Home » Recensioni » Beetlejuice Beetlejuice (2024): invocare il nome di Burton tre volte non servirà

Beetlejuice Beetlejuice (2024): invocare il nome di Burton tre volte non servirà

Quando era bambino, il giovane Tim Burton prendeva il bus dalla sua Burbank per camminare lungo le strade di Hollywood, le stelle lungo il marciapiede per lui erano le tombe dei divi e al civico numero 2.788 della celebre Hollywood Boulevard, si trovava il suo negozio di costumi e giocattoli preferito. Due giorni prima dell’uscita del film di oggi, Burton ha partecipato alla cerimonia della posa della sulla stella sulla Hollywood Walk of Fame, tatticamente posizionata proprio davanti a quel negozio, che si trova ancora lì al civico numero 2.788 (storia vera), alcune cose restano sempre le stesse, altre, malgrado il tentativo di revival, sono inevitabilmente cambiate, il seguito di Beetlejuice a trentasei anni dal primo è una di quelle.

I pretoriani accorsi alla posa della “pietra tombale” di Tim Burton.

Devo per forza allungare – come da mia abitudine – la premessa, perché questa cosa mi sta sul gozzo da troppo, io capisco che il festival di Venezia, come tutti i festival cinematografici, sia frenetico, ma la fretta non fa che esacerbare un problema insito nella critica: se il primo recensore della fila dice qualcosa, etichettando un film, a ruota molti degli altri lo seguiranno ripetendo la stessa cosa, le pecore in fila? Uguali. Se a questo poi aggiungiamo la stramaledetta cultura del “meno peggio”, proprio come scrivevo già per Romulus, io mi chiedo che senso abbia ancora giudicarli i film.

Ho letto di reazioni scomposte al cospetto di questo “Beetlejuice Beetlejuice”, descritto come il miglior lavoro di Burton da venticinque anni a questa parte, e mi viene da chiedermi se a Venezia abbiano proiettato un altro montaggio del film rispetto a quello che ho visto io. Allo stesso tempo, tante penne stipendiate in fila, contagiate dall’entusiasmo (immotivato) dell’apri fila, si sono tatti trascinare in un gorgo di seeee ci sono i difetti, però Burton così non si vedeva da un pezzo, poi oh! Vuoi mettere rispetto allo schifo che c’è in giro? Insomma la maledetta cultura del “meno peggio”, quella che dimentica che nella vita e nel giudizio cinematografico, uno dovrebbe paragonarsi con i migliori, non con i peggiori, il rischio altrimenti è quello di fare i Giovanni Storti della situazione.

«Vai lì e gli dici “Tirami il dito!” tanto è comunque meno peggio di mollarne una sana senza preavviso»

Tolto questo sasso dalla scarpa, va detto che “Beetlejuice Beetlejuice” è una pezza, un taccone che per lo meno ha concesso a Burton di presentarsi sulla Hollywood Walk of Fame circondato dai suoi pretoriani storici, se escludiamo per un momento la sua attuale fidanzata Monica Bellucci (lasciatemi l’icona aperta, ci dovrò tornare per forza), avete presente l’alto livello di imbarazzo se Burton avesse dovuto posare accanto al cast di Dumbo? Sono da sempre dell’avviso che se Burton avesse continuato a tenersi Michael Douglas Keaton come suo attore feticcio, l’andamento della sua carriera sarebbe stato molto diverso. Inoltre, finché ha avuto sceneggiatori capaci di dargli soggetti validi, il ricciolone sapeva il fatto suo, quando ha iniziato ad andare in cerca di soggetti alla Burton, è iniziata la fine, ed ora ci troviamo in un aldilà morto e stramorto, in cui era inevitabile tirare fuori dalle tombe i classici.

Sapete come la penso su Mercoledì, il peggior soggetto possibile per Burton, come dicevo, passato negli anni da essere Lydia ad essere Otho, l’arredatore d’interni. Proprio il successo della serie tv Netflix, anzi, diciamo la popolarità della serie, perché quella roba è tutto tranne che un successo, ha riportato in auge il progetto di un seguito di “Beetlejuice”, idea che lo stesso Keaton per anni ha rifiutato, ma ora che anche la sua carriera stagna, tocca anche al Michael Douglas giusto di abbracciare la malinconia imperante per continuare a pagare il mutuo, quindi siamo passati dalla sue dichiarazioni del 2010 (dei sentiti, non me ne frega un mazza di tornare nel completo a righe) al ritrovarlo in questo seguito, scritto ovviamente da Alfred Gough e Miles Millar, gli stessi di Mercoledì, perché c’è da mandare avanti la carriera di Jenna Ortega, troppo giovane per essere la nuova fidanzata di Burton, ma ormai sempre più imbalsamata nell’immagine che si è costruita. Pensare che mi aveva stupito quando ha dichiarato che il suo attore preferito è Harry Dean Stanton (storia vera), ma che ci vuoi fare, siamo nel 2024, non dominano i contenuti ma la popolarità dei balletti di Tik Tok, infatti mi sarei aspettato di trovarne ben di più in questo “Beetlejuice Beetlejuice”, che in compenso fa ben altri casini.

Pronte per assistere al funerale della creatività.

Questo seguito manca di struttura, manca proprio di senso a volerla dire tutta, il primo film era una scoperta del mondo dell’aldilà, raccontata al pubblico dal punto di vista di due novelli trapassati, ma soprattutto raccontato con un quantitativo di creatività, di frizzante inventiva da risultare un film vivo, anche se pieno di defunti. Come lo racconti di nuovo l’effetto sorpresa di tornare nell’aldilà, quando il capostipite è diventato un film giustamente amatissimo? Non conosco la risposta giusta, ma quella sbagliata sì: lo fai scrivere a Alfred Gough e Miles Millar, con Burton dietro che chiede loro di aggiungere roba, un esempio? Nel film chiedono che fine abbiano fatto i due simpatici fantasmi sposini che vivevano nella casa, viene tutto risolto con una riga di dialogo, hanno trovato il modo di andare “altrove”, quindi il film stesso lo sa benissimo di stare ciurlando nel manico con regole e continuità, ma semplicemente non gliene importa nulla, qui abbiamo una festa a tema da arredare, mica una storia da raccontare.

«Cass, tanto lo sai che sono tutti qui per la Ortega, che razza di problemi ti fai?»

“Beetlejuice Beetlejuice” è figlio delle mille riscritture, delle tante false partenze e delle esigenze del 2024, inteso come anno d’uscita, come modo di fare i film oggi e dello status di Burton in quello che per i cinesi è l’anno del drago, risultato? Un casino senza costrutto, fatto di trame che si aprono e poi vengono dimenticate, un procedere per accumulo che ha un unico effetto finale, quello di piallare la ragione che ha reso il film del 1988 grande, ovvero la sua creatività. “Beetlejuice Beetlejuice” è una festa a tema beh, Beetlejuice, in cui sono invitati coloro che ad oggi, quando il seguito è stato messo in cantiere, sono i nomi in voga, non fai una festa per raccontare qualcosa, la fai per festeggiare, per ricordare i tempi passati e rivedere gli amici, insomma la sagra della malinconia, anche perché che qui non ci sia niente da raccontare, è chiaro come il sole.

A metà degli anni ’90, questo seguito sarebbe stato così (storia vera)

Lydia Deetz (Winona Ryder) è cresciuta ma non ha cambiato stile nel vestire, ora presenta un programma sul paranormale in cui ha svenduto il suo dono di parlare e vedere i morti, diventando nel tempo un’imbonitrice televisiva poco credibile. Non so voi, ma io una metafora più riuscita di questa sull’andamento della carriera di Burton non sarei mai riuscito a pensarla, se non altro per la tanta stima e affetto che avevo in passato per questo regista. Anche se poi a ben pensarci, una introversa come Lydia può diventare un personaggio pubblico? Ma tanto in questa versione didascalica della (non)storia, devono aver avuto tutti successo, compresa la madre, che ora espone le sue opere, anche se era chiaro fosse solo un’arricchita con ambizioni artistiche e basta, ma di Delia parliamo subito.

METAFORONI, li state facendo bene.

Lydia chiamata da sua madre Delia (Catherine O’Hara, migliore in campo, per fortuna che questo film ha lei) deve tornare a casa, papà è mancato e questa sarà l’occasione anche per provare a riallacciare i rapporti con la figlia Astrid (Jenna Ortega) convinta che sua madre sia una solà. Un inizio depresso, quasi disilluso che posso dirlo? Ho trovato la parte migliore di questo seguito, ho seriamente pensato che la storia avesse davvero qualcosa da dire, avevamo lasciato Lydia nel suo, con due nuovi genitori giusti per lei, a suo modo integrata senza rinunciare al suo lato stramboide, e la ritroviamo adulta infelice. Vuoi vedere che Burton vuole dirci qualcosa sul tempo che passa, su come si nasca incendiari e si muoia (ah-ah) da pompieri? Niente, fuoco di paglia (chiamate i pompieri), perché questo spezzatino, questo Frankenweenie (il modesto film d’animazione, non il bel cortometraggio) ha troppi pezzi da assemblare insieme perché siano coerenti o con addirittura qualcosa da dire che non sia una festa a tema in costume.

«É qui la festa a tema da arredare?»

Non mi va nemmeno di elencarli i, chiamiamoli problemi legali, di Jeffrey Jones, uno passato da Freak anche per Burton a mostro nel senso peggiore del termine, quindi bisogna far morire il suo personaggio per prenderne le distanze nel modo più didascalico possibile, sottolineando come anche questo sia un film al femminile (d’altra parte, Beetlejuice – Spiritello porcello, caposaldo del femminismo no? Eh sì), quindi papà è morto e lo si piange, pochino però. Ma io mi chiedo, scemo io eh? Ma Lydia non parlava con i morti? Parla con tutti i morti, ma non con quelli che hanno cause legali e accuse gravissime da scontare, andiamo avanti, facciamoci del male. La sequenza animata dell’aereo poi, sorvolo (ah-ah) sulla sua qualità, ma la morte per decapitazione (da squalo)? I maschietti del film devono essere senza testa, insomma, il manuale della scrittura banale, pagina uno.

Siccome non c’è niente da raccontare, l’unica è cavalcare il tormentone che conoscono tutti, il nome da non ripetere tre volte, quindi in questo tripudio di scene che fanno di tutto per replicare quello che nel 1988 era novità, ma soprattutto creatività dettata da un budget ridicolo e tanta voglia di fare, qui vengono rimpiazzare da una “Day-O (Banana Boat Song)” utilizzata a capocchia, oppure con il volo a planare sul plastico, che nel 1988 era una dichiarazione d’intenti da parte del regista, qui c’è perché ci deve essere, vuoi fare una festa a tema senza? Ed è qui che il nulla viene condito con il niente e le altre esigenze targate 2024 Burtoniano, che in maniera coerente con la sua arte, vanno di pari passo con le sue donne, in questo caso Jenna Ortega e Monica Bellucci, così chiudo quell’icona lasciata aperta lassù.

Jenna nella parte della mia reazione davanti al vuoto pneumatico di questo film.

Come detto, niente Mercoledì niente “Beetlejuice Beetlejuice” (per entrambi i titoli, sarebbe stato un male?), quindi tocca far fare cose a Jenna Ortega, portatrice sana di lucidalabbra e ringraziate la mia amica Cristina per questa, ciao Cri. Per metà sembra la versione da Gen Z di quello che ai tempi fu Winona Ryder, poi però il suo personaggio inquadrato da Burton in un tripudio di occhi giganti, si perde in una sottotrama di amore adolescenziale che inizia e boh, prosegue? Non si sa, so solo che ad un certo punto spunta Danny DeVito vice bidello a fare un saluto ed è stato incastrato nella trama un personaggio per Willem Dafoe professionale ma anonimo, nella parte di un poliziotto attore dell’immaginario, diventato vero detective nell’altro mondo, o una roba così, a Gough, Millar e Burton non frega un accidente di approfondire, figuriamoci a me.

L’unica per dare una scossa al niente è ovviamente far tornare il titolare, che nel primo film era l’agente del caos per eccellenza, evocato dai protagonisti volutamente, diventato poi il motore dell’azione, qui spunta per cavalcare l’iconico tormentone del nome ripetuto tre volte e apre il vaso di Pandora delle strizzate d’occhio a capocchia, quindi sotto con i serpentoni un tempo in stop motion che nel 1988 erano creatività e che qui sono gli addobbi di questa festa a tema e via così. Peggio di così, solo pensare che molte penne stipendiate abbiano scambiato questo ennesimo lavoro da arredatore d’interni per ritrovata creatività.

Foto a casa di Jenna Ortega, perché mi hanno detto che fa figo averla ed è subito di moda.

Visto che la tradizione di Burton prevede un ruolo per la sua musa di turno, vogliamo non infilare Monica Bellucci a forza con l’imbuto nella trama? La sua Delores è la quinta essenza del concetto di “festa a tema”, un personaggio che Burton ha già raccontato diverse volte, la sposa cadavere, quella del film d’animazione omonimo ma anche la Sally di Nightmare Before Christmas. Insomma ad una festa a tema gotico, qualcuna vestita da personaggio di Burton la trovi no? In questo caso è la sua fidanzata, con lei arriva la scena più insensata del film, quella dove la fila di pecore stipendiate sono inciampate tutte nella stessa buca.

Io Sally me la ricordavo diversa, Catherine O’Hara non si mangia le parola quando parla.

In un flashback in bianco e nero, scopriamo che Delores era la prima moglie desiderosa di vendetta di Beetlejuice, il famoso anello riciclato a Lydia («Ti assicuro, lei non era niente per me»), le penne stipendiate hanno subito scomodato beh, è chiaramente un omaggio a Mario bava da parte di Burton, uno dei pochi registi a spiegare chi era Bava anche ai critici italiani, che lo conoscono solo perché il ricciolone ne parla sempre bene. Peccato che la scena, recitata in italiano anche in originale, serve più che altro a dare un passato da Italiano allo spiritello (ex) porcello, giusto perché ultimamente Burton sta più qui da noi che in patria, ma io mi chiedo, se dal punto di vista stilistico, l’idea era quella di omaggiare Bava, facciamo finta che sia così anche se ho i miei dubbi, perché far recitare le battute al primo attrezzista disponibile sul set e non ad un vero doppiatore? Nessun film di Bava aveva un audio tanto pessimo, ma poi a noi italiani che ci frega, tanto Monica Bellucci si doppia da sola con risultati come sappiamo tragici, quindi l’omaggio (si fa per dire) all’Italia passerà inascoltato e forse è meglio così, tanto nel film Burton alla sua nuova Musa, fa pronunciare il minimo sindacale di battute. L’unica cosa che ho apprezzato (CGI dubbia a parte) è la vestizione di Dolores, che si ricompone a colpi di graffette e spara punti, tenendo il dito anulare, quello della Fede nuziale, per ultimo.

«Però Bava, il grande, irreprensibile Bava. Non sapevo facesse anche cinema» (Il bio-esorcista nella parte di qualunque giornalista nostrano)

Monica nazionale non fa nemmeno troppo in tempo a fare danni, perché la trama è talmente un pastrocchio di cose da spuntare frettolosamente da un elenco, che mal si sposano tra di loro, che prima sparisce per tutto il film, e poi quando torna, la sua minaccia tanto decantata viene risolta con la semplicità con cui si dice «Salute!» dopo uno starnuto di qualcuno nella stanza, il massimo impegno è profuso nell’arredare la stanza a tema Beetlejuice, perché tanto non siamo qui per raccontare, non c’è nulla da raccontare.

Ultima, ma facilissima da pronosticare, ho sempre trovato ridicolo l’italico sottotitolo “Spiritello porcello”, inutilmente pruriginoso, ma che per lo meno ci ricorda che le battute del bio-esorcista erano davvero zozze, era facile intuire che il 2024 avrebbe lavato la bocca con il sapone al personaggio di Michael Keaton, infatti beccami gallina (zombie) se in questo film è venuta fuori, non dico tanto, ma una frase sua degna di nota. Keaton è costretto a recitare un piattume imbarazzante a cui cerca di dare vita solo perché è un professionista, ma la sensazione è la stessa già vista per il suo ritorno nei panni dell’Uomo Pipistrello, sempre facendo i paragoni con il Burton che fu (così restiamo in tema), con tutta la buona volontà, la differenza di potenziale e risultati è sconfortante.

Il punto della situazione sulla carriera di Keaton, un riassunto per immagini (solo stima Mike, ma siamo messi male)

Non so se trovo più deprimente un seguito senza creatività di un film che invece per me era creatività al 100, se non al 200%, oppure il fatto che a molto pubblico questa festa a tema piacerà, perché “Fa Burton” quindi fa figo. Se poi ci aggiungiamo che questa maledetta mentalità del “meno peggio” stia dilagando come il Nulla della Storia Infinita, tanto che anche chi è pagato per scrivere di cinema ci si sta adattando perché tanto è il linguaggio che il pubblico capisce e vuole sentire. Quindi boh, io di “Showtime” qui ne ho visto proprio poco, quindi continuo a fare il mio lavoro sporco, inghiottire, vomitare, sputare, ruttare e dare pareri, su questa Bara faccio porcate, chiedetemi tutto, ma in compenso non vi faccio pagare per ripetervi il frettoloso parere del primo della fila lassù.

0 0 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
39 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

Signori, il delitto è servito (1985): sette indagati, sei armi, cinque corpi e tre finali

Problema mio sicuramente, ma resto uno dei pochi bipedi della mia specie che non ama, ma anzi, trova urticanti le indagini di Benoît Blanc, per un semplice fatto, sono viziato. [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2024 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing