Parliamoci chiaramente, Black Mirror non è più la stessa da quando è finita su Netflix, su questo ormai, possiamo metterci una pietra tombale sopra. Delle ultime stagioni ricordo una puntata ispirata a Star Trek, la conferma dell’ormai avvenuta trasformazione della serie di Charlie Brooker, e poi beh, Salma Hayek, stop.
Con questo spirito nel cuore mi sono lanciato sulla settima stagione di “Black Mirror” e devo dire che in questa tornata di sei episodi, ho trovato delle puntate che ricorderò, alcune provano a ruotare attorno all’episodio dell’era Netflix che tutti ricordano (“San Junipero”), altre vanno per la loro strada e malgrado l’omaggio a Star Trek parte seconda e la distanza con le prime stagioni britanniche, devo dire che per lo meno questa stagione non mi ha fatto cadere, diciamo le braccia, anzi.
7×01 – Gente comune
Amanda (Rashida Jones) e Mike (Chris O’Dowd) sono una coppia normale che cerca di avere un bambino, la loro vita viene sconvolta dalla malattia improvvisa della donna, per tirarla fuori dal coma interviene il deus ex machina tecnologico che è il filo rosso (o almeno, dovrebbe esserlo) della serie, la RiverMind può sostituire la parte del cervello malata con una nuova, ed alimentare quest’ultima tramite le informazioni ottenute dalla vecchia. Il prezzo è di $300 mensili, tanti per le tasche della coppia ma con un bel po’ di straordinari al cantiere si può sostenere e Amanda, può anche tornare a lavorare, fino al giorno in cui non inizierà a snocciolare frasi in odore di spot pubblicitari, scatenate dalle conversazioni e fastidiose come pop-up su Internet.
Charlie Brooker e Bisha K. Ali scrivono un episodio a carte scoperte, più la RiverMind, dopo aver creato il bisogno, aumenta il prezzo del suo servizio, trasformando in inutilizzabile (e inumana) la versione base, più l’elemento anticipatore, sottolineato due volte con il pennarellone a punta grossa da Booker torna utile. Mi riferisco al sito Dum Dummies, dove puoi essere pagato per fare idiozie in diretta streaming che il più delle volte, oltre che orribilmente umilianti sono anche molto dolorose. La puntata da qui in poi si scrive da sola e procede bene solo perché ha degli echi della vecchia “Black Mirror” e perché Chris O’Dowd e Rashida Jones sono molto bravi e insieme, specialmente il primo (che ricordo, è irlandese) fanno diminuire il senso di americanicità percepita, il che, come vedremo è un bene.
7×02 – Bestia nera
Maria (Siena Kelly) è una ricercatrice di un’azienda che produce cioccolato, il suo lavoro di creare nuovi gusti procede alla grande, fino al giorno in cui non incontra la sua vecchia compagna di scuola Verity (Rosy McEwen, super sinistra!) che si infila nel suo ufficio, la scavalca in termini di popolarità facendole venire il sospetto che sia tutta una vendetta dei tempi della scuola, quando Verify, l’animale ferito del gruppo ma esperta di computer, finì per beccarsi un nomignolo odioso. Anche perché con il passare dei giorni, in una sola settimana Verify riesce a rigirare il mondo di Maria come un calzino gettandola nella paranoia più nera, anche perché sembra che la realtà e non solo il punto di vista di Maria cambi a favore di Verify.
Lo dico? Sembra che lo spunto iniziale Charlie Brooker lo abbia pescato da “Old Boy”, il finale invece, un crescendo di nerdaggine, è la prova che anche al creatore di “Black Mirror” deve piacere molto Rick & Morty perché quella svolta finale sembra esagerata abbastanza (nel senso buono) da ricordare il celebre cartone animato, ma ve lo sottolineo, cast tutto inglese. Chiaro dove voglio andare a parare? Aggiungiamo materiale.
7×03 – Hotel Reverie
“Hotel Reverie” è un classico del cinema americano, come potrebbe esserlo non so, “Casablanca” (1942), l’attrice Brandy (Issa Rae) ne è così appassionata che lo guarda in streaming su YouTube e si compra – pensate un po’ – addirittura il Blu-Ray solo quando la scelgono, unica candidata, per rifare il film usando una tecnologia inutilmente complicata. Attraverso una ricostruzione digitale, anche una donna di colore come Brandy può impersonare il Bogart della situazione interagendo I.A. basate sul vero cast del film per replicare, senza deviazioni (misurate da una specie di barometro) di un millimetro dalla trama originale… Time Out Cassidy!
Quindi lo spunto è questo: si spende uno sproperio, un impegno esagerato di tecnologia per ottenere come risultato finale, cosa esattamente? Lo stesso identico film ma con un’attrice di colore protagonista? Per tutto il tempo della puntata non sono riuscito a capire se fosse una brillante critica all’industria di Hollywood e all’assurdità di rifare i classici con la nuova tecnologia (si “Live action Disney” sto parlando di voi) o semplicemente la sinossi più stupida di sempre.
Il risultato è un episodio che vorrebbe essere “San Junipero” sullo sfondo della Hollywood classica, barboso, poco coinvolgente e in generale, per temi e casting, il tributo di sangue dell’algoritmo di Netflix a “Black Mirror”, episodio dimenticabilissimo, con cast completamente Yankee, passiamo alle cose serie.
7×04 – Come un giocattolo
Cameron Walker viene arrestato per furto di una bottiglia d’acqua in un negozio e collegato dalla polizia al ritrovamento di un cadavere senza nome chiuso in una valigia anni prima. Da qui inizia la confessione, un lungo flashback in cui l’anziano Walker racconta la sua storia ed essendo impersonato da quel mito di Peter Capaldi la puntata è già automaticamente considerabile inglese abbastanza per superare la mia testi su questa stagione.
Walker riceve dall’eccentrico programmatore Colin Ritman (Will Poulter che riprende il personaggio che aveva già impersonato in Bandersnatch) una copia del nuovo gioco “Thronglets” tipo il Tamagotchi ma più avanzato, visto che la puntata per chi è appassionato di informatica e retro-gaming è un’orgia di citazioni utilizzate bene.
A mani basse il mio episodio del cuore, quello che mi ha gasato di più perché infinitamente Nerd, quello che a differenza dell’episodio 7×01 non utilizza solo tecnologia che già utilizziamo (o quasi) ma guarda al nostro dopodomani facendo fantascienza, il fatto che sia diretto da David Slade aiuta, ormai anche lui pretoriano di questa serie, sul suo passaporto non aggiungo nulla, se non che Capaldi è un mito e il finale di questa puntata uno dei migliori visti di recente in una serie antologia. Si capisce che mi è piaciuta questa puntata?
7×05 – Eulogy
Paul Giamatti deve smetterla di essere così fottutamente bravo. Dove lo metti recita, benissimo per altro, e rappresenta l’ottima eccezione alla mia (non) regola che vorrebbe restituire questa serie alle figlie e ai figli di Albione.
“Eulogy” è una tecnologia che permette di ricostruire i ricordi di una persona da condividere per un’elegia funebre, Philip (Giamatti) non ricorda più nulla della donna di nome Carol che ha amato intensamente, ha un paio di foto sue, sempre scattate da lontano, mai primi piani e con l’assistente dall’accento britannico (Patsy Ferran) farà un viaggio nelle fotografie e lungo il viale dei ricordi. Messo così, due palle mostruose e un soggetto banalissimo, voi caricate tutto sulle spalle di Giamatti risultato? Uno dei migliori episodi della stagione, grazie ad un attore che recita di doppio mento, di sguardi tristi, uno che ha una gamma di emozioni e che sa farle arrivare tutte al pubblico, magnifico, nulla da aggiungere. Smettila di essere così bravo Giamatti, farai sfigurare tutti!
7×06 – USS Callister: Infinity
La famigerata seconda parte di “USS Callister”, una puntata che secondo me portava “Black Mirror” ben lontano dai suoi territori soliti ma più vicino a Star Trek, il che non può essere troppo un male, anche perché ritrovare lo strambo equipaggio della nave, nell’inferno che sono i server di Infinity ve lo dico, mi ha tutto sommato intrattenuto.
Ok, nel frattempo Cristin Milioti è diventata tipo la preferita di tutti grazie a – ufficialmente, ufficiosamente non ve lo dico – The Penguin e la qualità della serie di Star Trek recenti si è ulteriormente abbassata, quindi l’omaggio per lo meno funziona, fosse stato l’episodio di punta della stagione anche no, ma visto che di mezzo abbiamo avuto il contributo di Giamatti e Capaldi, va bene, non sarò l’angosciante e cattivissima “Black Mirror” di un tempo, ma questa volta ci è andata meglio, se la serie dovesse attestarsi su questo livello, a me potrebbe andare anche bene.
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