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Beetlejuice – Spiritello porcello (1988): dite il mio nome, ditelo due volte e alla terza io arriverò

1985, l’ex animatore con una scrivania isolata alla Disney, tipo l’ufficio di “Mulder lo spettrale”, un ragazzo riccioluto di Burbank di nome Tim Burton fa il grande salto, portando al cinema una grande icona del piccolo schermo, amatissima in patria. Con il suo “Pee-wee’s Big Adventure” il regista si mette sulla mappa geografica, tanto da venire scelto dalla Warner Bros per dirigere Batman, film che sarebbe arrivato solo nel 1989, perché un tempo la pre-produzione dei film era più lunga, forse anche per questo il risultato finale era spesso più solido.

In cerca dello spunto per far ingranare l’esordio al cinema dell’Uomo Pipistrello, il produttore David Geffen ficcò in mano a Burton il copione di una storiella di fantasmi che poteva fare per lui, un lavoretto su commissione tanto per tenersi impegnato. Il soggetto scritto da Michael McDowell, autore anche del soggetto de “Il vaso”, un episodio dei “Nuovi Alfred Hitchcock presenta” diretto dallo stesso Tim Burton. Al regista ricciolone allora poco più che ventisettenne piace, ma finirà per apprezzarlo ancora di più dopo le modifiche al copione affidate a Warren Skaaren (rimpiazzo del secondo sceneggiatore scelto al primo giro Larry Wilson), guarda caso lo stesso che poi avrebbe scritto Batman, segnate uno per i futuri pretoriani di Burton incontrati qui e diventati grandi a Gotham City.

«Mi vogliono far fare questo film su Batman di cui non ho mai letto nulla, ti va di aiutarmi?», «Ooookay»

Il copione di “Beetlejuice” era pronto ma questa spremuta di scarafaggi non convinceva la Warner, pronta ad optare per un titolo molto ‘sti cazzi citando il Maestro Enzo G. Castellari, una roba tipo “House Ghost”. Schifato e provocatorio Burton propose: «Beh allora perché non intitolarlo “Scared shitless” tanto che ci siamo!» il regista rischiò di perdere di colpo i riccioli quando la Warner quasi avallò questo titolo, sarebbe da capire come mai “Spremuta di scarafaggi” no, mentre invece “Cacarsi sotto dalla fifa” sì, ma ehi gente, parliamo comunque della Warner, che per nostra fortuna ripiegò sull’idea iniziale, altrimenti non avremmo mai avuto uno dei tormentoni più iconici della storia del cinema, il nome del bio-esorcista da ripetere tre volte.

Piccolo salto in avanti nel tempo, tra qualche giorno, in questo 2024 cinematografico avido di nuove idee e generoso nel regalarci (anche se potrebbe tenerseli) tanti, troppi seguiti di titoli storici, arriverà il secondo capitolo di “Beetlejuice”, non vi dico quanto io non stia più nella pelle (seee credici!), sarà un buon film? Ci spero sempre ma ci credo poco, se non altro questo vuol dire che ho la concreta occasione di scrivere di uno dei film che amo moltissimo. Ho visto L’esorcista Beetlejuice 170 volte e mi sganascio dalle risate tutte le porche volte che me lo vado a rivedere! (quasi-cit.) quindi prendiamo il meglio da questa situazione e sotto con il post… Che lo show abbia inizio!

Voi non avete idea delle volte in cui ho utilizzato questa frase nella mia vita (storia vera)

Burton per il ruolo del titolare, personaggio da non pronunciare che compare solo quattordici minuti in un film che ne dura novanta (la durata perfetta), voleva Sammy Davis Jr., ma Geffen suggerì Michael Keaton, comico con cui Burton non aveva familiarità ma con cui in linea di massima si è trovato bene, visto che ha fatto a cornate con il mondo per fargli interpretare anche Batman. Le occhiaie di ooh, my little pretty one, pretty one, when you gonna give me some time, m-m-m-my Winona Ryder erano fatte dal sarto per il cinema di Burton, che l’aveva vista recitare in “Lucas” (1986)

Fumare fa male ragazzi, ricordatevelo.

La colonna sonora? Soldi in banca, seconda collaborazione di fila con Danny Elfman (e il tassametro corre) il compositore dell’incredibile al cinema che qui azzecca tutte le note, che vanno perfettamente a braccetto con pezzi in grado di far muovere il culo a tutti (letteralmente!) di Harry Belafonte.

Con la fotografia di Thomas E. Ackerman e le scenografie di Bo Welch (segnate tre per quei pretoriani da qui in poi fedelissimi di Burton), il film prende letteralmente forma, al resto ci pensano tutte le facce giuste, due giovanissimi e a loro modo tenerissimi Alec Baldwin e Geena Davis interpretano i due sposini neo trapassati Adam e Barbara Maitland, mentre due talenti di livello oltre che gran facce da cinema come Jeffrey Jones e Catherine O’Hara ricoprono il ruolo dei terribili coniugi Deetz, genitori della “gotica della morte” la giovane Lydia (… M-m-m-my Winona! Dopo questa la smetto, giuro) e per quanto mi riguarda il post potrebbe anche finire qui, perché chi non ha mai visto “Beetlejuice”? Chi non lo ha mai fatto meno di 170 volte? Se anche foste tra i pochi a non conoscerlo o ancora meno a non amarlo, tranquilli, ho compensato io per voi, tra passaggi tv, VHS (registrata da Italia 1, ancora me lo ricordo), DVD e recentemente Blu-Ray 4K portato via per un prezzaccio, con questo film ho esagerato, anzi, ho esagerato con questo Classido!

Dove sta la forza di “Beetlejuice”? Nel suo essere si una spremuta di scarafaggi, ma anche di ottime idee frizzantine, tutte mescolate insieme, creatività ai massimi livelli. In novanta minuti assistiamo ad un quantitativo di trovate tale da poterne donare in a film più scarsi alla voce creatività, il fatto che la Warner del budget di quindici milioni di presidenti con sopra la faccia di Beetlejuice alcuni presidenti defunti, ne abbia stanziato solo uno, solitario, agli effetti speciali, non è stata una limitazione per Burton ma l’ennesima spinta alla creatività. Pescando a piene mani dal suo bagaglio cinematografico e dalla lezione del Maestro Ray Harryhausen, Burton si è affidato all’animazione a passo uno già utilizzata in una scena di “Pee-wee’s Big Adventure”, per creare mostri e bestie, serpentoni a due bocche degni dei vermoni di Dune, corrimano che diventano rettili, statue che si animano, camini che cambiano forma omaggiano l’impressionismo tedesco, oltre a strizzate d’occhio ai classici dell’orrore e della fantascienza anni ’50. Creatività, a pacchi, in tutti i reparti, ma le lodi dei bellissimi effetti pratici (vogliamo parlare della varietà dei morti nella sala d’aspetto? Quello schiacciato dal camion e appeso alle corde con le mollette ogni volta mi esalta) sono state decantante da tutti nel corso dei trentasei anni, arrotondiamo a quarant’anni di questo film. Quello che mi preme è soffermarmi sulle basi.

«C’è uno scarafaggio nel tuo plastico!», «Detto da te che ti sei innamorata di una mosca quasi mi lusinga»

Quanti Horror iniziano con una famiglia che trasloca in una casa stregata? Tantissimi lo so, “Beetlejuice” in linea con la poetica di Burton ribalta la prospettiva, schifato dai ricchi WASP il regista ci fa prima fare la conoscenza dei fantasmi, quando erano ancora vivi e poi ci racconta degli invasori, degli altri, dei veri mostri, i vivi. Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Sono quelli che ne determinano tutto l’andamento, i suoi qui Burton se li gioca con le note di Danny Elfman (brutto?) e un’inquadratura a volo d’uccello sull’immaginaria contea di Winter River, nel Connecticut, ci vuole un ragnetto a farci capire che in realtà si tratta di un plastico costruito da Adam Maitland in soffitta che viene ridimensionato quando il ragno, viene liberato fuori dalla finestra, nella “vera” Winter River. Nulla è quello che sembra, finzione e realtà si mescolano come nel film faranno il mondo dei vivi e quello dei morti, un riuscito e divertente spaesamento che è lo stesso dei coniugi Maitland.

Ora, soffermatevi su questo, Adam (Alec Baldwin) sta per iniziare le sue vacanze che lui stesso definisce ideali, a casa a lavorare al suo plastico da nerd e magari, a provare ad allargare la famiglia insieme alla moglie Barbara, che essendo fatta a forma di Geena Davis non so voi, ma io sto con Adam, le migliori vacanze possibili. Quando i due muoiono tragicamente, non arriva mai una scena drammatica, i due non si disperano, restano calmissimi, perché idealmente ora quella lunga vacanza potrà durare per sempre, quello che conta è che siano insieme, a casa loro, il sogno bagnato di tutti noi pantofolai accoppiati insomma. Cosa può andare storto? L’arrivo dei nevrotici Deetz da New York.

In cortocircuito di mezzi esaurimenti nervosi e mire da artista ben rappresentati da Jones e O’Hara che come figlia, non posso che avere che una darkettona depressa che non si sente parte di questo mondo, che è palesemente il personaggio con cui un tempo Burton si identificava. Nel corso degli anni, con il drammatico sprofondare nel nulla della sua creatività, si è ritrovato ad essere Otho (Glenn Shadix), l’arredatore di interni.

«Sono il tuo fantasma del Natale futuro Tim!»

In questo rimescolare i classici canoni della favola di spettri (che va ricordato, sono sempre storie spezzate, come le vite dei loro protagonisti defunti prima del tempo) “Beetlejuice” pesca da un altro classico, Rumpelstiltskin, se preferite Tremotino oppure Rumpelstilzchen se avete familiarità con il tedesco, insomma il piantagrane del folklore che viene evocato e ricacciato nella sua maledizione pronunciando il suo nome o variazioni di esso, che poi è asattamente quello che succede al bio-esorcista, da evocare chiamando tre volte Beetlejuice e per la nuda cronaca, io non lo sto pronunciando, lo sto scrivendo, quindi posso farlo quante volte voglio, si vede che ho visto tante volte il film eh?

Il lavoro burocratico non è logorante, no no.

Da che parte continuo? Restiamo sul quantitativo di idee e creatività con cui questi novanta minuti sono popolati, è essenziale per la storia che i due neo-fantasmi siano due fresconi molto naif, in ritardo anche sulla loro formazione da trapassati, perché il film non solo si gioca idee creative come il finto libro, il manuale dei trapassati, ma crea tutto un mondo, quello dei morti, che così articolato non è mai più stato almeno fino alla prima volta in cui ho giocato a Grim Fandango.

I vermi delle sabbie per costringere i fantasmi ad infestare la loro casa, il tempo che scorre diversamente, anche tre mesi in pochi secondi alle prese con mostri a passo uno, gli spiriti dei morti esorcizzati (la morte dei morti) o la fine che fanno i suicidi nell’aldilà, questo film è un donatore sano di idea brillanti, grottesche e ovviamente cariche di umorismo nerissimo, prima de La famiglia Addams (inteso film, la serie tv e la striscia a fumetti ovviamente esistevano già prima) era la perfetta visione per un piccolo bimbo con le occhiaie, da sempre impallinato con il cinema horror come il vostro amichevole Cassidy di quartiere.

Ciliegina su questa torta macabra decorata ad arte da Tim Burton non può che essere il titolare, il guastatore, il piantagrane che inghiotte, vomita, sputa e fa un rutto (… Faccio porcate, chiedetemi tutto!) che tanto ha attizzato i nostrani distributori, che si sono sentiti in dovere di appioppargli un sottotitolo italiota che lo fa sembrare il cugino fanatico di horror di “Porky’s”.

«Stavi parlando di me Cassidy? Eccomi!»

Nel corso degli anni Michael Keaton ha dichiarato che tra i suoi ruoli, quello marcescente e con la giacca a righe è quello che lo ha divertito di più, si vede perché è un vero mattatore che mi ha regalato mille “citazioni involontarie”, quelle frasi che finisco per citare normalmente nei dialoghi di tutti i giorni e che denotano il mio stato di sociopatia avanzata. Non vorrei sembrare esagerato paragonandolo ad Hannibal Lecter, non solo per i (pochi) minuti sullo schermo, ma per il modo in cui lo monopolizza, quando non è in scena, tutti parlano di lui, prima per provare (invano) a contenerlo e poi per cercare di ricacciarlo nella tomba di polistirolo da cui è uscito, ci sono tanti agenti del caos nella storia del cinema, se Beetlejuice non detiene il primato di mio preferito, ci si avvicina davvero moltissimo. Che gioello da novanta minuti ha firmato Tim Burton quando era vivo! Finisco per ammetterlo tutte le volte, ma mi manca quel regista che ha parlato a lungo la mia stessa lingua, una che mi piaceva.

Ora la difficoltà sarà affrontare l’imminente operazione di esumazione che sarà il seguito, oh! Se si rivelerà essere un grande film sarò felice di essere smentito, ma visto che ne dubito, mi sono tenuto un “Piano B” nel mio taschino sputazzato, Tim Burton tornerà a trovarci su questa Bara da qui alla fine del 2024, senza per forza dover pronunciare il suo nome tre volte.

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