di un personaggio che non ne giova, ne ha proprio un bisogno fisico, non potrebbe esistere senza, proprio per questo ogni volta che Jack apre bocca, fa venire giù il teatro, regalando circa un milione di quelle che io chiamo, le “citazioni involontarie” quelle frasi che ti ritrovi normalmente ad utilizzare nella vita quotidiana e a questo contribuisce il doppiaggio italiano del film, un adattamento fantastico con invenzioni notevoli, ma per questo lascio la parola agli esperti che hanno già trattato l’argomento meglio di quello che potrei mai fare io. Mi limito ad aggiungere una postilla: non sono un cacciatore di autografi, ma ho quello di Giancarlo Giannini, sapete dove lo conservo? Dentro la custodia del DVD di “Batman” (storia vera) quello è il suo posto.

Jack chiude il cerchio iniziato con il Gwynplaine di “L’uomo che ride” (1928).

Sono piuttosto certo che una buona fetta del mio distorto senso dell’umorismo un po’ macabro, sia debitrice della prova di Nicholson in questo film, i due arci nemici sono essenzialmente due umani senza alcun potere, uno ha i soldi e li usa per la sua crociata, l’altro ha il carisma per assicurarsi uomini e mezzi, ecco perché Batman qui, avrà pure un sacco di aggeggi fighi, ma non regge il confronto con il suo antagonista, infatti passa buona parte dello scontro finale a svolazzare con il suo Bat-Aereo, oppure ad inseguire il Joker, come fa lungo le scale della cattedrale di Gotham. Non ho mai avuto un singolo dubbio fin da quella prima visione in sala del film, il protagonista è Joker, il migliore mai visto al cinema, uno che si definisce non di certo un killer, un po’ ruvidino forse, ma un artista e qui incarna la parte migliore del cinema, quella che mi ha sempre affascinato fin da bambino.

Avessi dovuto pagare per ogni sua frase che ho citato, lavorerei solo per lui.

Ci sono state tantissime interpretazioni di Joker nel fumetto, anche quello di Nolan possiamo consideralo così, ma per me quella di Tim Burton e soprattutto Jack Nicholson è la migliore perché riprende in tutto il Joker della vecchia serie tv, quel vecchio zio un po’ gigione interpretato da Cesar Romero, ma aggiungendogli una dimensione nuova. Il trucco e i colori esagerati anche dei capelli sono quasi gli stessi, ma il Joker di questo film non è un semplice sadico che vuole “veder bruciare il mondo”, un matto vestito da dandy, no è uno che organizza e porta in scena delle vere e proprie rappresentazioni della condizione umana, per questo tiene così tanto alla sua parata («M’ha rubato tutti i miei palloni!») e va via di testa quando Batman fa più notizia di lui («Batman… Batman… C’è qualcuno che sa dirmi in che razza di mondo stiamo vivendo? Dove un uomo si traveste da pipistrello? E si frega tutta la mia stampa?»)

La gara a chi attira più attenzione tra Joker e Batman, riassunta con una comoda metafora.

Joker è talmente teatrale, cinematografico in tutto quello che fa, che come uno sceneggiatore bravo, si gioca le frasi ad effetto nel momento giusto per dare una svolta nella trama (è la sua mitica «Danzi mai col diavolo nel pallido plenilunio?» a scatenare il flashback rivelatore per Bruce Wayne). Se Batman utilizza i soldi per i suoi fini, il Joker li considera senza valore perché non hanno la sua faccia sopra, quindi non contano, li lancia alla folla solo per osservarli e godersi le reazioni scomposte delle persone, non un semplice portatore del caos, ma il primo artista dell’omicidio a ciclo completo, come si definisce lui stesso. Altro che Tim Burton, il tipo eccentrico che dirige la storia è lui!

Da trent’anni continuo a citare a memoria le frasi del Joker e se in una storia finisco spesso a patteggiare per i cattivi, lo devo un po’ anche a questo personaggio, per quanto mi riguarda, questo film avrebbe dovuto intitolarsi proprio “Joker”. Batman, invece, tornerà la prossima settimana, giornate che passeranno molto in fretta, infinite cose da fare e così poco tempo!

Mettere la proprio firma sul film, un esempio concreto.

Intanto beccatevi la locandina d’epoca direttamente dalle pagine di IPMP.

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