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Black Mirror – Stagione 5: Dalla paranoia tecnologica ad Hannah Montana, in tre comodi episodi

Non ci faccio una gran figura lo so, perché avevo detto che
questa serie ormai era al capolinea. Ma
speravo che con il ritorno al formato da tre episodi, la quinta stagione di “Black
Mirror” sarebbe tornata ai fasti di un tempo. No, ha preferito mettersi a
scavare.

Dopo l’esperimento dell’episodio interattivo Bandersnatch, la serie creata da Charlie
Brooker era un pugile che barcollava già molto vistosamente, ma questi tre
episodi della durata di un’ora ciascuno – fin troppi minuti per le storie che
hanno da raccontare – sono il definitivo colpo del KO, per una serie che ci ha annodato
lo stomaco per tanto tempo. Ma prima o poi tutto quello che sale deve scendere,
e “Black Mirror” si è schiantata a terra. Di faccia.

Incidente in galleria numero uno.

Vediamo questo disastro nel dettaglio, iniziamo dal primo
episodio intitolato “Striking Vipers” (5×01) che è anche il titolo di un picchiaduro
in puro stile “Tekken” oppure “Street Fighters” con cui giocano sempre Danny (Anthony
“Falcon” Mackie) scegliendo sempre il personaggio del lottatore Lance, e il suo
migliore amico Karl (Yahya Abdul-Mateen II) che invece preferisce utilizzare la
bionda Roxette.

“Oh zio! Se premi triangolo, X, freccia destra, freccia sinistra, quadrato fa la mossa del Kamasutra!”

Ma il tempo passa inesorabile per tutti, si cresce, anche se
Karl non si rassegna allo scorrere degli anni continuando a trovarsi fidanzate
sempre più giovani. Danny di suo invece sposa la sua ragazza con nome da uomo
Theo (Nicole Beharie) e mette su pancia e famiglia. Ma per il 38esimo
compleanno di Danny, in memoria dei vecchi tempi Karl regala all’amico una
copia del nuovissimo “Striking Vipers X” con cui è possibile combattere nei
panni di Lance e Roxette grazie alla realtà virtuale, ecco, pare che si possa
fare anche altro, come scopriranno presto i due amici.

Il regista Owen Harris si diverte a ricreare un po’ delle
mosse tipiche dei combattenti dei picchiaduro, poi la trama scritta dallo
stesso Charlie Brooker avrebbe anche degli spunti interessanti. Di fondo ci
sarebbe una riflessione niente male sul fatto che con l’età adulta, arrivino
anche le responsabilità e insieme a quelle sempre meno tempo per dedicarci alle
cazzate con gli amici, molto ben rappresentate dal giocare con un videogames. Ci
sarebbe anche l’interessante sotto testo su come gli uomini non esprimano mai
apertamente i loro sentimenti, e sul limite molto sottile tra l’amicizia
virile, e il “Broomance” alla J.D. e Turk
per capirci.

Round one: FUCK! …No volevo dire FIGHT!

Chi ha più “ore di volo” ai videogiochi di me poi, potrebbe
lanciarsi in un’analisi con esempi, riguardo alla tipologia di personaggi
disponibili in un picchiaduro, e alla ragioni per cui vengono selezionati, ma Charlie
Brooker tira dritto, e in un videogioco in cui con il tuo personaggio puoi fare
davvero di tutto (anche le zozzerie) tira su una trama che tiene anche
piuttosto bene, forse con ritmi fin troppo lenti e dialoghi inutilmente lunghi
in certi passaggi, ma che comunque utilizza ancora la tecnologia per inclinare
il pavimento sotto i piedi dei personaggi, facendoli scivolare tutti in
situazioni compromettenti, una dipendenza tecnologica, che li costringe anche a
rivedere tutta la loro scala di valori.

Poi quando è ora di tirare le somme cosa fa? Invece di
colpirti in faccia con un finale cattivo che copra il ruolo di “Memento mori
informatico”, opta per una soluzione quasi democristiana, un finale che a
mio avviso denota più ipocrisia da parte dei protagonisti che altro, che mi
sarebbe potuto andare bene se a firmare l’episodio fosse stato Gabriele Muccino,
non Charlie Brooker!
Giunto alla fine di “Striking Vipers” mi sono ritrovato a
pensare: «Che pena, ma finisce davvero così? Questo sarà l’episodio peggiore,
passiamo al prossimo», salvo poi scoprire che dei tre, “Striking Vipers”
potrebbe addirittura essere il migliore della quinta stagione. Immaginate gli
altri, anzi non immaginiamoli, parliamone!

Disastro stradale numero due.

“Smithereens” (5×02) è l’equivalente di Facebook, solo che Charlie
Brooker preferisce cambiargli nome per non doversela vedere con gli avvocati di
Mark Zuckerberg. L’episodio si basa, senza girarci troppo attorno, sulla
capacità di fare il pazzo di Andrew Scott (il cattivo di Sherlock) che prende in ostaggio uno stagista della società, nel
tentativo di arrivare fino al fondatore del noto social-network, che si chiama Billy
Bauer per lo stesso discorso sugli avvocati fatto poco fa, ma che in compenso
ha la faccia di un Topher Grace in modalità figlio dei fiori.

L’episodio almeno intrattiene, malgrado i cecchini con la
peggior mira di sempre, si viene coinvolti dal tentativo di quella che i miei
colleghi al lavoro fanatici di termini in inglese chiamerebbero “escalation” (Aaarggh!), di
un sempre più devastato Andrew Scott. Ma quando è ora di concludere, ancora una
volta Charlie Brooker ci conferma che da quando ha cambiato medicine, non è più
quello di una volta.

La mia stessa faccia rilassata, quando i miei colleghi usano termini come “escalation” in mia presenza.

Io capisco la critica, mi sta benissimo una punzecchiatura
(perché di questo si tratta) a chi passa troppe ore a “spimpolare” il telefono per
aggiornarsi sul numero di “mi piace” ricevuto sotto l’ultima foto di gattini
pubblicata. Ma ci rendiamo conto che l’episodio non ha senso? Il piano del
protagonista non ha nessuna logica, non è l’assenza di logica di una mente
distrutta dal dolore, solo un altro finale (il secondo in fila) in cui tutto
finisce a tarallucci e vino, e la critica alla tecnologia? Che fine ha fatto?
Semplicemente “Smithereens” sembra un episodio a caso di un’altra serie, di
certo non una che ha come intento quello di metterci in guardia dal “lato
oscuro” della tecnologia.

Per finire, massacro POP (nel senso di teste che esplodo) numero tre.

L’ultimo disastro si intitola “Rachel, Jack e Ashley” (5×03)
e mi sembra abbastanza evidente che Charlie Brooker sia stato sostituito dal suo
gemello ottimista, oppure che sia stato rapito e minacciato, al fine di
lanciare la carriera di attrice di Miley Cyrus. Non ci sono altre spiegazioni.

Questa puntata è una simpatica commedia degli equivoci, in
cui due sorelle, una fanatica della cantante Pop di nome Ashley O (Miley Cyrus con la
parrucca rosa) e l’altra darkettona che ascolta i Pixies e i Sonic Youth,
mettono da parte le differenze per salvare l’idolo di una delle due dalle
grinfie dell’acida manager, la zia che tiene la “bella addormentata” in coma
per rubarle le canzoni dalla mente per fare soldi.

Nessun animale martello è stato maltrattato durante la produzione di questo episodio.

Nel mezzo metteteci anche un robot, anzi, un’intelligenza
artificiale che contiene la copia della mente di Ashley O e il gioco è fatto. L’unica
spiegazione che ho è che Charlie Brooker fosse segretamente un appassionato di
Hannah Montana, oppure che tutto questo sia un grosso scherzo.

Questa simpatica commedia in stile “Quel pazzo venerdì” (2003)
ha nei battibecchi con la robottina (anche lei dai capelli rosa) le sue parti
più divertenti, ve lo giuro, la parte migliore è sentirla cristonare come un
camionista perché tanto l’episodio non ha nessun senso (si infilano nella villa fingendosi delle derattizzazione? Davvero Charlie?) e la componente tecnologica
è più che altro un “mambo jumbo” informatico che sostituisce la magia che
troveresti negli analoghi prodotti targati Disney di questo tipo. Fatemi sorvolare
sulla svolta “Rock” della carriera di Ashley O, sul serio, ho le fitte al cuore
solo a pensarci.

Il vecchio “Emiglio robot” dopo un cambio radicale nella sua vita.

Quindi ora “Black Mirror” è una serie dove anche il lieto
fine è concesso? Siamo passati dal mettere in guardia le persone dall’uso e
dall’abuso della tecnologia, a mostrare cosa esattamente? Come potrebbe
migliorare le nostre vite? Ma se voglio sapere dei vantaggi della tecnologia,
vado nel primo Apple Store in giro a farmi raccontare le meraviglie dell’ultimo
i-Telefono. “Black Mirror” aveva altri intenti, qui siamo davanti non ad un
pauroso sbandamento, quello era già avvenuto con Bandersnatch, qui stiamo assistendo al dramma di una serie che ha
completamente perso la rotta.

Questi sono tre episodi di un’altra serie tv, con intenti
differenti da quelli a mio avviso ben più interessanti che aveva “Black Mirror”,
a dirla tutta, una serie che non credo proprio guarderei, infatti penso proprio
di essere arrivato alla fine, nell’attesa che il gemello pessimista di Charlie
Brooker si liberi dallo scantinato in cui è stato rinchiuso, per me è tutto
grazie, non mi è mai piaciuto “Hannah Montana”, figuriamoci se poi esce travestito da quinta stagione di “Black Mirror”.
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