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Batman – The Killing Joke di Alan Moore (1988): Ci sono questi due tizi in un manicomio…

Cosa serve avere una rubrica su Batman, se non posso ripassarmi alcune delle sue storie migliori?
Credo ci siano davvero pochi dubbi su “The Killing Joke”, ogni volta che si parla dei migliori fumetti dell’Uomo Pipistrello viene citata, di solito subito dopo Il ritorno del Cavaliere Oscuro e Anno Uno.

L’anno dopo la sua uscita nel 1988, questo fumetto fece incetta di Eisner Awards, vincendo il premio come miglior volume, miglior scrittore per Alan Moore e miglior disegnatore per Brian Bolland. Sono passati trent’anni dalla sua prima uscita con i colori originali, mentre “solo” dieci da quella ricolorata dallo stesso Bolland, che voleva per i flashback tocchi di rosso, su una colorazione tipo vecchia fotografia sbiadita (storia vera). Ancora oggi “The Killing Joke” è uno dei fumetti più venduti, ma a memoria mia, proprio in ambito fumettistico, fatico a ricordare un’altra opera di così tanto comprovato successo, che sia stata così poco considerata dal suo autore.
D’altra parte, come si può resistere ad una faccetta così sorridente? (Gulp!).

Nel 1988 Alan Moore era già in rottura prolungata con la Distinta
Concorrenza, per via dei trascorsi del mago di Northampton e la casa editrice,
riguardo alla sua opera più famosa “Watchmen”. Se “The Killing Joke” esiste lo
dobbiamo a Brian Bolland, che godendo di carta bianca da parte della DC, poté
scegliere il personaggio da disegnare e lo sceneggiatore che preferiva, la
leggenda vuole che Moore abbia accettato, solo per la stima e l’amicizia che
aveva per Bolland, fin dai tempi della mitica “2000 AD”, la rivista antologica
che ha fatto da palestra per tutti i maggiori talenti della cosiddetta “British
Invasion” del fumetto americano.

In tutti questi anni Alan Moore ha colto tutte le occasioni
utili per parlare male di “The Killing Joke” secondo lui fin troppo
semplicistica nel mostrare le similitudini – in termini di psicosi – di Batman
e della sua nemesi storica, il Joker. Qualcosa che secondo Moore può
interessare giusto ai lettori già appassionati ma ben poco avvincente per tutti
gli altri. Ma inutile fare finta che in mezzo alla stanza non ci sia un grosso
elefante truccato da Clown (…Dumbo sei tu?), la violenza su Barbara Gordon è quello
che ha reso questo fumetto uno dei più controversi, sicuramente tra quelli dell’Uomo
Pipistrello, ma forse dell’intero genere con tizi in super calzamaglia.
Tra le mille critiche mosse da Moore a se stesso, il modo
spiccio e gratuito di raggiungere il risultato, con un utilizzo realistico
della violenza che dopo “Watchmen” e Il ritorno del Cavaliere Oscuro poteva sembrare un modo per alzare l’asticella,
avete voluto i super eroi “adulti”? Ecco il risultato. Pare che gli allora capi
redattori della Distinta Concorrenza Len Wein e Dick Giordano, alla richiesta
di permesso di Alan Moore di storpiare per sempre Barbara Gordon, abbiano
risposto qualcosa tipo: «Dacci dentro capo!», tutto pur di cercare di appianare
i rapporti con il mago di Northampton, in quella che forse poteva essere l’unica
volta nella sua carriera in cui Moore, un minimo di interferenza nel suo lavoro
l’avrebbe anche gradita.

La rigida griglia a nove vignette, è la stessa di “Watchmen”.

Eppure è risaputo anche che il “Bardo” William Shakespeare
andava in giro a dire che quella robetta lì, quell’Amleto di cui tutti parlano,
era solo una roba che aveva scritto per soldi, si sa che un autore della sua
opera può dire quello che vuole, perché quella dovrebbe comunicare da sola, e “The
Killing Joke” parla e fa parlare da trent’anni.

L’ennesima fuga del Joker da Arkham Asylum, questa volta ha
un esito differente, perché il sorridente pazzoide che Brian Bolland qui
disegna con dei sorrisi da far male agli zigomi anche ai lettori, ispirati al
personaggio di Gwynplaine del film “L’uomo che ride” (1928), punta dritto verso
casa Gordon.

Lui ride sempre, le sue vittime un pochino meno.

Il suo intento non è solo quello di portare il caos, cioè
anche, ma il caos è un catalizzatore, quasi un elemento di contorno rispetto al
suo vero obbiettivo, Joker è essenzialmente un uomo di spettacolo, un grande
regista che organizzando baracconate teatrali, mettendo in scena tutta la gamma
delle emozioni umane, particolarmente attratto dalla più misteriosa e temuta di
tutte, la morte.

Fosse stato un semplice “agente del Caos” il Joker avrebbe
solo sparato a Barbara Gordon, lasciando che la morte della ragazza portasse lo
scompiglio nella vita di suo padre, il Commissario James Gordon. Invece il Joker
fa qualcosa di più, attentando anche all’ordine certo, perché cosa c’è di più
anarchico di prendersela con una che di mestiere fa la bibliotecaria? Una che archivia, tiene in ordine, una che
fino ad un minuto prima era intenta a offrirsi volontaria per organizzare il
sistema di archiviazione utilizzato da quel pasticcione di papà, ed un attimo
dopo BANG! Si becca una revolverata nel bacino che le impedirà di camminare per sempre?

Un’entrata a sorpresa con finale tremendamente drammatico.

Quando la ragazza cade riversa sul tavolino di vetro
mandando in frantumi, il Joker si fa gioco di lei, paragonandola proprio ad una edizione rilegata di lusso, quindi il suo è un attacco frontale all’ordine
rappresentato da libri, e se in questo riuscite a vederci una metafora, una
specie di “vendetta” dei fumetti sui loro cugini più blasonati bravi voi, io mi
limito a buttare lì l’idea, ma non ci provo nemmeno ad inseguirla. I fumetti di
Alan Moore hanno sempre così tante possibili chiavi di lettura che già elencare
solo quelle principali è una faticata.

No, il Joker di “The Killing Joke”, mosso da tutta la contorta
teatralità di cui è capace spara a Barbara, la spoglia nuda, forse la violenta
anche, di sicuro le fa delle foto, e poi le trasmette a reti unificate su degli
schermi installati nel tunnel degli orrori di un luna park abbandonato, il cui
unico e assolutamente non volontario spettatore è James Gordon, rapito, legato
nudo ad uno dei vagoni e costretto a godersi lo spettacolo, perché per il Joker
la convinzione è una sola: Basta una brutta giornata, per far impazzire anche la
persona più sana di mente.
It’s been a bad day (Please don’t take a picture) (Cit.)

Il sospetto serpeggia tra le pagine di questo fumetto, vale
la teoria dell’amante non corrisposto Grant Morrison, per cui anche in “The
Killing Joke” ci sia la solita scena di stupro a cui pare Moore non possa fare
a meno nei suoi racconti? Questo non è mai stato chiarito, però aggredire fisicamente
una donna, spogliarla e farle delle foto da esporre, mi sembra una violenza con
connotazioni sessuali chiarissime, serve davvero la prova che l’ignobile atto
sia stato consumato davvero per dover etichettare tutto questo come violenza
sessuale? Davvero!? No perché è il tipo di mentalità che mi fa pensare che il
passo successivo sia derubricare tutto a “ragazzata”, perché la gonna di
Barbara era troppo corta e provocante, dai su! Fate i bravi.

Forse la vera colpa di Alan Moore in “The Killing Joke” è
stata quella di rendere Barbara prima una damigella in pericolo e poi solo un
elemento scatenante per gli uomini della storia, e anche se il fumetto termina
con una barzelletta, nel fondo della testa, da lettore viene da pensare che
Barbara abbia ben poco da ridere, a differenza di come fanno Batman e Joker nell’ultima
pagina.
Purtroppo il destino di Barbara Gordon è parte del caos
portato dal Joker, danni collaterali nel suo mettere in scena la morte, e se
non altro Moore attraverso i flashback sul personaggio, ci regala un’origine mai
narrata prima per il Joker, per cui da lettori si può provare empatia per lui e
le sue sfortune, ma mai vera pietà. Per farlo Moore ci riporta indietro, con il
suo solito efficacissimo sfumare tra passato e presente della storia, affiancato
due vignette gemelle – un marchio di fabbrica del suo stile – alla brutta
giornata di un comico triste che non faceva ridere nessuno, invischiato in una
storia criminale più grande di lui, per la precisione nella storia raccontata
in “Detective Comics” numero 168, offrendo un nuovo punto di vista sulla vicenda
del personaggio, di Cappuccio Rosso e del bagnetto sbiancante degno di Michael
Jackson del Joker.

Le origini del personaggio, prima che Moore ci mettesse la mani, direttamente da Detective Comics no. 168.

Ai tempi questa celebre scena, così potente da ispirare
anche Tim Burton per il suo Joker,
venne accolta come le origini ufficiale del Joker, prima di essere rimescolata
nel tempo, tanto che ancora oggi la vera identità del Joker nei fumetti non è
ancora stata svelata. forse Moore aveva già capito tutto, quello che vediamo è
il punto di vista di un pazzo, uno la cui vita è cambiata dopo una brutta
giornata (sicuramente un lunedì), ma che potrebbe essere l’ennesima presa in
giro di un pagliaccio manipolatore anche nei confronti di noi lettori, voi vi
fidereste di uno così? Per restare in tema con la barzelletta che conclude l’albo,
camminereste sul fascio di luce della torcia accesa da uno così? Bisognerebbe
essere pazzi. Però bisogna aggiungere che Brian Bolland con le sue matite
curatissime, per essere uno che ha disegnato la peggior giornata del
personaggio, ha trovato il modo di entrare nella storia, le sue tavole sono
fantastiche e la risata folle del Joker è a mio avviso una delle singole
vignette più memorabili della storia del fumetto.

Potreste averla vista ovunque, anche perché è famosissima.

In tutto questo il Batman di Moore è pieno di dubbi, un
personaggio quasi in balia degli eventi, che sa che tra lui e il Joker le cose
non possono che finire in un solo modo (quello che Miller ci ha mostrato in Il ritorno del Cavaliere Oscuro), dimostrando
di conoscere bene i personaggi Alan Moore ci regala un momento incredibilmente
riuscito, quando anche Batman è talmente furioso da essere quasi pronto ad
infrangere la sua promessa di non uccidere, James Gordon lo riporta sulla retta
via.

Malgrado sia nel bel mezzo della sua brutta giornata, Gordon
è una barra di titanio, è l’unico in tutta Gotham City, e forse sul pianeta
Terra, che può dare un ordine a Batman, perché come abbiamo visto in Anno Uno, i due personaggi sono
speculari ma entrambi guidati dalla loro fede nella giustizia, e Gordon
dimostra nel suo momento peggiore, che a quella fede non vuole rinunciare: «I
want him brought in, and i want him brought in by the book» una “Frase maschia”
a cui persino Batman richiamato all’ordine può solo rispondere con un «Farò del
mio meglio».

Quando anche Batman risponde ai tuoi ordini, vuol dire che sei qualcuno.

In “The Killing Joke” fa capolino anche qualcosa di “Watchmen”,
se il Comico nel capolavoro di Moore del 1986 diventava un cinico perché aveva
capito la lezione dei Monty Python, che il senso della vita è che la vita non ha nessun senso, qui per il Joker fa
quasi la stessa cosa. Il modo in cui si può morire con irrisoria facilità,
tutta l’ansia e le paura per le super potenze in guerra, è tutto una
barzelletta perversa, per usare le parole del Joker, davanti a cui si può solo
impazzire o cercare di restare sani di mente.

Infatti a Moore basta uno scambio di battute tra i due
personaggi per unire Joker e Batman per sempre, caratterizzandoli come due
facce della stessa medaglia, quando il clown chiede all’Uomo Pipistrello perché
davanti a tutti questa barzelletta folle che è la vita lui non ride, la sua
risposta è lapidaria: «Perché l’ho già sentita, e neanche la prima volta era
divertente».
In fondo Batman è sopravvissuto anche lui alla più brutta
delle giornate possibile, quando i suoi genitori sono stati uccisi la sua mente
non è crollata, non è diventato come il Joker no, lui va in giro ogni notte
vestito da pipistr… Diavolo di un Moore!

Ma io non l’ho capita la barzelletta, qualcuno dei due me la spiega?

Insomma “The Killing Joke” è da trent’anni giustamente una
delle storie più importanti dell’Uomo Pipistrello, e per essere così breve come
numero di pagine, così controversa e soprattutto così schifata dal suo autore,
resta comunque un capolavoro, bisogna essere pazzi per affermare il contrario.

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