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Black Christmas (1974): un Natale rosso sangue che arriva prima di Halloween

Lo so che chiunque abbia l’ardire di tirare fuori gli addobbi di Natale PRIMA di aver festeggiato Halloween, si meriterebbe una telefonata da parte di Billy, però qui abbiamo un compleanno grosso, molto grosso, un titolo che ha tutto per essere perfetto per la “spooky season” di ottobre, ma che avrebbe potuto essere anche un Classido di Natale, insomma questo post è il mio personale “Nightmare before Christmas” e il rosso sangue è quello del logo qui sotto.

C’è stato un momento tra la metà degli anni ’70 e i primi anni ’80 in cui un Paese illuminato come il Canada, ha pensato bene di investire sul cinema, qualunque canadese proprietario di una fabbrichetta di boh, molle, materassi o caramelle gommose del gusto di sciroppo d’acero, con abbastanza capitali per investire, si sarebbe visto decurtare dal governo canadese parecchi fogli arancioni chiaro con sopra facce di ex regnanti britannici spirati dalla sua dichiarazione dei redditi. Cosa hanno fatto i canadesi illuminati e danarosi? Hanno investito nella tipologia di film meno costosi da realizzare, questo ha avuto una reazione a catena (occhiolino-occhiolino) che ha portato alla nascita della “Canuxploitation”, un mucchio selvaggio di slasher provenienti dal profondo Nord.

Piccolo passo indietro, la Slasher ha origini chiare, è un sottogenere considerato storicamente reazionario perché di base punta alo status quo, a suo modo è una sorta di storia di assedio, c’è un metaforico fortino di un Western, arrivano degli assedianti e una volta cacciati, dopo parecchi morti rimasti a terra, lo status quo del fortino viene ristabilito. Sostituite gli assediati con campeggiatori o belle baby sitter e gli assedianti con assassini armati di maschera e coltello e chiudiamo qui la metafora.

Questo genere è cresciuto da una costola di suo cugino, il Giallo all’italiana e si è alimentato con titolo considerati giustamente pietre miliari, Psycho e Reazione a catena di Mario Bava, anche se a voler essere precisi di potrebbero aggiungere altri titoli, ma restiamo sui classici conclamati, la premessa è già lunga così. Tutto questo ha portato al 1978, in cui il mondo è stato fulminato sulla via di Haddonfield ma prima, alcuni titoli hanno svolto un ruolo chiave, lo stesso Carpenter ha dichiarato che se avesse diretto un seguito di “Black Christmas” lo avrebbe ambientato durante un’altra festa segnata in rosso sul calendario, avrebbe fatto evadere l’assassino per farlo tornare a perseguitare le ragazze della Pi Kappa Sigma. in linea di massima, a suo modo lo ha fatto, bene, molto bene.

Non è ancora iniziata la Whamageddon, quindi

A tutto questo aggiungete le condizioni esterne, non era inusuale nemmeno qui da noi in quel periodo, qualche stron… Ehm, bontempo… Ehm, no direi proprio stronzo, aveva scoperto che era molto divertente fare numeri a caso per importunare telefonicamente persone, se a questo aggiungiamo la leggenda urbana della babysitter e l’uomo al piano di sopra (portata agli onori da “Quando chiama uno sconosciuto” di Fred Walton nel 1979), capite che la tavola era apparecchiata, a mettere insieme i pezzi ci ha pensato un regista diventato famoso per altro, nello specifico la saga di “Porky’s”, che però aveva già firmato titoli notevoli.

La prima parte della filmografia di Bob Clark è interessante, anche solo perché contiene titoli sfiziosi come “L’assedio dei morti viventi (1972) e un altro titolo bellissimo, proprio del 1974 di cui mi piacerebbe scrivere, una parabola anti-militarista basata sul classico della zampa di scimmia, intitolato “La morte dietro la porta”, anche se è con il suo film di Natale, uscito in patria prima di Halloween che Clark si è iscritto alla storia, firmando un proto-Slasher con tutti i crismi.

Ti fanno fuori, baby, pure ‘sti fuori sede (cit.)

La storia di “Black Christmas – Un Natale rosso sangue” pensate un po’, è ambientata a Natale, chi lo avrebbe mai detto eh? Nel campus di Bedford, che per l’orecchio anglofono rimanda subito all’idilliaca Bedford Falls del classico di Frank Capra “La vita è meravigliosa”, la sorellanza della Pi Kappa Sigma sta organizzando le feste, quando una di loro Jessica “Jess” Bradford (Olivia Hussey) ha la grande fortuna – si fa per dire – di essere presa di mira telefonicamente da una vecchia conoscenza del gruppo, un burlone che non fa per niente ridere ribattezzato “il gorgogliatore misterioso” (in originale, il ben più incisivo “the moaner”), che viene presto liquidato dalla smaliziata Barbara “Barb” Coard (una Margot Kidder da applausi), che lo spernacchia beccandosi in tutta risposta un simpatico: «Io ti ucciderò». Quindi “Black Christmas” padre nobile di tutta la filmografia di Liam Neeson ma visto che parliamo di voci (al telefono), fate un salto a leggere il post di Doppiaggi Italioti sul film.

«Liam smettila, ho capito che sei tu!»

Da che parte cominciare? Perché qui la carne al fuoco è parecchia, per prima cosa “Black Christmas” crea, prima di Halloween di John Carpenter, molta dell’iconografia diventata elemento stabile nel genere Slasher, l’idea stessa delle vocine al telefono è mutuata dal Giallo, ma qui viene riadattata e seguendo il principio di Brian De Palma (che il Giallo lo conosce bene), se ad essere minacciata è una donna, il tutto risulta più bello, cinematografico e aggiungo io, si espone a letture di secondo livello, l’assassino che pugnala come metafora freudiana, le accuse di misoginia al genere Slasher (che non esisterebbe nemmeno senza le donne) e tutto il resto.

L’occhio della madre! Anzi, dell’assassino.

Ma “Black Christmas” come abbiamo visto, si è alimentato di tutto quello che si respirava nell’aria nel 1974, di conseguenza anche dei moti femministi perché va detto, rivisto oggi alla luce dei suoi tanti figli e figliocci, in occasione dei suoi primi cinquant’anni proprio oggi, risulta essere un film ancora piuttosto grezzo, questo penso sia innegabile, eppure brillante per scelte e soluzioni, capace di cavalcare il fermento del movimento femminista alla grande e con una gestione del ritmo davvero ottima

Che sia un libro, un fumetto, una canzone o un film, c’è bisogno di un ritmo per far funzionare un’armonia, “Black Christmas” il suo se lo gioca tagliando (ah-ah) i momenti di tensione con siparietti anche comici, in cui a dominare incontrastata è Margot Kidder, che da questo punto di vista vola sopra tutto anche di più di quanto non facesse con Superman. La sua Barb è considerata un’icona gay perché entra in scena sfogliando una rivista tipo Playboy e per tutto il tempo, beve e fuma con quel suo atteggiamento molto sfacciato, ricordando al mondo che razza di attrice era Kidder, in un film dove TUTTE le protagoniste sono ben caratterizzate e scritte, lei domina.

Facendo la linguaccia a tutto il resto del cast, tiè!

Nel suo essere un Proto-Slasher poi, “Black Christmas” ha saputo definire e allo stesso tempo smontare i canoni di questo sotto genere, se pensiamo ai grandi assassini Slasher, ognuno di loro aveva il suo stile, la sua arma, in molti casi anche la sua maschera, il famigerato Billy – nome fornito al telefono quindi probabilmente inventato – di “Black Christmas” non ha nemmeno un aspetto suo, di lui vediamo essenzialmente un occhio, e restando sul tema dell’occhio, non vediamo quasi il suo punto di vista (come avrebbe poi fatto Carpenter), la minaccia potrebbe arrivare da tutti i lati ed in effetti lo fa, visto che la faccenda del telefono gioca il suo ruolo chiave e anche questa, sarebbe diventata un modello, avremmo mai avuto il prologo di Scream senza le telefonate di “Black Christmas”? Domanda retorica, conoscete già la risposta.

I maschietti del film poi, ad esclusione di quel mito di John Saxon, sono personaggi orribili che riassumono l’aria che tira, quando le ragazze della sorellanza chiedono aiuto alla polizia, nessuno crede alle loro parole, insomma, in questo senso i cinquant’anni passati dall’uscita non si sentono, perché è l’unico punto in cui la società ottusa non è ancora cambiata, basta dare un’occhiata alla cronaca per avere una triste conferma.

«Sono il padre di quella che ha fatto il culo a Freddy, non mi fai nessuna paura»

Aggiungiamo poi un altro dettaglio chiave, la “Final girl”, altra colonna portante del genere Slasher, storicamente pura, al limite se non oltre l’asessuato, opposta proprio alla metafora fallica delle coltellate dell’assassino, anche qui “Black Christmas” crea e rinnova, da proto-Slasher costruisce e demolisce tutte le regole base. Non solo Jess ha chiaramente una vita sessuale, ma è proprio già incinta di Peter (Keir Dullea, il David alle prese con i monoliti per Kubrick), un cretino della peggior specie che alla sua futura paternità non vuole rinunciare, malgrado sia un idiota, un personaggio sgradevole tanto che per tutti (personaggi del film compresi) è impossibile non pensare proprio a lui come al potenziale “Billy”. Jess invece da donna, vuole far valere la sua scelta, visto che il corpo sarebbe ancora il suo, e qui subentra l’elemento altamente satirico di “Black Christmas”.

Una protagonista che non ha nessuna intenzione di diventare madre come imposto dalla società, nello stesso periodo in cui il pianeta celebra la natività, anzi, LA natività, la componente satirica di “Black Christmas” è talmente evidente che ai tempi colpì anche la critica. Il destino di questa storia, in tutte le sue incarnazioni (e ne ha avute altre due, nel 2006 e nel 2019) è sempre stata quella di fare il punto, non solo sullo stato dell’arte del cinema horror, ma proprio della società, nel 1974 ad esempio, tutta la violenza del film ha coinciso con un’ondata conservatrice pronta a gettarsi a corpo morto sulla granata rotolante di chiunque osasse attaccare un’istituzione americana come il Natale. Non era certo un problema di un film horror canadese se là fuori dalle sale, nel mondo, esisteva la violenza e qualcuno criticava lo stile di vita americano classico, ma proprio per questo divenne molto più facile prendersela con il film, non il primo ambientato a Natale (per tutti i dettagli…) ma quello più in vista, motivo per cui alla sua uscita, Bob Clark non portò a casa tanti soldi o applausi, anche se si è impegnato molto nelle interviste successive a dire di aver capito l’importanza del suo film (non è vero, nel 1974 non lo sapeva), ma è riuscito a firmare un culto lo stesso.

In compenso sapeva che nel 1974, per qualche ragione, l’alcolismo al cinema era divertente.

Un altro ottimo punto a favore di questo Classido di Natale ad Halloween? Il suo essere talmente anni ’70 da ricordarsi di non trattare il pubblico come degli idioti (non come fa ad esempio l’osceno rifacimento del 2006), l’assenza di spiegazioni o di motivazioni di parte di Billy rende tutto più spaventoso e anche questo, avrebbe fatto scuola all’interno del genere Slasher. Quando la svolta che non rivelerò arriva, tutto diventa ancora più sinistro e il finale, che potremmo definire aperto, oggi, o comunque già solo nel 2006, richiedeva di essere spiegato ad un pubblico con la capacità di attenzione in picchiata. Per nostra fortuna invece El. 1974 invece il non detto generava ancora orrore, in un proto-Slasher che ha fatto scuola, capite da voi che questo Natale anticipato prima di Halloween, andava festeggiato, perché senza questo Natale in nero (o di sangue) non avremmo mai avuto beh, Halloween. Festa per festa, auguri ai primi cinquant’anni di questo Classido!

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