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Black Widow (2021): dalla Russia con metaforone

Annuntio vobis gaudio magno habemus Johansson! Che fatica vedere un film solita di una dei “Vendicatori originali” (cinematograficamente parlando), superata a destra anche dall’ultima arrivata di casa Marvel, messa in panchina da un virus da debellare come in una trama spionistica e finalmente in sala e in streaming, che è un po’ la nuova normalità della distribuzione dei film, in attesa della prossima per lo meno.

Ne è valsa la pena aspettare tutto questo tempo? In molti sono pronti a dirvi di no, da parte mia come sapete preferisco prendermi il mio tempo per riflettere, prima di bollare il lavoro di qualcuno come cacca totale o capolavorò. Anche perché “Black Widow” si porta dentro alcune delle cicatrici del film che sarebbe stato se la Marvel si fosse degnata di dare spazio al personaggio di Scarlett Johansson prima, ma anche qualche livido dell’uscita eternamente rimandata.

“Black Widow” sembra tre film in uno: uno sorprendentemente buono, uno abbastanza palloso e banale figlio dei compromessi e l’ultimo boh, la cornice che tiene insieme i pezzi, ma andiamo per gradi. Per puro caso, in questi giorni sto recuperando una serie televisiva di cui ho sentito parlare (poco), ma che ha un tema che mi interessa molto, infatti della missione sotto copertura in Ohio nel 1995 che fa da prologo al film solista della Vedova Nera, ci ho rivisto parecchio di “The Americans”.

Meglio tardi che mai Rossella, dopotutto domani è un altro giorno no?

Non ho idea chi abbia azzeccato questo spunto iniziale, perché il film è stato sceneggiato da Eric Pearson (quello di Godzilla vs Kong ma anche di parecchi altri titoli per la Marvel) ma è frutto di un soggetto di Jac Schaeffer e Ned Benson, anche perché parliamoci chiaro, quando si guarda un film Marvel, bisognerebbe dare per scontato che stiamo per assistere ad un lavoro fatto da un “studios”, differenza sostanziale ma spesso ignorata dal pubblico a cui interessa sempre più essere aggiornato sugli ultimi eventi della telenovelas, piuttosto che alla produzione. Tutti parlano di fotografia, pochi sanno cosa fa per davvero un direttore della fotografia e i più, sono interessati solo a quale nuovo Marvel-tizio comparirà o tornerà questa volta, motivo per cui nel grande “sistema” utilizzato dalla Marvel anche la regista è parte dell’equazione.

Confesso la mia ignoranza, non mi piace atteggiarmi come quei cinefili che dichiarano di aver visto TUTTO, anche quello che deve ancora uscire, non conosco nessuno dei film precedenti di Cate Shortland, immagino che una regista donna sia una scelta obbligata nella partita a scacchi contro la Distinta Concorrenza che si è giocata la carta Patty Jenkins (la vera guerra fredda del nostro tempo: Marvel vs DC!), però mi è sembrato strano che una regista che arriva da film indipendenti australiani, sia subito così pronta a dirigere scene d’azione lunghe, articolate e nella prima parte del film, anche incredibilmente ben fatte, non solo per la media dei film Marvel, che ultimamente sta precipitando, a breve parleremo della tragedia nota come “Loki” (a breve su queste Bare), considerate i avvisati.

Anche con il costume nuovo, continua a spararsi le pose.

L’inizio di “Black Widow” ci porta nelle atmosfere di “The Americans”, solo trasferite nei nuovi anni ’80 (i ’90) tornano a parlare del tema con cui gli american(s) ci ammorbano ormai con otto film su dieci della loro produzione: LA FAMIGLIA! Pur essendo un gruppo di spie sotto copertura degli stati uniti, impegnati a proteggere un prezioso floppy disk (1.4 Mb di memoria, lo ricordo ai più giovani), fino al momento in cui la copertura salta e quindi mamma Melina (Rachel Weisz) e papà Alexei (David Harbour) ben calati nel ruolo, sono pronti a tutto per riportare le due bambine Natasha Romanoff e Yelena Belova in un territorio amico come Cuba. Quando intendo tutto, intendo anche volare appesi all’ala di un biplano, anche se immagino che in una scena non mostrata, papà Alexei sia salito a bordo, a vederlo così con quella panza, David Harbour non mi pare proprio Tommaso Missile.

L’inizio di “Black Widow” è scontato nel suo sottolineare con il pennarellone a punta grossa il tema della famiglia, però funziona alla grande e incolla allo schermo. Inoltre vorrei sottolineare che la giovane Natasha è interpretata da Ever Anderson, figlia di Paul W. S. Anderson e soprattutto di Milla Jovovich di cui è una perfetta copia genetica, una lanciatissima Mini-me, che solleva la più ovvia delle domande: perché ai tempi non è stata scelta proprio Milla per il ruolo della Vedova Nera? Troppo alta? Avrebbe fatto sembrare un tappo Tony Stark? Non lo sapremo mai, cito Lucius dicendo che vorrei fare una visita alla ReKall per impiantarmi il ricordo di Milla la Vedova, oppure dobbiamo sperare nel tanto annunciato Multiverso?

(for)Ever young. Porta i saluti a mamma e papà.

“Black Widow”, come una campionessa di sci, ha parecchi paletti da schivare, uno dei quali la sua collocazione all’interno nel grande arazzo dei film della Marvel. L’eterno ritardo congenito di questo progetto, colloca questo film solista tra la fine di Captain America – Civil war e l’inizio di Avengers- Endgame, in cui il gancio più grosso è l’unica, ripeto, L’UNICA, scena dopo i titoli di coda, che di fatto serve più che altro ad introdurre la prossima serie solista su Occhio di Falco. Quindi per sua natura questo film è un oggettino abbastanza strano, non è la solita storia delle origini della Vedova Nera, più che altro un aggiornamento su una parte ancora non raccontata del suo passato (gli eventi di Budapest citati in “Endgame”) e poco altro. Con orrore ho già sentito qualcuno ribattezzare tutto questo “Midquel”… Nooooo! Basta con questi orrori anglofoni, basta!

Consoliamoci con una foto a caso di Rachele Birra di frumento.

Il primo atto di “Black Widow” è buono, dannatamente buono, così tanto che il resto del film (non alla stessa altezza) risulta un passo indietro se non proprio un’occasione persa, perché nella prima parte del film viene introdotta la strana famiglia-non-famiglia russa di Natasha: quattro attori due americani e due inglesi, che recitando l’accento più facile da imitare, quello russo (lo sa fare anche Yuri Boyka) che hanno scatenato la solita polemica inutile in rete (storia vera). Anche se a me francamente, sembra più strano che la Russia del 1995 sia rappresentata in questo film, influente quanto ai tempi della vecchia Unione Sovietica ma si sa, agli Yankee mancano i loro vecchi avversari, non per forza solo cinematografici.

Natasha passa le sue giornate sotto copertura a vedere e rivedere “Moonraker – Operazione spazio” (1979) film dello 007 di Roger Moore con almeno un punto di contatto con la trama di “Black Widow” (collegamento un po’ labile ma presente), quando ritrova la sua “sorellina”, la tostissima Yelena Belova le cui origini sono state completamente riviste nella versione cinematografica, il che è un peccato, anche se per nostra fortuna il personaggio è stata affidato alla bravissima Florence Pugh, una che non avrà il fisico per le scene d’azione, ma in qualche modo qui riesce sempre a portarle a casa. Tra la gag delle “pose” di Natasha e una certa dose di “cazzimma”, Fiorenza Carlino ci regala un personaggio in grado di bucare lo schermo.

La posa delle eroine e degli eroi della Bara Volante: due mani sul calcio e faccia incazzata.

Il confronto tra le due sorelline adottive, entrambe cresciute da tana delle tigri dalla stanza rossa funziona alla perfezione: da una parte abbiamo un ex assassina professionista diventate l’eroina delle bambine, dall’altra un’assassina e basta, giovane, brutale e incazzata. Entrambe dovranno fare squadra contro il temibile Dreykov (un Ray Winstone quasi irriconoscibile), a capo della stanza rossa e con il controllo di tutte le vedove nere dormienti nel mondo, agenti super allenate e controllate dal russo. Sapete qual è la sfiga grossa di “Black Widow”? Quella noiosa e dimenticabile schifezzetta di “Red Sparrow”, ha bruciato sul tempo la parte più interessante del film, ovvero l’educazione (Siberiana) delle due sorelle-non-sorelle, le violenze subite, l’addestramento che ha raddrizzato la loro spina dorsale, trasformandole in super assassine ma anche tutta la spiegazione, descritta con freddo e cinico distacco da Fiorenza Carlino, quando a papà Alexei spiega cosa è accaduto al suo utero, un momento “comico”, ma nemmeno poi tanto, che non avrei mai pensato di trovare in un film targato Disney.

«Finché non si ricordano che dobbiamo pensare ai bambini, tanto vale approfittarne»

Le due sorelle diverse, per età ed esperienza che combattono insieme per liberare le altre “Vedove” in giro per il mondo, c’è una serie tv nel primo atto di “Black Widow”, o per lo meno materiale per altri due o tre seguiti, poi però il secondo atto del film colpisce duro e richiede il suo tributo di sangue.

Tocca far recitare un po’ quella santa donna di Rachel Weisz ma anche David Harbour e se l’evasione della prigione è una super scena che prevede elicotteri, carcerati russi tatuati e colpi di RPG, che tiene alto il ritmo del film e funziona molto bene, quando la famigliola è di nuovo riunita, il secondo atto sprofonda nella noia e nel tedio più totale.

Adesso venite a dirmi che non era meglio il suo Hellboy (anche lui era “rosso”)

David Harbour si carica sulle spalle (e sulla panza) il ruolo della linea comica, nella versione cinematografica il suo Red Guardian è un pallone gonfiato che campa di ricordi di glorie passate e a ben guardarle, nemmeno così gloriose e il film, s’impantana in eterne scene che rendono i 120 minuti (scena dopo i titoli di coda esclusa) della durata del film, almeno il doppio, se non il triplo come percezione della durata. Anche perché papà Alex che un attimo prima parla di pisciare sulle mani per evitare l’ipotermia e poi canta “American Pie” di Don McLean è tedioso almeno quanto la cover eterea di “Smells like teen spirit” dei Nirvana sui titoli di testa e mi spiace dirvelo, gli anni ’90 sono tornati di moda, la Marvel di sicuro li sta utilizzando per ambientare il passato remoto del suo universo cinematografico.

Il terzo ed ultimo atto di “Black Widow” è quello dove il film getta la maschera e si gioca la carta METAFORONE. Ci tengo a sottolinearlo, in un film giustamente femminile come questo, i personaggi maschili sono il mefistofelico cattivo di Ray Winstone, il “toyboy” di Natasha, una sorta di trovarobe che ha la stessa funzione delle Bond-Girl in qualunque 007 scelto a caso e Red Guardian, un padre non certo modello, avente funzione di linea comica del film, fine dei personaggi maschili. Questo vi turba? Personalmente no, perché in un film così mi aspetto che le donne siano assolute protagoniste, persino il minacciassimo Taskmaster è un cattivo “fermaposto”, ma su questo personaggio lasciatemi l’icona aperta, tra poco ci torneremo.

Vivono in una città tra le nuvole, il cattivo è mascherato e guidato da un imperatore malvagio. Disney gioca in casa.

Per liberare le vedove, le due sorelline devono utilizzare il solito “Mambo Jumbo”, nella fattispecie rappresentato da un gas di colore rossastro, so che molti hanno arricciato il naso per i tanti cambi di fronte dell’ultimo atto, personalmente in un film che aspira (anche minimamente) ad essere di spionaggio, che ci siano tradimenti e sotterfugi mi sembra il minimo, avrei preferito non vedere il cattivone fare il suo monologo in cui spiega tutto il piano, ancora ci toccano gli “spiegoni” dei cattivoni? Dopo “Gli Incredibili”? Bah! Quello che invece ho trovato davvero grossolano è proprio il metaforone: donne che liberano altre donne dal giogo di un uomo malvagio che le tiene in pugno? Ooookay, mi sta benissimo in un film così smaccatamente femminile, però beh, potevate essere un pochino più sottili nell’uso della metafora no?

Colpa mia forse, davanti ad una super assassina allenata, la mia mente e il mio cuoricino cinefilo vola verso Nikita, ma quel cinema lì, che poteva permettersi di mordere ormai non esiste più. “Black Widow” si gioca della gran distruzione finale, personaggi che svolazzano ma avvolge tutto nel pluriball in modo da essere più che sicuro che non ci sia nessun bordo tagliente, ed è qui che l’icona lasciata aperta su Taskmaster torna utile, la chiudo subito ma prima di avviso, in questo paragrafo: SPOILER!

Mentre ancora qualcuno si lamenta del Mandarino, vogliamo parlare dello spreco di Taskmaster?

L’assassino con il cappuccio e la faccia da teschio, quello in grado di mimare le mosse di tutti i suoi avversari, lo posso dire? Uno dei cattivi più tosti e cazzuti di tutti i fumetti Marvel, qui non solo perde parte del suo caratteristico teschio, ma diventa una funzione narrativa, necessaria a sbrigare (frettolosamente) la pratica del passato oscuro di Natasha Romanoff, trasformando uno dei cattivi più fighi mai visti in un fumetto, una sorta di Io sono Bender, prego inserire floppino interpretato da Olga Kurylenko, un’altra che per assurdo, per trascorsi cinematografici e nazionalità, avrebbe potuto essere anche lei una più che convincente Vedova Nera, ma è stata sacrificata, insieme al personaggio di Taskmaster, sull’altare del METAFORONE, fine del paragrafo con gli SPOILER!

Menzione speciale per Rossella Di Giovanni, che sarà pure stata la scelta meno ovvia per il ruolo, sarà anche quella che pazientemente, si è guadagnata un film solista per il suo personaggio, forse fuori tempo massimo, ma in tutti questi anni ha ricoperto il ruolo alla grande e qui di certo non è da meno, perché alla fine le scelte di Kevin Feige pagano dividenti nel corso del tempo.

Fletto i muscoli e sono nel vuoto (cit.)

Può non piacervi lo stile Marvel, sarà pur vero che è una multinazionale che non ha più bisogno di autori, da quando si è liberata di Joss Whedon con un calcio nel sedere, anche se è l’unico che ha saputo scrivere il personaggio di Natasha come si deve, bisogna dirlo. In questo “sistema” di fare film figlio di uno studio cinematografico, anche una regista australiana di film indipendenti, può funzionare in una roba tutta azione-azione-METAFORONE-azione-gag comica-azione che tutto mi sembra, tranne un film indipendente australiano. Eppure hanno ragione loro, perché alla fine non solo il film ha incassato (in questo periodo? Come sparare ai pesci in un barile), però i personaggi sono così curati che in qualche modo, i film Marvel trovano sempre il loro pubblico.

Le due “sorelline” nella parte di Cassidy, di fronte ad un altro film Yankee che parla di famiglia.

Pensate a quello che io (e non solo io, che comunque sono Mr. Nessuno. No, non è un personaggio della Marvel) considero il peggior film dell’MCU, ovvero Black Panther, quello è un film che ha segnato profondamente l’immaginario collettivo contemporaneo, ai “fratelli” dall’altra parte dell’oceano è piaciuto un sacco.

Quindi io sono sicuro che questo “Black Widow” piacerà alle “sorelle” là fuori a cui si rivolge, certo, con enorme dose di METAFORONE, ma il film è tutto sommato solido, si può guardare senza dover recuperare altri dieci film Marvel precedenti (roba rara ormai) e quel primo atto così riuscito ha quasi fatto sperare anche uno come me, cresciuto guardando Nikita a ripetizione. Poi forse l’occasione è un po’ sprecata per il sottoscritto, ma non sono la tipologia di pubblico che la Marvel voleva conquistare con questo film, state sicuri che alle signore, signorine, bambine che a carnevale e ad Halloween vorranno il loro costume da “vedova” e in generale a tutte le Natasha Romanoff e Yelena Belova là fuori, questo film piacerà un sacco.

«Dici che parla di noi?», «In un modo un po’ approssimativo ma si… uccidiamolo per ultimo»

La forza della Marvel è questa, tutti quelli che arricciano il naso quando sentono parlare di “inclusività” continuano a rifiutare l’ovvio: non solo il cinema (e il mondo) va in quella direzione, ma la Marvel lo faceva già nei suoi fumetti, prima che diventasse una “moda”, anche se di fatto è molto più di questo. Se non volete credere a me ricordate le parole di Stan “The Man” Lee, il cui cameo qui, manca, lo ammetto: «La Marvel è il mondo che vedete quando guardate fuori dalla finestra», in tutta onestà, molto meglio al netto dei difetti e dei tanti compiti da svolgere, come hanno gestito l’argomento dell’emancipazione femminile qui, piuttosto che in due film su Wonder Woman: Marvel 2. Distinta Concorrenza 0.

Sepolto in precedenza martedì 13 luglio 2021

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