La Warner Bros aveva investito parecchio sull’incidente stradale in galleria meglio noto come Suicide Squad, un massacro da cui in pochi sono usciti bene (ogni riferimento a Jared Leto è puramente voluto…), forse proprio solo la Harley Quinn di Margot Robbie, ben consapevole di essere alle prese con il ruolo della vita, quello per cui verrà ricordata a lungo, malgrado l’Australiana abbia già dimostrato di essere ben più di un bel faccino.
Ma l’industria cinematografica non guarda in faccia nessuno e quindi ora vi avviso: arriveranno un po’ di anglicismi per descrivere questo rilancio che, di fatto, è uno spin-off dedicato ad Harley Quinn che, però, per certi versi è anche una sorta di reboot di Suicide Squad in chiave femminile, tema molto caldo ad Hollywood di questi tempi per film in cui s’intravedono abbondanti dosi di lavoro fatto a tavolino, ma il risultato finale al netto dei (tanti) difetti è un intrattenimento decente che mi verrebbe voglia di paragonare ad un Luna Park e non per citare zio Martino Scorsese, ma perché è un po’ scapestrato, molto colorato, ammonticchia tutte insieme cose anche un po’ alla rinfusa e poi… Beh, termina con una scena piuttosto grossa dentro un parco di divertimenti, mi sembra giusto, no?
Ma andiamo per gradi, non voglio fare come la voce narrante di Harley Quinn che sottolineando spesso l’ovvio, salta di palo in frasca, anzi sì, facciamolo!
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«I tipi della Distinta Concorrenza sembrano più ubriachi di me, tanto vale berci sopra» |
La fantasmagorica operazione a tavolino dopo il suicidio artistico di Suicide Squad
Non so quanto sia stato voluto, perché la sceneggiatrice Christina Hodson (la stessa di Bumblebee e si vede, lasciatemi l’icona aperta che dopo ci torniamo) era già al lavoro su [Cassidy inspira] Birds of Prey and the fantabulous emancipation of one Harley Quinn [Cassidy espira] da molto prima che Joker esplodesse in tutto il suo clamoroso successo. Ma allo stesso modo anche qui abbiamo un film costruito attorno ad un personaggio diventato iconico come Harley Quinn, con l’attrice che lo interpreta a fare da assoluta mattatrice, la differenza è (ovviamente) l’approccio perché “Arlecchina” ha una sua forma di follia allegra distante anni luce del film di Todd Phillips.
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Qualcuno balla il Rock & Roll, ma le ragazze preferiscono i diamanti Madonna e Marilyn. |
Il punto di vista sul mondo della protagonista è ben reso sullo schermo dalla regista scelta per il film, Cathy Yan ennesimo talento pescato dal Sundance e gettato nel tritacarne delle produzioni ad alto budget con l’approccio “nuota oppure affoga” che caratterizza Hollywood, il fatto che poi Yan sia donna e di origini orientali ci porta automaticamente dalla parte della ragione in caso di polemiche che, però, m’interessano pochissimo, perché al netto di qualche pasticcio e dell’inevitabile inizio da cinecomics che spiega a che punto siamo, Cathy Yan ha fatto un buon lavoro con il guazzabuglio che si è ritrovata per le mani, a questo proposito…
L’inevitabile inizio di cinecomics che spiega a che punto siamo
Per rendere omaggio alle origini a cartoni animati di Harley Quinn, creata da Bruce Timm negli anni ’90 per la meravigliosa “Batman: The Animated Series”, proprio con una scena animata ci vengono velocemente ricordate le origini del personaggio aggiornandoci sul suo stato sentimentale, sì, perché eliminando dall’equazione “Mr. J”, lei è il suo “Budino” si sono lasciati. Uno sconforto da cui Harley Quinn si è ripresa solo comprandosi una iena striata (in CGI) con la quale rifare la scena del bacio di “Lilli e il vagabondo” (1955) e poco altro, visto che l’animale che sembrava dover far fuoco e fiamme, nel film non fa una beata mazza di nulla, evidentemente il potenziale commerciale in termini di pupazzi e pupazzetti da vendere non è stato tenuto in così alta considerazione. Baby Yoda continuerà a dominare incontrastato il merchandising.
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«Ma lei… Non è un uomo, è una iena!», «Una iena! Ed è anche un bellissimo esemplare!» (cit.) |
La voce narrante della protagonista viene usata come NON si dovrebbe mai fare al cinema, ovvero per spiegare quello che le immagini ci stanno già raccontando e mentre i vari personaggi che ruotano attorno ad Harley Quinn vengono presentanti con uno stile grafico che sembra quello che persino Guy Ritchie ha smesso di utilizzare per i suoi film (fermo immagine, inquadratura sul personaggio, nome che compare a caratteri cubitali sullo schermo), tocca subirsi la voce di “Arlecchina” che spiega l’ovvio, in quello che di fatto potrebbe essere…
Il primo film per chi soffre di disturbi dell’attenzione
Oltre a presentare ogni personaggio in maniera didascalica (nel senso di “dotata di didascalia”) per farvi capire quanto questo film decida di usare salti avanti e indietro nella narrazione della protagonista, ma allo stesso tempo tema di perdersi il pubblico, vi faccio notare un paio di dettagli. La musica è onnipresente e parte spesso come a voler tenere stimolata l’attenzione del pubblico, ma il dettaglio più evidente è che la protagonista Harley Quinn, per la maggior parte del film indossa una maglietta con sopra scritto il suo nome ripetuto più e più volte, in modo che sia evidente chi è questa Harley Quinn del titolo che poi il titolo è un altro ottimo argomento!
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Nel caso ci fosse qualche dubbio, lei si chiama Harley Quinn. |
L’importanza di tradurre i titoli in modo sensato (Lina Wertmüller sarebbe orgogliosa di voi)
Non sono perfettamente aggiornato sulle ultimi evoluzioni dell’universo (costantemente in rivolta) della Distinta Concorrenza, ma un tempo le “Birds of Prey” erano un gruppo di eroine capitanate da Barbara Gordon (Batwoman), qui declinate in anti-eroine impegnate a fare praticamente lo stesso. La sindrome di Suicide Squad – siamo cattivi, ma ci comportiamo proprio come i buoni – applicata.
“Birds of Prey and the fantabulous emancipation of one Harley Quinn” oltre a restare in tema di pennuti ricordando Birdman – o (Le imprevedibili virtù dell’ignoranza) è la conferma di quanto lavoro a tavolino ci sia stato dietro a questo film, perché non solo introduce e battezza il gruppo di eroine dando loro un nome, ma si gioca la parola “emancipation” e il nome di Harley Quinn nella stessa frase, mettendo in chiaro quali sono, non dico le intenzioni, ma almeno le ambizioni del film. Peccato che in uno strambo Paese a forma di scarpa, quello dove potete trovare in azione il miglior doppiaggio del mondo (sono bastati solo 31 anni per passare dalla chimica AXIS a non tradurre “Axis Chemicals” come sentiamo qui) per inventarsi l’altrettanto wertmülleriano, ma profondamente sbagliato “la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn”.
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Harley Quinn fa saltare per aria anni di buoni doppiaggi (i duri non guardano le esplosioni) |
Avranno avuto paura che usare la parola “emancipazione” nel titolo avrebbe fatto stizzire i maschietti venuti giù per potersi godere in santa pace 108 minuti del culo di Margot Robbie? Inoltre, il titolo originale è chiaro, parla di emancipazione di un’Arlecchina, giocando con il nome della protagonista che nel film è la prima a fornirci una spiegazione, Arlecchino è un personaggio che esiste solo se servo di qualche padrone e Harley Quinn qui cerca la sua strada senza qualche altro uomo a determinarla, non più solo la pupa del boss Joker, ma un personaggio vero e proprio. “Birds of Prey e la fantasmagorica emancipazione di un’Arlecchina”, magari avremmo perso qualche maschilista, ma sono sicuro che nei cinema bergamaschi il film sarebbe andato forte, se poi avessero voluto osare traducendo anche “Birds of Prey” ci conquistavamo anche tutti gli ornitologi del Paese. Sarebbe servito visto che negli Stati Uniti questa emancipazione non è andata benissimo al botteghino (storia vera) e il titolo é stato abbreviato nel tentativo di metterci una pezza, ma forse le ragioni del mezzo flop sono da cercare nella…
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«Sembra talco ma non è, serve a darti l’allegria!» (cit.) |
Violenza in stile Deadpool (carnevale PG-13 mio non ti conosco)
Ora anche la Distanza Concorrenza ha il suo personaggio che uccide, picchia, dice le parolacce e guarda in camera rivolgendosi allo spettatore (come fa Deadpool per la Marvel) e in questa operazione studiata per piacere a tutti, la Warner Bros. può permettersi chi vuole, anche le coreografie per le scene di combattimento curate dal lanciatissimo Chad Stahelski che fanno bella figura di loro nel film.
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Non c’è furia all’Inferno pari ad Arlecchina in versione Baseball Furies. |
Malgrado un abbondante uso di stunt-women (specialmente nella scena del parco giochi finale) ogni combattimento è piuttosto credibile, almeno a sospendere l’incredulità quel tanto che ci permetta di goderci le protagoniste menare energumeni fisicamente più grossi e pesanti di loro. Chiaro che Margot Robbie (quella con più scene di lotta) e Jurnee Smollett-Bell (quella più credibile anche a menare) abbiano studiato una coreografia senza avere vera esperienza marziale, ma se Geppetto Stahelski può dare vita a quel ciocco di legno di Keanu Reeves, qui sembra parafrasare una canzone brutta, ma orecchiabile degli Articolo 31.
La mia ragazza mena, femminismo e dove trovarlo (Lina Wertmüller sarebbe un po’ meno orgogliosa di voi)
Empowerment femminile, mascolinità tossica, movimento Me Too, le ho dette tutte? Possiamo far finta di aver già affrontato la lunga discussione su tutte queste cosette ricordandoci che siamo sulla Bara Volante e qui trovate i commenti più schietti di Internet? Bene, io sono sicuro che ci saranno persone che si divertiranno a (psico)analizzare le scene in cui Harley Quinn usa una mazza per spaccare le ginocchia agli uomini (“Sigmund Freud, analyze this” cit.), mentre altri si lamenteranno del fatto che le protagoniste qui non facciano altro che fare le stesse cose degli eroi maschi perdendo così la loro femminilità, ma lascio molto volentieri questi tipi di analisi ai blogger interessati ad approfondirle, io credo francamente che “Birds of Prey” parli di emancipazione femminile con la stessa profondità di altri film come… Boh? “Supergirl – La ragazza d’acciaio” (1984)? “Catwoman (2004)? Ma forse potrei spingermi addirittura ad un classico intramontabile della cinematografia come “Charlie’s Angels” (2000). Quello che m’interessa è che da qui emergano dei personaggi per cui non è male fare il tifo.
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Girls just want to have fun fight. |
La più sorprendente è, forse, Jurnee Smollett-Bell che interpreta Black Canary (che nel fumetto era bianca… Vi ho già parlato dello studio a tavolino di questo film?), attrice che non avevo mai visto e che dopo una breve ricerca, scopro avere una lunga gavetta nelle serie televisive. Qui non solo mena forte, ma canta anche una più che decente versione del classico di James Brown “It’s a Man’s Man’s Man’s World”.
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Avete mai sentito un canarino cantare James Brown? |
La Cacciatrice di Mary Elizabeth Winstead è una Frank Castle in gonnella (anzi, in tuta di acetato, come i Soprano, per sottolineare le origini italo-americane del personaggio) costruito tutto intorno alla gag del suo nome e al fatto che è un’assassina perfetta, ma non sa come agire nel quotidiano (cose che capitano se ti alleni una vita a coltivare la tua vendetta) e quindi è in difficoltà anche davanti ad un semplice Bro-Fist.
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«Ucciderò tutti quelli che mi hanno vista in quello schifo di Gemini Man. Tutti e due» |
Menzione speciale a Rosie Perez colei che con la sola presenza riuscirà sempre a farmi urlare fortissimo «CHI NON SALTA BIANCO È!» (storia vera), qui nei panni di una poliziotta in costante lotta con i colleghi maschi che, però, parla e agisce come lo sbirro di un film d’azione degli anni ’80, tutta roba che mi trova molto propenso.
L’altra faccia della medaglia è il cattivo Black Mask interpretato da uno Ewan McGregor sopra le righe sì, ma non abbastanza. Il personaggio inizia fortissimo spellando (anzi, facendo spellare) facce e ammazzando persone per ribadire il suo ruolo, ma con il passare dei minuti, questo ambiguo personaggio che parla solo usando espressioni che servano a ribadire il suo ruolo di rappresentante del patriarcato (di fatto per un intero film dichiara che è tutto di sua proprietà, anche le protagoniste), con il passare dei minuti si trasforma da assassino psicopatico in odore di dominatore da BDSM a generico avversario facente funzione di cattivo e la prova di McGregor segue la parabola discendente del suo personaggio.
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«Ora sono pronto per Carnevale, ma anche per il prossimo Halloween» |
Ultima, ma non meno importante, Margot Robbie che qui sfoggia tutto il campionario del talento con l’aria di chi si sta divertendo un mondo facendolo, per buoni tratti l’Australiana si carica “Birds of Prey” sulle spalle, portandolo ben oltre, beh… Gli oggetti dei prossimi due paragrafi in grassetto.
Pregi: Notevoli e tutti in bella vista
Al netto di un leggero calo nel secondo atto, Cathy Yan tiene il ritmo piuttosto alto e il risultato finale intrattiene benino. La scelta di usare un’estetica così vistosa paga dividendi, almeno nel tentare di mascherare una trama che di suo potrebbe stare tutta scritta su un tovagliolo. A metà tra Guy Ritchie e un grosso videoclip, Cathy Yan deve sottostare ad alcune imposizioni cadute dall’alto (non è un film della Distinta Concorrenza se non ci sono scene di combattimento a rallentatore, non si libereranno mai dell’impronta lasciata da Zack Snyder), ma si ricorda che Gotham City va mostrata con la giusta combinazione di colori anche se la tua storia non prevede nessun miliardario vestito da pipistrello, il risultato finale? Molto migliore di quello di suo alcuni colleghi ben più blasonati.
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La Marvel ha l’umorismo, la Distinta Concorrenza i rallenty. |
Difetti: Tanti, brutti e disseminati
Come dicevo qui sopra il film gonfia le penne per sembrare più grosso ai predatori esterni, di fatto abbiamo protagoniste che non si conoscono ed intorno ad un MacGuffin sono destinate a fare squadra contro il nemico comune, incidentalmente dotato di pene per dare al tutto un’idea di femminismo. Fine della trama, tutta roba prevedibile senza aver nemmeno visto il trailer del film, cosa che in effetti non ho fatto (storia vera).
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«Tutti questi svarioni della trama, per un diamante così piccolo?» |
Quello che trovo abbastanza assurdo è far ruotare tutta la storia intorno ad un prezioso diamante, così importante per Black Mask, da affidarlo a suo sgherro che pensa bene di giocherellarci per strada facendoselo fregare come un pollo (eh vabbè!). Ma la parte migliore resta la reazione del cattivone: prima sguinzaglia i suoi sgherri in giro per tutta la città per recuperare il diamante, poi una volta catturata Harley Quinn pensa bene di torturarla a morte. Tutto perfetto, ma allora perché poi farsi convincere e spedirla a cercare il diamante? Perché mettere una taglia sulla testa della borseggiatrice Cassandra Cain (Ella Jay Basco) solo con l’obbiettivo di mettere i bastoni tra le ruote di Arlecchina? Ma ucciderla sul posto e lasciare il lavoro sporco ai suoi uomini? Brutto? Insomma, il più delle volte mi sono ritrovato a pensare che tutta l’abbondanza visiva, servisse solo per provare a distrarre da difetti come questo.
Non so, invece, decidermi se la scena del panino ambito, ma mangiato solo alla fine, sia un pregio oppure un difetto, nel dubbio, è sicuramente una strizzata d’occhio al cappuccino di Hudson Hawk.
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Ha chiamato Steven E. de Souza, rivuole indietro la sua vecchia gag. |
Risultato finale (e diagnosi del paziente)
Forse come molte operazioni studiate per piacere a tutti [Cassidy inspira] Birds of Prey and the fantabulous emancipation of one Harley Quinn [Cassidy espira] prova a tenere i piedi in troppe scarpe e malgrado abbia tutto per spaccare i botteghini, negli Stati Uniti non è andato benissimo. Evidentemente, la Distinta Concorrenza non ha ancora trovato per davvero una sua formula, la vera emancipazione sarà per loro quella dal monopolio dei film Marvel.
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«Scorsese parlava dei parchi a tema della Marvel, noi siamo un parco a tema della DC, non è lo stesso. Vero?» |
In ogni caso, Harley Quinn è uno dei pochi personaggi femminili che sono stati in grado di imporsi in un cinema, che parla tanto di personaggi femminili, ma non riesce a sfornarne di abbastanza carismatici per conquistare il pubblico. Con tutti i suoi abbondanti difetti, mi rivedrei molto più volentieri questo film che quella pacchianata di Aquaman oppure quella robetta innocua di Shazam, poco lo so, ma abbastanza per dimettere il paziente di oggi, in attesa del prossimo “Deadpool” che a livello di follia farà sparire dalla mappa geografica questo film, questo pronostico è fin troppo facile.