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Batman – Il ritorno (1992): i freaks hanno preso il controllo del circo

Ancora una volta è il momento di accendere il Cass-Segnale, si torna a Gotham City per il nuovo capitolo della rubrica: Nanananananana…Batman!

Lo ammetto con il massimo della trasparenza di cui sono capace: ci sono stati poco registi a cui ho voluto bene più di Tim Burton. Se dovessi indicare un regista legato alla mia infanzia e ad una fetta di adolescenza, penso che lui potrebbe andare bene, i suoi anni ’90 cinematografici sono stati impeccabili e, guarda caso, coincidevano con la mia adolescenza di strambo sgorbio pallido e nero vestito che con la poetica di Burton, ci andava a nozze, guardate su in alto, avete letto il nome del blog? Se non sei un tipo strambo con la propensione per il macabro un nome così non lo scegli, no?

Che poi, non ho mai capito la poetica di Burton, cioè quella sì, ma come scrivevo anche riguardo a Batman, mi sono sempre chiesto cosa sia successo nella vita del vecchio Tim, per cui ad un certo punto ha deciso di autonominarsi cantore di tutti gli stramboidi e gli scherzi della natura al cinema, me lo chiedo da sempre. Eppure, pochi registi hanno perseguito la loro poetica in maniera più ossessiva di Burton, per lui i mostri sono più interessanti degli umani che spesso sono malvagi dietro la loro facciata buonista e colorata. Una canzone che Burton ha continuato a cantare per anni, con un’estetica sempre più ricercata, fino al giorno in cui le trame in linea con la sua ossessione sono finite e il giocattolo gli è scoppiato in mano.

«Tim noi siamo pagati per vestirci strambi, ma tu che scusa hai?»

Cosa diciamo sempre qui alla Bara Volante? Cosa fa un regista appena ha ottenuto il successo? Si butta anima e corpo sul film della vita, il progetto personale, per Burton forte dell’enorme trionfo al botteghino di Batman, è stato “Edward mani di forbice” (1990), quando la Warner Bros. gli chiese un secondo capitolo delle avventure dell’uomo pipistrello, il regista dai capelli buffi accettò, ma con ancora meno interesse nei confronti delle vicende dei supereroi di quanto non avesse prima. Per lui “Batman Returns” era l’occasione per portare avanti la sua poetica sui “Freaks”, se le persone hanno adorato il Joker di Jack Nicholson, vuol dire che ci metteremo più cattivi, più mostri, più maschere che, poi, è il tema del film, ripetuto ossessivamente.

Il soggetto di Sam Hamm prevedeva il Pinguino e Catwoman impegnati nella ricerca di un tesoro e, ad un certo punto, era previsto che comparisse anche Robin, la negazione con maschera e mantello di tutto quello che il Batman di Burton rappresenta, l’unico solitario uomo bestia di Gotham come lo definisce Alfred, infatti Burton affida la sceneggiatura a Daniel Waters, affascinato dal suo lavoro su “Schegge di follia” (1988), anche se le trovate comiche un po’ sceme e certe battutacce a sfondo sessuale presenti nel film che si notano tantissimo rivedendolo oggi, ci ricordano che Waters era fresco fresco di uno dei miei film del cuore, quel clamoroso tonfo al botteghino noto come Hudson Hawk – Il mago del furto, sul serio, il Pinguino che s’arrapa parlando di “godurie francesi con pene e pinne” e di “Prendisedani” sono farina del sacco di Waters, sicuro!

«Per Osiride e per Api, guardami. Guardami bene! Tu ora sei un pinguino, un pinguino, un pinguino!» (quasi-cit.)

Ho sempre pensato che l’unico personaggio dei fumetti ad avere una “parco cattivi” interessante e variegato come quello di Spider-Man, fosse davvero solo Batman, tante volte gli avversari del Crociato di Gotham sono mostri tragici, con davvero molto in comune con l’eroe, permettere ad uno come Burton di pescare a piene mani da questi personaggi è una gran pensata che paga enormi dividendi e se il Joker di Jack Nicholson era il vero protagonista del primo film, qui è davvero la stessa cosa, vale le regola aurea dei seguiti: uguale, ma di più!

L’aspetto del Pinguino viene realizzato sulla base dei bozzetti disegnati da Burton e per interpretarlo, dentro il suo goffo costume di gommapiuma da Gabibbo scolorito, viene chiamato l’attore che è sinonimo di bassezza (fisica, non morale) ad Hollywood, Danny DeVito che risponde con una prova magnifica, forse la migliore della sua carriera e se Batman nel primo film era un personaggio che entrava in scena già fatto e finito, qui prima di vederlo tocca aspettare più di trenta minuti, perché tanto per Burton il protagonista è il Pinguino, non ci sono discussioni su questo.

«Avevi forse dei dubbi Cassidy? Non ho il physique du role da protagonista per caso?»

La storia è ambientata a Natale, non solo perché rappresenta la festa buonista di facciata dei “Normali”, ma anche perché non c’è nulla di più fuori posto di uno stramboide gotico e nero vestito, tra gli addobbi colorati di Natale (ogni riferimento a fatti, cose, persone, o film in stop motion intitolati “Nightmare Before Christmas”, è puramente voluto), ma, bisogna dirlo, l’inizio è micidiale, come vi ripeto anche troppo spesso: i primi cinque minuti del film determinano tutto l’andamento della pellicola. E in questo caso anche le intenzioni di Burton.

Tutti insieme far Natale, mummie e bestie, far Natale! (Cit.)

Il signor Cobblepot, interpretato da Paul Reubens (l’attore protagonsita del primo film di Tim Burton, “Pee-wee’s Big Adventure” del 1985) fuma in attesa della nascita del suo primogenito, urla, spavento, un gatto divorato, una liscia pinna dove dovrebbero esserci cinque paffute ditine e invece di una vita agiata da riccone, al bimbo tocca essere scaricato con tutta la cesta (di vimini, ovviamente nero) nelle fogne, mentre Danny Elfman ci dà dentro come farà per tutta la pellicola, con una colonna sonora, scritta apposta per il seguito.

«Cara, forse sarebbe stato meglio prenderci un gatto. Oppure
adottare Catwoman»

La cesta galleggia sull’acqua per tutti i titoli di testa e invece di venire pescata dagli Egiziani, viene trovata da alcuni pinguini, perché i coccodrilli stanno solo nelle fogne di New York, a Gotham hanno i pinguini (stacce!). Salto in avanti, la notte di Natale di trentatré anni dopo, il Pinguino è la leggenda urbana di Gotham, per usare le sue parole pronto ad “ascendere”, la cesta, l’età, l’ascensione, una valenza biblica appena appena accennata, se poi aggiungiamo che tradito dalla società da cui voleva essere accettato, il Pinguino lancia la sua maledizione e vuole rapire e uccidere tutti i primi geniti. Ci manca solo cerchi di dividere le acque di Gotham e poi direi che il pacchetto “Messia” è completo, no?

Un po’ come se Mosè avesse sbagliato fiume e fosse finito al Polo Sud.

Non è un film che si rifà all’archetipo del mostro dal cuore d’oro, già ampiamente sviscerato da Burton in “Edward mani di forbice”, no in questo film abbiamo solo tipi strambi che possono essere buoni, cattivi, oppure cambiare lato della barricata (come fa più volte Catwoman, anche abbastanza immotivatamente in certi momenti), il vero nemico per Burton è la normalità, le persone che si muovono sullo sfondo, che festeggiano la loro festa per persone normali, che sono indistinguibili gli uni dagli altri, ma che hanno un senso solo quando si rapportano ai “Freaks” agli scherzi di natura in maschera che a Burton interessano molto di più.

Quando non la indossano loro, sono gli altri ad usare una maschera.

Pinguino è il protagonista perché è l’unico personaggio che ha un arco narrativo completo: prima cerca di abbracciare la normalità, cercando il suo nome, il suo passato, di farsi accettare e di impietosire i “Normali” con le sue parole («…una creatura nata un pochino diversa»). Dopodiché si lascia tentare dall’idea di poter comandare gli altri («Ehi, sei davvero grande, sindaco Cobblepot»), per finire ad odiare la normalità, a volerla distruggere e punire con il suo esercito di pinguini, metà reali e metà animatronici, costati una schioppettata alla produzione (storia vera). Le maschere che indossa il personaggio sono molteplici, ma il travestimento migliore del personaggio è quello da professore di matematica. Alle superiori avevo un professore che era identico al Pinguino (storia vera), quando mi rifilava un quattro ero quasi felice che non mi avesse mai azzannato anche il naso.

Ora avete un’idea delle mie interrogazioni di matematica… Brrr!

Ecco perché la città di Gotham City ritratta da Tim Burton è ancora più posticcia di quella del primo film, ci sono sempre le stesse tre o quattro locations (inizio a parlare come Alessandro Borghese ora?) realizzate alla grande, bisogna dirlo, ma sempre quelle: lo Zoo che fa da quartier generale al Pinguino, la piazza centrale di Gotham con l’enorme albero, un teatrino dove si muovono cittadini che al regista non interessano minimamente, sono benpensanti che un attimo prima invocano Cobblepot come nuovo sindaco e l’attimo dopo non hanno nemmeno un’esitazione a credere che davvero l’uomo pipistrello possa aver ucciso la svampita Principessa del ghiaccio, probabilmente al grido di «E Batman che fa? Vergoniiiiiiiia!».

Questo in parte, forse, spiega anche l’assurdo piano del riccone Max Shreck (personaggio che non ha corrispettivi nel fumetto, il cui nome ricorda volutamente quello dell’attore Max Schreck, quello di “Nosferatu” del 1922) che vuole insediare il suo sindaco fantoccio per fare cosa? Rubare l’energia a Gotham City con la sua centrale elettrica? Ma perché? Lavora per l’Enel per caso? Non è dato sapersi, ma è chiaro che fin dall’aspetto sia anche lui una maschera nel teatrino messo su da Burton, si capisce dai suoi capelli troppo strambi e dai vestiti troppo vistosi che non è uno dei “normali”, non fai conciare così Christopher Walken se non vuoi comunicare qualcosa al pubblico. Oppure era un modo di Burton per rendere Walken meno minaccioso. Pare che il regista non volesse averlo per la parte, perché aveva una fifa fottuta del suo sguardo (storia vera), sarà per questo che poi Tim gli ha affidato il ruolo dello spaventoso cavaliere senza testa in “Il mistero di Sleepy Hollow” (1999).

Questo conciato così, sarebbe quello “normale” del film. Fate un po’ voi.

La fuga dalla banale normalità, la trasformazione in una maschera, nel film nessun personaggio incarna tutto questo meglio di Catwoman… Oh, ma per trovare l’attrice giusta per interpretarla? Che faticata! Non sono state impiegate sette vite, ma sudate sette camice sì. Sono volati i nomi di Cher (!) e di Lorraine Bracco, prima di capire che una con il cognome da cane da caccia, per fare Catwoman, forse non era proprio il caso.

Ma a battere la ben più lanciata Annette Bening per la parte, con un sorpasso all’ultima curva è stata Michelle Pfeiffer in stato di grazia, dentro e fuori la tuta di pelle da dominatrice sadomaso. Vogliamo dire che al pubblico la Pfeiffer in queste vesti è piaciuta? Considerando che in parecchie città americane, la Warner Bros. era costretta a stampare e spedire a getto continuo, nuove locandine del film, perché il pubblico se le fregava pur di potarsi Catwoman a casa (storia vera) direi proprio di sì.

Roba da diventar gattofili tipo, ieri!

Michelle Pfeiffer qui al pari di Danny DeVito, regala una delle migliori prove della sua carriera, il suo personaggio è quasi sovrannaturale, gettata giù da un palazzo e morsa da gatti e gattini, risorge e si libera, diventando anche lei una maschera, in quella che per Burton è la nuova normalità, ovvero la stranezza. Ho sempre avuto dei dubbi sulle origini dei poteri di Catwoman, ma se possiamo credere alla lezione cinematografica per cui una, anche Michelle Pfeiffer, con degli occhiali sul naso, è da considerarsi bruttina e sciatta, possiamo credere al morso dei gatti magici che, per altro, è solo una delle tante scene quasi horror del film. Sul serio, ho capito perché mi piaceva tanto da bambino, ha un umorismo cretino di fondo (la paperella del Pinguino, davvero?) che sembra quello della vecchia serie tv degli anni ’60, però pensato da uno dal gusto macabro, non posso dire che certe trovate abbiano retto al meglio la prova del tempo, ma di sicuro questo strambo incontro tra Batman e la famiglia Addams ha una sua personalità.

«Se noi siamo Gomez e Morticia, Cassidy chi sarebbe?», «A vederlo così direi Lurch oppure lo zio Fester»

Già Batman! È previsto che si vedano degli uomini pipistrelli, in questo film sul ritorno dell’uomo pipistrello? La risposta è: Poco. Michael Keaton che non è certo un gigante fisicamente, si deve affidare alla Bat-Mobile per avere la meglio contro i clown e i saltimbanchi del circo di Pinguino, personaggi molto coloriti, tra i quali spiccano il mitico Vincent Schiavelli, con la scimmietta e l’organetto mitragliatore, ma se guardate bene anche il grande Doug Jones.

Le due ore del film filano via, non ci si annoia, per assurdo, però, alla Bat-Mobile che, ribadisco, per me è la più bella mai vista in un film di Batman, sono affidate tutte le scene d’azione che, comunque, Tim Burton non sa girare e che a lui non interessano minimamente, le parti migliori sono tutti i discorsi su quanto i personaggi siano in realtà uno più strambo dell’altro, sul fatto che indossino maschera per essere accettati, ma siano davvero loro quando una maschera la indossano fisicamente sul viso, come accade a Bruce e Selina che lottano come se facessero sesso e pomiciano colpendosi involontariamente le ferite, come se stessero lottando.

«Mmm, indossi vestiti di pelle per assecondare le tue
pulsioni sessuali, BDSM?», «Batman Domina Sul Male? Si quello sempre»

Per questo Batman torna in scena solo nel finale, dove tutta la questione «Io non ho bisogno di una maschera per essere un mostro» si risolve a parole più che con i fatti, con Bruce Wayne che per mettere in chiaro la natura del film, la sua maschera se la strappa via fisicamente e voi non avete idea di quanto mandasse in tilt il bambino ossessivo in me quella scena, sì, perché mi chiedevo: ma quel costumone che non gli permette di girare il collo, deve essere strappato tutte le volte? Cioè, ad ogni sortita notturna Wayne butta via un costume? Ma, soprattutto, perché in quella scena scompare il trucco nero attorno agli occhi di Michael Keaton? Non si poteva curare meglio lo stacco di montaggio? Che ero un bambino strano ve l’ho già detto, vero?

A volte penso che i cattivi di Batman, siano quasi più interessanti del protagonista, questo film ha sempre confermato questo mio distorto pensiero, inoltre penso che per essere amato ancora oggi da così tante persone, i Batman di Burton fossero i meno fedeli ai fumetti in circolazione, ma assolutamente fedeli alla poetica dei freaks del suo regista, gli scherzi della natura hanno preso il controllo del manicomio e del film, un po’ mi manca quel regista in missione per conto della sua stranezza. Il primo Batman per me resta il migliore, questo ha dei momenti da cartone animato che a volte stonano, ma resta uno dei film più riusciti di Tim Burton, un circo pieno di scherzi della natura per cui viene ancora voglia di tifare. Gooble, gobble! Gooble, gobble!

Se non sono strambi non li vogliamo.

Ah, ma non abbiamo ancora finito cari miei Bat-lettori, questa rubrica ritornerà la settimana prossima, ho intenzione di andare avanti a lungo, magari anche… Forever. Questa freddura era orribile, però fate vedere le vostre (due) facce qui tra sette giorni, ok? Intanto beccatevi la locandina d’epoca di IPMP.

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