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Black Panther – Wakanda Forever (2022): Rest In Power (requiem per la Fase 4 dell’MCU)

Questa ci tengo a raccontarvela, anche perché riassume davvero tutto quello che uno come me potrebbe dirvi su un film come “Black Panther – Wakanda Forever”.

Mi capita spesso di andare al campetto per giocare un po’ a basket, sta di fatto che una volta, mentre facevo due tiri in attesa del numero minimo di giocatori per organizzare una partita, con la coda dell’occhio ho visto un paio di ragazzi salutarsi, invece del classico Bro-Fist seguito da «Ciao Bro», «Ciao Fra», incrociando le braccia davanti al petto, insomma il gesto “Wakanda per sempre” reso celebre da Black Panther (storia vera). Serve che aggiunga anche informazioni aggiuntive sul colore della pelle dei due Nerd? Di solito non è un parametro che considero, specialmente su un campo da basket dove i giocatori si valutano sulla base del classico “È forte” o “È scarso” e che mi sembra ancora più secondario citare in un post su “Black Panther – Wakanda Forever”.

Pantera Nera va forte sui campi da Basket.

Sta di fatto che quel saluto l’ho visto ripetersi più volte al campetto e per me, il lascito di un film come Black Panther sta davvero tutto qui. Dovessi stilare una classifica (SPOILER: non lo farò mai) il primo film su Re T’Challa potrebbe finire tra gli ultimi della produzione dell’MCU, ma questo non cambia il fatto che Chadwick Boseman sia diventato un’icona per un pubblico che aspettava solo di fare il tifo per un eroe in grado di rappresentarli sul grande schermo. Perché come ripeto spesso (soprattutto ultimamente), i film si valutano secondo tanti parametri, uno sicuramente il logorio di Padre Tempo, l’altro il loro lascito e il loro impatto sulla cultura popolare, anche quando di mezzo ci si mette la “Negation of the pussy” (cit.) meglio nota come sfiga.

La morte dell’attore protagonista, nella lista dei disastri cinematografici sta più o meno al primo posto (citofonare Gilliam per conferma), figuriamoci quando il tuo protagonista si ritrova al centro di un intricato universo di titoli tutti legati uno all’altro come l’MCU. Sostituire Chadwick Boseman dopo la sua prematura scomparsa sarebbe stato grottesco, per il modo in cui si era imposto come icona per il pubblico, ma anche per la Marvel, che tende a spiegare ogni modifica, quindi l’unica soluzione era integrare la prematura dipartita di Re T’Challa nella trama e questo ci porta al prossimo punto.

Like a King.

MCU Fase 4: requiem

La famigerata Fase 4 dell’MCU fa discutere, anche per l’assenza di un nemico manifesto, forse verrà ricordata come quella di passaggio (o dimenticata, chi lo sa), di sicuro ha avuto l’ambizione di espandere l’MCU in varie direzioni non con pochi problemi, ma se escludiamo l’esordio sul piccolo schermo di nuovi personaggi, forse il tema chiave di questa fase è l’elaborazione del lutto, seguitemi un attimo nel mio delirio Nerd. Prima il cattivo era Thanos, ora la sua amata, la Morte.

Wanda ha dovuto fare i conti con la perdita dei suoi figli (due volte), Peter anche con quella del suo mentore Tony Stark, persino Falcon e il suo amant… Ehm compare, hanno dovuto gestire la perdita di Cap. In tal senso “Black Panther – Wakanda Forever” non è solo il film che concluderà la Fase 4 (lo speciale di Natale dei Guardiani sarà una festa, o una celebrazione per la perdita di James Gunn passato alla Distinta Concorrenza, comunque in tema), ma anche il titolo che per sua stessa natura deve fare i conti in maniera manifesta con il lutto.

In un prologo senza musica (per quelle molto belle di Ludwig Göransson, avremmo tempo 161 minuti di film), Re T’Challa muore per una malattia incurabile, tanto che nemmeno quel genio scientifico di sua sorella Shuri (Letitia Wright) può fare nulla se non presenziare al funerale, che per un caso di umorismo nero (e Nerd) avviene con largo utilizzo di una bara volante.

«A me tocca tutto questo e Cassidy pensa alle Bare Volanti»

Il Wakanda perde il suo Re e resta in bàlia della politica internazionale, se Angela Bassett era stata poco più che tappezzeria nel primo film, qui ci ricorda che Mace Mason Ramonda è la più tosta di tutte, anche nel caricarsi il Wakanda sulle spalle, perché zitto zitto Ryan Coogler, riesce a infilare quattro protagoniste cazzute e di colore nel suo film milionario, senza sbatterlo in faccia a nessuno, perché lo dico fuori dai denti, “Black Panther – Wakanda Forever” funziona molto meglio rispetto al suo primo capitolo sotto vari aspetti, anche perché non ha tutta l’ansia di incisività del primo capitolo, anche se tanto farà incazzare lo stesso coloro che non sopportano le pietanze cucinate con il Woke, tanto è inutile spiegare loro che Shuri e le Dora Milaje esistono nei fumetti almeno dagli anni ’90, inutile proprio perderci tempo, passiamo piuttosto al prossimo punto, visto che ormai questi film tratti da fumetto si sviluppano grazie ad una “lista di cose da fare”, quindi tanto vale che lo faccia anche io che come detto, non sono il pubblico di riferimento di questo film, malgrado i miei anni da lettore.

Risiko: Wakanda (parliamo di colonialismo, vi va?)

Se nel primo film il Wakanda era un Paese ricchissimo e ultra tecnologico che non aveva mai commerciato con nessuno, in quanto remoto e secluso (e allora come aveva fatto a fare i soldi? Vabbè), qui ha un ruolo più logico nello scacchiere mondiale. Stati Uniti ed Europa tendono una mano al Wakanda, più che altro per provare a mettere le mani sul loro prezioso metallo, il Vibranio. Questo porta all’entrata in scena di un altro impero secluso e remoto, situato sotto sotto il mare (cit.), ovvero Atlantide Talokan, governato dall’anfibio Nàmor Namòr (più avanti ci torneremo), nemico-amico, unico possibile alleato perché l’unico che ha conosciuto sulla sua pelle indistruttibile gli effetti del colonialismo. Ma siccome si tratta di un “Cinecomics” vale la regola per cui se due eroi si incontrano, prima devono menarsi, anche perché l’algoritmo Kevin Feige pretende la sua battagliona con mille personaggi, altrimenti licenzia qualcuno.

Ho sempre detto che Mace Mason è la più tosta di tutti.

Chiaro perché Ryan Coogler sia ancora a bordo, per lui “Black Panther – Wakanda Forever” è il modo di finanziarsi altri progetti certo, ma anche di dire la sua utilizzando il linguaggio dei Blockbuster, per altro riuscendo a parlare di colonialismo meglio (o meno peggio) di quanto fatto dalla Distinta Concorrenza con Black Adam, che risultava ben più paraculo di Waka-Waka forever. Ma passiamo alla questione che sta a cuore ai vecchi lettori di quelle cose che i “Marvel Zombie” dell’MCU ignorano: i fumetti.

…e alla fine arriva Polly Nàmor Namòr

Talokan ti mette le aaali!

Lo abbiamo visto anche nel post su Black Adam, ormai non vale più chi ha creato per primo il personaggio su carta, ma chi tra Marvel e Distinta Concorrenza è stato più veloce a farlo conoscere al grande pubblico cinematografico, quindi poco importa che Namor (che poi è Roman al contrario, Bill Everett scelse il nome così, storia vera) lo creò nel 1939 quando la Marvel si chiamava ancora Timely Comics, ormai l’MCU si è fatto fregare (anche l’attore) da Aquaman, quindi per non passare per imitatori e in linea con la critica al colonialismo che sta tanto a cuore a Ryan Coogler, il personaggio non è più il Re di Atlantide ma di Talokan, di chiara ispirazione Maya e in generale sudamericana, tanto che il nome del personaggio interpretato in maniera azzeccata da Tenoch Huerta ora si pronuncia Namòr, perché ad appiopparglielo sono stati i suoi nemici, gli inquisidores Spagnoli alla quale si è ribellato, perché cambiano le incarnazioni, ma il destino di Nàmor Namòr resta lo stesso: ribellarsi al mondo di superficie.

«Hola. Mi nombre es Namòr. Tu hai ucciso mi padre. Preparate a morir!»

Wakanda per sempre! (lati positivi)

Ryan Coogler è un ottimo regista, inutile girarci attorno, ha anche molto gusto, perché quando è il momento di mostrare il mondo sottomarino di Talokan, diventa chiarissimo che sia ispirato ai film giusti, anche se il pubblico pigro citerà solo “Avatar”. I guerrieri di Talokan con il loro aspetto Maya e il loro cambiare colore fuori dall’acqua sono fighissimi, proprio il loro incazzuso Re è un personaggio più sensato degli ultimi dieci cattivi (Marvel e non solo) che avete visto, conferma che queste panterone, si fanno sempre rubare la scena dai loro avversari. Fate ciao ciao con la manina a Michael B. Jordan, perché comunque torna anche qui, come già largamente annunciato.

Scusate le spalle.

Considerando che per me Black Panther è il fanalino di coda della produzione MCU, il suo seguito è un film molto migliore, perché l’arco narrativo di Shuri funziona, la spalla comica, la scienziata che non voleva essere l’eroina costretta a farlo. L’omaggio a Chadwick Boseman non solo risulta delicato e sentito, ma permette alla sua “sorellina” di salire in cattedra, anche se bisogna dirlo, per la maggior parte del film si finisce più per tifare per l’uomo di Atlantide Talokan, che a giudicare dalle ali ai piedi ha bevuto troppe bibite energetiche, almeno finché il film non scivola su alcune pozzanghere sparse.

Zamunda Forever! (lati negativi)

Shuri eredita il manto della Pantera ma è incastrata in almeno due perdite (con relative bare volanti), che sembrano un modo per reiterare il tema del lutto ma anche di domare la volontà recalcitrante del personaggio di fare quel passo in avanti richiesto. Non aiuta nemmeno che tra il Wakanda e Talokan tutto si potrebbe risolvere senza spargimento di sangue e nel finale, quella “pena che gli ha frenato la mano” (cit.) è un po’ caramellosa, specialmente in un film di 161 minuti (anche troppi), con meno battutine cretine del solito (bene!), ma che in generale sembra la solita lista della spesa: omaggio a Chadwick Boseman? Fatto. Introdurre Namòr? Fatto. Far entrare in scena Ironheart… ecco parliamo di lei, visto che si merita un paragrafo tra i lati negativi.

I am Iron Man Ironheart (quasi-cit.)

Un’altra caratteristica della Fase 4 dell’MCU è stata quella di ringiovanire i suoi personaggi, per avvicinarli anagraficamente al loro pubblico di riferimento, una mossa che la Marvel aveva già fatto su carta, a volte alla grande grazie a personaggi come Miles Morales, altre volte malissimo, ad esempio con Riri Williams, qui interpretata da Dominique Thorne. Per altro con le stesse caratteristiche che l’hanno resa un personaggio ben poco amato, perché nel film entra in scena, infilata giù per la trachea della trama con l’imbuto come svolta narrativa frettolosa, poi in un attimo passa da studente geniale a super eroina che con armatura stile Robotech diventa un’eroina perché? Perché sì, perché la Marvel ha già annunciato una serie su di lei, quindi muti.

Per il paragone con Robotech, ringraziate Zio Portillo.

Insomma Riri Williams, su carta non si è mai distinta, alla fine rimane una a cui Tony Stark ha costruito un’armatura nei fumetti oppure la Peter Parker del Wakanda qui, bene ma non benissimo.

Chi non salta bianco è (le conclusioni)

Per essere il seguito di un film che non mi è piaciuto, “Black Panther – Wakanda Forever” mi ha coinvolto nella vicenda e nella sua trama più di quanto avrei mai creduto, bisogna anche dire che i 161 minuti si sentono tutti e la scena dopo i titoli di coda, sembra una mossa da “Soap opera” perché tanto di quello si tratta, una lunga telenovelas con super eroi, che forza un po’ la mano sul buon lavoro fatto fino a quel momento, nel portare l’ultimo saluto a Chadwick Boseman.

Con tutti i suoi passaggi di trama un po’ forzati, figli di quella “lista di cose da fare” da cui i “Cinecomics” sembrano non potersi proprio smarcare, ho seguito con interesse molto più questo film, rispetto agli ultimi tratti da fumetto visti, anche se penso che se me lo chiederete tra una settimana, forse dei suoi 161 minuti me ne saranno rimasti in testa molti meno della metà.

Shuri Shuri, Shuri di tuttu l’annu (quasi-cit.)

Ora francamente spero di poter vedere Ryan Coogler anche alle prese con altro, perché il regista ha davvero talento, siamo davanti ad uno dei pochi con i tratti dell’autore, oltre che ad uno che con questo seguito è riuscito a non farsi soffocare troppo dalle strategie commerciali di Kevin Feige, anche se bisogna dirlo, forse sono più i sottopagati tecnici degli affetti speciali (molto migliorati rispetto a quelli pezzenti del primo film) ad aver fatto molto del lavoro sporco, quando la Marvel si deciderà ad accreditare il film al suo regista e al responsabile degli effetti speciali (come fanno in Giappone), sarà sempre troppo tardi, ma questo sarà materiale per uno dei prossimo post sulla Bara, per ora il mio lavoro qui è finito, per essere uno che non fa parte del pubblico di riferimento di questo film, ho blaterato fin troppo.

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